Rousseau, un click non fa la Comune di Parigi

Giacomo Russo Spena

Un libro del giornalista Salvatore Cannavò analizza la piattaforma della Casaleggio Associati evidenziando i limiti di uno strumento nato per avvicinare i cittadini alle istituzioni ma che ha finito per avallare forme di plebiscitarismo. L’autore sottolinea la crisi democratica che stiamo vivendo – in primis con l’esautoramento del Parlamento – e suggerisce un’integrazione possibile tra la democrazia rappresentativa e la democrazia diretta.

La discussione è vecchia ma irrisolta: chi comanda nel M5S? Che ruolo svolge la Casaleggio Associati? A sentire la replica dei grillini il problema non si pone: la piattaforma Rousseau è il luogo della democrazia diretta dove i cittadini possono esprimere opinioni e partecipare attivamente alla res publica. Sarebbero loro ad avere il potere decisionale. È davvero così? Ideata da Gianroberto Casaleggio, la piattaforma è stata pensata per diverse obiettivi come la gestione del MoVimento 5 Stelle nelle sue varie componenti elettive (Parlamenti italiano ed europeo, consigli regionali e comunali), la partecipazione degli iscritti alla vita del M5S attraverso, ad esempio, la scrittura di leggi e il voto per la scelta delle liste elettorali o per dirimere posizioni all’interno del movimento. “Uno vale uno” è il noto motto anti Casta lanciato da Beppe Grillo e che viene messo in discussione dalle Sardine le quali, in antitesi al populismo, riaffermano la virtù della delega totale alla politica, ad una politica che sia però competente e professionale. Si scontrano due visioni: da un lato la democrazia diretta esaltata dal M5s, dall’altra la cieca riaffermazione della democrazia rappresentativa.

Qui ci viene in soccorso l’analisi del giornalista Salvatore Cannavò che nel libro Da Rousseau alla piattaforma Rousseau (edizioni Paper First, 172 pp) spiega come sia possibile un’integrazione tra la democrazia diretta e quella rappresentativa. Lo fa partendo dalla creatura della Casaleggio Associati ritenendo ingiustificati sia gli anatemi quanto l’esaltazione fideistica. Un testo interessante che ricerca le contraddizioni che emergono in uno strumento inizialmente inedito, e rivoluzionario, diventato centrale nel sistema politico italiano. Una centralità che ha suscitato levate di scudi da parte di molti costituzionalisti, come avvenuto recentemente quando si è trattato di confermare l’alleanza di governo con il Pd. In quell’occasione gli aventi diritti al voto, iscritti da almeno sei mesi, sulla piattaforma Rousseau erano 117mila. Nulla rispetto agli 11 milioni di italiani che hanno votato il M5S alle elezioni del 4 marzo 2018. Nulla neppure rispetto ai 5 milioni che lo hanno indicato sulla scheda delle Europee. Sono in molti a domandarsi se è realmente democratico affidare a 117mila persone l’ultima parola su decisioni delicatissime come quella sul nuovo governo, peraltro a procedura costituzionale in corso e già approvata dall’assemblea dei gruppi, ovvero dai 330 parlamentari eletti dal M5S. Se leggiamo l’impostazione teorica di Casaleggio padre, la piattaforma viene considerata una forma particolare di democrazia diretta, capace di contrastare la forte crisi di rappresentanza e di restituire rappresentatività alla sovranità popolare.

Vi è, invece, un’ampia corrente di pensiero costituzionale che ritiene la piattaforma in sé – e l’uso che ne viene fatto – un attacco stesso alla democrazia. Se ne lamenta, tra l’altro, il governo assoluto da parte di una azienda privata, senza alcun controllo e nessuna trasparenza, con una partecipazione molto bassa a processi decisionali che finiscono, direttamente o indirettamente, con il vincolare l’intera nazione. La connessione tanto decantata da Grillo, sottolinea Cannavò nel libro, sembra sfuggire alla prova dei fatti: “Uno vale uno” senza la compresenza fisica del popolo e senza l’accumulo di esperienze di partecipazione che hanno fondato la politica di massa dell’Ottocento e del Novecento rischia di mancare l’obiettivo di una democrazia veramente partecipata.

