Ruotolo risponde all’appello di Brancaccio: “Difendere oggi il diritto al dissenso per non trovarci, domani, in un’emergenza democratica”

Daniele Nalbone

Il senatore parte dall’analisi dei fatti di Napoli per : “Il diritto al dissenso deve essere garantito. Ma siamo in una situazione nuova, che necessita del rispetto delle regole anti-pandemia”.

Intervista a Sandro Ruotolo

“È una situazione nuova. Potrei dire un mondo nuovo. Un mondo al quale non eravamo preparati”. Nelle parole del senatore Sandro Ruotolo il focus si sposta continuamente dalla situazione sanitaria a quella sociale. Partendo dall’appello dell’economista Emiliano Brancaccio, , e facendo continuo riferimento (spesso implicito) alla postilla del direttore Paolo Flores d’Arcais, Ruotolo ci tiene subito a precisare che “il diritto a manifestare deve essere pieno anche in emergenza sanitaria” ma “bisogna rispettare le regole, dell’emergenza sanitaria”. Il punto di partenza, però, è ben chiaro: “Non siamo in una situazione di normalità”.

Senatore, limitare o anche solo “regolare” il diritto a manifestare per uno stato democratico è, mi permetto, una delle decisioni più pericolose da prendere, non trova?

Il tema è centrale. È un tema costituzionale. In parlamento stiamo procedendo a legiferare su quanto è previsto dal disegno di legge del 2018 sulla riforma della protezione civile che – semplifico per essere chiaro – consente in uno stato di “guerra senza armi” come quello attuale di emanare provvedimenti anche estremi. Ma, ripeto, stiamo vivendo una situazione emergenziale nuova, per noi in parlamento e per tutte le istituzioni chiamate a combattere questa guerra.

Cambio punto di vista. Da giornalista e da napoletano, visto quanto sta accadendo nella sua città, è preoccupato? Il conflitto sociale è sul punto di esplodere definitivamente.

La crisi economica e sociale che stiamo vivendo è devastante. Non ce lo dice soltanto quel segno “meno a due cifre” del pil ma lo stiamo avvertendo fin dalla prima fase dell’emergenza. Oggi sono preoccupatissimo per quel che sta accadendo in generale al sud e, in particolare, nella mia città. La situazione è drammatica e al tempo stesso pericolosa. Penso a tutto quel sommerso in cui vivono migliaia di miei concittadini, rimasti ormai da mesi senza soldi per vivere. Al tempo stesso, mi preoccupa quel circuito di illegalità che confina con gli interessi criminali. Sono spaventato non da quella “camorra” che si infiltrerebbe nei cortei ma da quella che sta investendo nell’economia legale, che sta entrando nelle piccole imprese, nelle aziende in crisi, nel comparto turistico. Mi terrorizza la mafia con i colletti bianchi perché è quella la criminalità che c’è, quotidianamente, nei territori. Una criminalità che si mostra solidale con i poveri per portare avanti il proprio disegno di controllo sociale. Quella mafia ormai sistema che presta soldi a usura e lavora per costruirsi consenso sociale.

Sta smontando le letture che vedono le manifestazioni di piazza “guidate”, “organizzate” o “infiltrate” dalla criminalità? Su questo l’intervento del professor Brancaccio è abbastanza netto. Cito: “Gridare indistintamente ai criminali e agli eversori di piazza per mettere una stretta alle manifestazioni di protesta è sempre stata una pratica tipica dei regimi fascisti”.

Se vogliamo parlare della presenza di criminali nelle manifestazioni di piazza, facciamolo. C’è l’altissima probabilità, soprattutto in questo momento di emergenza e confusione, che “i ragazzi della camorra” svolgano un ruolo nelle proteste. E che lo stesso facciano gruppi estremisti di destra. Per questo, anche per questo, la nostra attenzione deve restare altissima. Ma la forza delle mafie è sempre nel consenso sociale che è in grado di ottenere: a volte questo consenso è raggiunto con intimidazioni e violenze, altre con la faccia della solidarietà. Ma in piazza in questi giorni c’è gente affamata, impaurita, disorientata. Confusa. Il rischio eversivo è un tema serio, da porre, ma che non può coprire tutto quel mondo di lavoratori in nero, liberi professionisti, ristoratori, baristi, camerieri, personale del settore turistico. In queste ore si è parlato tanto dell’cassa integrazione prolungata di altri 18 mesi, misure di sostegno per i “garantiti”. E i non garantiti? Non possono morire di fame. Servono servizi e serve, soprattutto, reddito. Reddito di emergenza, ora, reddito garantito superata la pandemia. Qui è a rischio la tenuta sociale del paese.

