Rubygate, dov’è lo sgomento nelle parole di Bagnasco?
Paolo Farinella
, prete
Mi stupisco dell’unanimismo dei giornalisti della tv e della stampa che vedono nel discorso di Bagnasco un «severo monito a Berlusconi… un forte attacco». Ho letto tutta la prolusione al consiglio permanente della Cei (Ancona, 24 – 27 gennaio 2011) e sono rimasto «sgomento» dello «sgomento» del cardinale. Hanno ragione i cortigiani di Berlusconi a negare che il prelato si riferisse al capo del governo o alla maggioranza: «un discorso alto rivolto a tutta la classe dirigente e non solo», commenta il ministro fra’ Sacconi. Come dargli torto? E’ la pura verità. Chi legge il discorso senza conoscere i retroscena non solo non capisce niente di quello che accade, ma non capisce affatto le parole di Bagnasco.
Poco più di 6.500 parole sparpagliate in sette paragrafi e 15 pagine sono servite al cardinale Bagnasco, presidente della Cei, per dare una carezza al cerchio di Berlusconi e un colpo alla botte dei giudici, pretendendo di avere anche la moglie ubriaca. Senza mai nominare espressamente l’uno o gli altri, nel più rigoroso stile clericale che si ammanta di retorica fumosa, l’eminenza non quaglia niente. Il cardinale aveva promesso di parlare in «consiglio permanente», suscitando attese e per una volta facendo stare Berlusconi sulla graticola un par di giorni. Alla fine ha fatto i gargarismi di acqua e alloro o come scrive una mia amica «all’acqua di rose». Lo stile del linguaggio è il solito, àulico, infarcito di domande retoriche, incisi, citazioni e autocitazioni: un discorso «decoupage» senza anima e senza sentimenti. «Dico/non-dico – alludo/non alludo – punzecchio/ accarezzo». Ha parlato, ma non ha detto perché tutti possano interpretarlo a modo loro, però ha parlato «in sede istituzionale». Il metodo Veltroni ha fatto scuola. Le sue parole al vento sono un invito stantìo a tutti e non direttamente connesse con «i fatti del giorno». Si sa, i preti sono tanto abituati a parlare di eternità che non riescono proprio a vedere l’orizzonte di casa.
Benedetto XVI è citato 13 volte, la parola «papa» 7 volte, Dio 5 in forma assoluta e 4 volte in espressioni improprie, Gesù e Vangelo 1 volta ciascuno. Questo è l’orizzonte di riferimento. E’ difficile trovare affermazioni basate su «soggetto, predicato e complemento». La gravità tragica in cui versa il Paese esigerebbe una presa di posizione non equivoca e limpida sullo schema morfosintattico «soggetto, predicato e complemento» del tipo: «Silvio Berlusconi (soggetto) è (copula, per restare in argomento) un porco (predicato nominale). Noi (sogg.) vescovi (apposizione del sogg.) chiediamo (pred. verbale) le dimissioni (compl. ogg.) del presidente (1° compl. di specificaz.) del consiglio (2° compl.o di specificaz.), Silvio Berlusconi (compl. denominativo, appositivo del 1° compl. di specificaz.)».
Invece saltellando per monti e colline, con volto burbero e tisana calmante incorporata, il cardinale s’inventa addetto meteorologico: «nubi ancora una volta preoccupanti si addensano sul nostro Paese» (p.1 premessa). Bisogna aspettare ben 10 pagine e arrivare al punto 5 per leggere questa prosa prosaica:
«La desertificazione valoriale ha prosciugato l’aria e rarefatto il respiro. La cultura della seduzione ha indubbiamente raffinato le aspettative ma ha soprattutto adulterato le proposte. Ha così potuto affermarsi un’idea balzana della vita, secondo cui tutto è a portata di mano, basta pretenderlo. Una sorta di ubriacatura, alle cui lusinghe ha – in realtà – ceduto una parte soltanto della società».