In tal senso, per supportare la sua tesi, l’autore si affida alle lezioni dei massimi teorici dei processi democratici, a partire dagli studi del filosofo Jean-Jacques Rousseau o di Hans Kelsen di cui va menzionata la frase: “La democrazia moderna vivrà soltanto se il parlamentarismo si rivelerà uno strumento in grado di risolvere le questioni sociali del nostro tempo”. Oltre ad evidenziare i limiti della piattaforma Rousseau – che da progetto di democrazia diretta rischia di tramutarsi in strumento plebiscitario – nel testo si sottolinea come sia necessaria ed urgente una riflessione sul crescente sfibramento delle istituzioni rappresentative. Lo scenario politico di questi anni, segnato dalla crisi economica e dagli effetti della globalizzazione, si accompagna, sempre più spesso, a una nutrita serie di diagnosi preoccupate sulla “crisi della democrazia”.

È quindi opportuno non chiudersi in una visione conservatrice nei confronti della Rete, cioè di uno strumento informatico che vive nello spazio del web. L’indebolimento massimo della rappresentanza, infatti, non è attribuibile al web ma scaturisce dal ruolo decisionale sempre più fievole del Parlamento, che subisce la torsione autoritaria del sistema elettorale maggioritario, il ruolo abnorme e pervasivo del governo tramite il massiccio uso dei decreti legge, lo strisciante presidenzialismo di fatto, senza regole e contrappesi. La questione è sempre la medesima: il M5S ha colto giustamente il sintomo – l’esautoramento della democrazia liberale – ma sbagliando la cura. Gianroberto Casaleggio ha avuto l’intuizione capendo per primo che i cittadini, inascoltati e afoni, avessero bisogno di nuove istanze di partecipazione. Con queste premesse nasceva la piattaforma Rousseau. “E pensare di difendere la democrazia solo con la sua difesa acritica, in nome di valori tradizionali, rappresenta una grave illusione che finisce per favorire l’ondata populista” sostiene Cannavò.

Tutti i principali Paesi europei, pur in forme diverse, stanno lì a dimostrare che il rafforzamento arbitrario degli esecutivi, spesso forzando Costituzioni e regolamenti, con il collegato e conseguente indebolimento delle assemblee elettive (che si riducono ad essere organi della maggioranza e non più spazio di espressione del pluralismo) portano alla crisi della stessa politica. È travolto il rapporto, difficile ma necessario, tra potere e masse. È dunque indispensabile ricostruire una dialettica virtuosa tra democrazia rappresentativa ed istituti di democrazia “diretta”.

Norberto Bobbio si diceva convinto che “i significati storici di democrazia rappresentativa e di democrazia diretta sono tali e tanti che non si può porre il problema in termini di aut aut come se ci fosse una sola possibile democrazia rappresentativa e una sola possibile democrazia”. La sua conclusione – ricorda Cannavò nel libro – è che “si può solo porre il problema del passaggio dall’una all’altra attraverso un continuum in cui è difficile dire dove finisce la prima e dove comincia la seconda”.

In conclusione, la piattaforma Rousseau è una giusta intuizione ma parziale e con alcune falle: mancano cardini come il protagonismo e l’autorganizzazione dei cittadini. Non basta un click per trasformarla nella Comune di Parigi. È indubbiamente utile discutere della natura del mandato parlamentare, del r
eferendum propositivo, di strumenti affini di maggiore partecipazione democratica, che possono introdurre correttivi all’interno della complessa cornice della democrazia costituzionale, soprattutto adesso che il Paese si prepara per il referendum popolare sul taglio dei parlamentari. Il libro di Cannavò è utile perché ci indica un percorso di ricerca pubblicando in appendice anche i pareri di costituzionalisti contemporanei come Fulco Lanchester, Elisabetta Palici di Suni e Massimo Villone. Il rapporto tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta è un tema ineluttabile che va affrontato.

(19 dicembre 2019)





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