Con provvedimenti che limitano diritti costituzionali, però, è a rischio – secondo Brancaccio – anche la tenuta democratica del paese. Qual è la sua posizione a riguardo?

Credo che aprire un dibattito sul tema sia fondamentale ma, più che per l’oggi, per il domani. Provo a spiegarmi: non ci troviamo in una situazione di déjà vu. Stiamo affrontando un’emergenza sanitaria, e una macelleria sociale ed economica, nuova, che mai si era vista e vissuta in uno stato democratico. Al tempo stesso, però, dobbiamo essere consapevoli che quella che stiamo vivendo non è una parentesi. Siamo in un’emergenza che finirà quando avremo un vaccino ma già sappiamo che torneremo a vivere situazioni simili. Dobbiamo aver chiaro in mente che nulla sarà più come prima. E, soprattutto, nulla dovrà essere più come prima perché se siamo arrivati a questo punto è proprio per il modello di vita e di sviluppo che abbiamo perseguito nei decenni passati. Sanità pubblica, riduzione delle disuguaglianze, una nuova economia sociale: queste devono essere le nostre linee guida. In questo scenario porre ora questioni “costituzionali” è fondamentale perché dobbiamo difendere anche ciò che stiamo sospendendo o limitando in questa fase di emergenza: se ce ne dimenticassimo, una volta superata la pandemia, finiremo in un’emergenza democratica senza aver fatto nulla per evitarlo. Dobbiamo governare i cambiamenti che stiamo vivendo: potrei parlare di digitalizzazione, di smart working, di mobilità, green economy. Con il diritto a manifestare, il diritto al dissenso, è la stessa cosa. Dobbiamo essere consapevoli che ogni regola imposta limita questo diritto, ma dobbiamo al tempo stesso essere netti nel difendere questo diritto.


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Regolare il conflitto sociale, però, è esercizio impossibile. Non trova?

Per risponderti torno ai fatti di Napoli. In piazza non c’era solo rabbia. C’era paura, confusione. C’erano persone che chiedevano certezze. Per dare certezze e contrastare la paura, però, serve coesione sociale e istituzionale. Dobbiamo, e mi riferisco soprattutto alla politica, in primis abbassare i toni. Abbiamo già chiesto a marzo e aprile sforzi al limite dell’impossibile alla popolazione, e lo stiamo facendo ancora, a distanza di otto mesi. E sarà ancora così nei mesi a venire. Dobbiamo continuare a tenere dritta la barra e a mettere al primo posto il diritto alla salute, ma questo diritto va coniugato con gli altri. Oggi siamo all’ultima spiaggia, dopo questo dpcm c’è il lockdown totale. Per questo, ora più che mai, servono risposte. Risposte alle proteste di piazza – legittime – delle categorie colpite dal dpcm. Risposte alla paura. Chiarezza laddove c’è confusione. Reddito e servizi. Al tempo stesso, però, guardando ancora alla piazza di Napoli, non possiamo sottovalutare quanto interesse abbiano le forze criminali a soffiare sul fuoco.

Quindi?

Dobbiamo vigilare sui diritti costituzionali limitati dai provvedimenti sanitari e garantirli per quanto possibile. Manifestare senza assembramenti non può e non deve essere vietato. Aggiungo un’ultima cosa, alla quale vorrei chiamare a un confronto non solo giuristi e politici ma anche movimenti ed esperti di digitale: è arrivato il momento di sperimentare, ma in maniera concreta, anche forme di organizzazione di espressione del dissenso in rete. Concrete. Di sostanza. Che possano unire e raccogliere istanze e realtà anche in momenti come questi.

(27 ottobre 2020)





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