Mi chiedo come ha fatto a diventare cardinale uno che scrive e parla così. Chiunque legga si domanda cosa abbia mangiato a pranzo per arrivare a simili arditezze. Noi però possiamo assicurarlo che non abbiamo ceduto alle lusinghe del berlusconismo e fin dal giorno prima del suo apparire in politica avevamo previsto dove saremmo andati a parare. I vescovi e il Vaticano sono corsi sullo yacht del satrapo, hanno levato le àncore e abbandonato il mare incerto della Provvidenza per l’oro certo del corrotto e corruttore. Non abbiamo fatto gli schizzinosi come i cardinali e i vescovi che lo hanno cullato, coltivato, protetto perché attecchisse nell’antropologia culturale e politica del nostro popolo che oggi ne è vittima plaudente. Qualcuno era di casa a cena. Prosegue il cardinale presidente:
«Bisogna infrangere l’involucro individualista … Quando un anno e mezzo fa cercavamo di trovare il senso di ciò che la crisi poteva richiedere, si parlò ad un certo punto di una necessaria conversione degli stili di vita. Ora ci siamo arrivati … Se a questo si aggiunge una rappresentazione fasulla dell’esistenza, volta a perseguire un successo basato sull’artificiosità, la scalata furba, il guadagno facile, l’ostentazione e il mercimonio di sé, ecco che il disastro antropolo-gico in qualche modo si compie a danno soprattutto di chi è in formazione» (par. 6).
Qui il cardinale tocca il parossismo della pornografia perché un brivido scende per le carni dei lettori che – brrrr! – sentono parole come «mercimonio e antropologico»: è la contraddizione clericale perché descrive con parole arcaiche l’essenza del berlusconismo e la sua intima filosofia o meglio il vuoto che poggia sul nulla, ma di cui il Vaticano e la Cei sono sostegno e garanzia. Padrini.
Arriviamo a «il Top», all’urlo di Tarzan, al grido della tigre di Mompracen:
«Si moltiplicano notizie che riferiscono di comportamenti contrari al pubblico decoro e si esibiscono squarci – veri o pre-sunti – di stili non compatibili con la sobrietà e la correttezza, mentre qualcuno si chiede a che cosa sia dovuta l’ingente mole di strumenti di indagine. In tale modo, passando da una situazione abnorme all’altra, è l’equilibrio generale che ne risente in maniera progressiva, nonché l’immagine generale del Paese. La collettività, infatti, guarda sgomenta gli attori della scena pubblica, e respira un evidente disagio morale. La vita di una democrazia – sappiamo – si compone di delicati e necessari equilibri, poggia sulla capacità da parte di ciascuno di auto-limitarsi, di mantenersi cioè con sapienza entro i confini invalicabili delle proprie prerogative» (n. 7, pp. 11-12)…
Sì, tutto qui. Né più né meno. Certo il cardinale, a sera, avrà detto a se stesso: gliele ho cantate, eccome se gliele ho cantate … chi ha orecchi da intendere intenda. Peccato che quelli non solo sono sordi alla morale, al decoro e alla dignità, ma hanno compreso bene che il cardinale doveva parlare per non fare incazzare i cristiani scandalizzati e nello stesso tempo non ha scomunicato Berlusconi, che anzi continua ad appoggiare perché riafferma per lui l’ossessione dei giudici a indagare su di lui: «qualcuno si chiede a che cosa sia dovuta l’ingente mole di strumenti di indagine». Qualcuno chi? L’unico che può essere questo qualcuno è solo Berlusconi e la sua canèa prezzolata e farabutta. Ora costui è più forte nella sua lotta contro i «giudici comunisti». Non una parola sulla prostituzione minorile, non un lamento sulla dignità delle donne, non
un rilievo sull’ingente quantità di denaro sperperato da un debosciato che educa alla prostituzione, induce alla corruttela e paga perché le minorenni tacciano e dichiarino il falso. Intanto l’Italia muore schiacciata dalla disoccupazione, ma il cardinale non lo sa.
Invitare alla sobrietà un satiro è come invitare un pedofilo in un asilo infantile; parlare di «evidente disagio morale» significa assolvere preventivamente tutte le ignominie del priapo di Arcore facendo finta di arrabbiarvi. Non ci caschiamo, anche se ci siamo illusi che almeno i vescovi, che si sciacquano la bocca tre volte al giorno nell’acqua santa per pontificare di etica e di morale, di famiglia e di valori, avessero una coscienza e una dignità. Ora sappiamo che sono fuori non solo dal Regno di Dio, ma anche dalla nostra civiltà umana giuridica. Non hanno detto che adescare e corrompere minorenni è peccato così grave che non può essere perdonato né in cielo né in terra, memori delle parole del Signore: «Chi invece scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, gli conviene che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che vengano scandali, ma guai all’uomo a causa del quale viene lo scandalo!» (Mt 18,6-7).
Il vangelo esige che vi schieriate dalla parte dei deboli, che accusiate il potente e ricco, novello Erode Antipa, che compra vergini (sillogismo!) come un drago assatanato (lo dice la moglie che ha convissuto con lui per oltre 30 anni), le usa e le conserva nell’harem del suo residence. Una sola parola dovevano dire, quella di Giovanni Battista: «Non licet!» (Mc 6,18). I cardinali invece hanno applaudito il disegno di legge che il governo del satrapo ha approvato per punire i clienti delle prostitute di strada (11 sett. 2008); hanno chiesto e ottenuto che il governo non legiferasse su convivenze; ora stanno alla sua porta col tricorno in mano per salutarlo quando entra e quando esce dai suoi postriboli e dall’indecenza della sua politica a servizio solo delle sue perversioni.
Il Cardinale, in un impeto di generosità, si lancia anche a favore del pagamento delle tasse, con un ritardo di decenni, specialmente quando era lo Ior Vaticano a prestarsi come strumento ambìto per evaderle nel riciclaggio di denaro sporco della mafia e della prostituzione:
«Anche la crescente allergia che si registra nei confronti dell’evasione fiscale è un segnale positivo, che va assecondato. Adesso più che mai è il momento di pagare tutti nella giusta misura le tasse che la comunità impone, a fronte dei servizi che si ricevono. Bisogna snellire e semplificare, ma nessuno è moralmente autorizzato ad autodecretarsi il livello fiscale. Chi fa il furbo non va ammirato né emulato. Il settimo comandamento, «Non rubare», resiste con tutta la sua intrinseca perentorietà anche in una prospettiva sociale».
Come può un cardinale dire queste cose, quando non ha mai detto una sola parola su un presidente del consiglio ladro, evasore di professione recidivo, anche in carica? E sufficiente richiamarsi all’art. 54 della Costituzione? Le basta l’accenno alla «misura e alla sobrietà»? Se questo è tutto, è segno che i vertici della Cei o sono o ci fanno e comunque fanno finta di non conoscere Berlusconi che invece vogliono avere come interlocutore in forza dell’invito finale:
«È necessario fermarsi − tutti − in tempo, fare chiarezza in modo sollecito e pacato, e nelle sedi appropriate, dando ascolto alla voce del Paese che chiede di essere accompagnato con lungimiranza ed efficacia senza avventurismi, a cominciare dal fronte dell’etica della vita, della famiglia, della solidarietà e del lavoro. Come Pastori che amano la comunità cristiana, e come cittadini di questo caro Paese, diciamo a tutti e a ciascuno di non cedere al pessimismo, ma di guardare avanti con fiducia. È questo l’atteggiamento interiore che permetterà di avere quello scatto di coscienza e di responsabilità necessario per camminare e costruire insieme».
Basta che Berlusconi chiarisca pacato e sollecito nelle sedi appropriate, per avere la certezza che può andare avanti senza «avventurismi», visto che i pastori che amano il Paese continuano ad allevare un porco senza cedere al pessimismo, sperando che ingrassando lui, ingrassino anch’essi. Ci aspettavamo che il cardinale comunicasse la notizia che il papa avesse revocato il titolo di «nobiluomo» al portinaio del lupanare, Gianni Letta, invece ancora una volta hanno tradito se stessi e il loro popolo. Finché il gioco dura. Ora, ascolti, il cardinale, quello che ho da dirgli: «Ho compassione di te e di Berlusconi e dei suoi servi e schiave: la maledizione di Dio incombe; sentite bene quel ch’io vi prometto. Verrà un giorno…» parola di P. Cristoforo e di Manzoni (Promessi Sposi, cap. VI).
(25 gennaio 2011)
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