Salvatore Borsellino: “La strage del ’92 è stata strage di Stato”

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Pubblichiamo il video dell’intervento del fratello di Paolo Borsellino alla conferenza "La Nascita della seconda Repubblica sul sangue di Falcone e Borsellino", organizzata da Antimafia2000 a Palermo il 19 luglio 2008 (qui il video integrale).

La Nascita della seconda Repubblica sul sangue di Falcone e Borsellino

da www.antimafiaduemila.com, 19 luglio 2008

“Se domani si presenteranno alla commemorazione della strage di via D’Amelio i politici che dico io non gliela farò passare liscia”. Il grido di Salvatore Borsellino, fratello del giudice assassinato dalla mafia nel 1992, e più forte dello scrosciare di applausi delle circa cinquecento persone presenti ieri sera a Palazzo Steri, a Palermo, in occasione del convegno “La nascita della seconda repubblica sul sangue di Falcone e Borsellino”, organizzato dalla redazione del giornale ANTIMAFIADuemila diretto da Giorgio Bongiovanni e moderato dalla caporedattrice Anna Petrozzi alla presenza dei giudici Luigi De Magistris, Antonio Ingroia, Roberto Scarpinato e del senatore Giuseppe Lumia.
Un debutto dai contenuti esplosivi quello di Borsellino, che per la prima volta parla a Palermo dopo la decisione assunta il 17 luglio dello scorso anno di uscire dal lungo silenzio che aveva caratterizzato gli ultimi anni della sua vita. E che parte da una riflessione ad alta voce: il ricordo dei momenti vissuti con il fratello Paolo, la speranza in una Italia diversa seguita alla sua morte, la delusione per la vittoria, ancora una volta, del puzzo del compromesso sul fresco profumo di libertà.
“Dopo l’assassinio di Paolo – sono le sue parole – ero arrivato a pensare che se il suo sacrificio era servito a risvegliare il Paese allora dovevo ringraziare Dio per quella morte. Ma poi mi sono dovuto ricredere. E se una volta si uccideva con le bombe oggi lo si fa tappando la bocca ai magistrati e delegittimandoli di fronte all’opinione pubblica”. Il riferimento è al dott. Luigi De Magistris, di recente condannato dalla Cassazione, su richiesta del Csm, alla pena della censura e del trasferimento di ufficio e funzioni. Una condanna resa definitiva nonostante la recente richiesta di archiviazione depositata dai giudici di Salerno Apicella e Nuzzi, nello scorso mese di giugno, che con dati alla mano (il documento è di quasi mille pagine) avevano fornito una versione dei fatti completamente diversa rispetto a quella presentata dal Consiglio Superiore della Magistratura. Una casta, lo sottolinea con forza lo stesso Salvatore Borsellino, che non ha nemmeno bisogno di essere riformata, “così come vorrebbe il nostro capo di governo. Sta già procurando danni così. E basti vedere, è solo l’ultimo esempio, la nomina a procuratore capo di Marsala del dott. Di Pisa, un grave
atto di inopportunità. O le parole di Vito D’Ambrosio, che ha accusato De Magistris di sentire il proprio lavoro come una missione e non come una professione: un’offesa al sacrificio di mio fratello che lo viveva nello stesso modo”.
Ed è dura la critica alla stessa magistratura mossa dal dott. De Magistris, che riprendendo le parole del direttore Bongiovanni sull’esistenza di mandanti esterni alle stragi di Falcone e Borsellino si domanda: “Ma è corretto definirli ‘esterni’ o sarebbe più opportuno chiamarli ‘interni alle istituzioni’?”. “Oggi – continua – ci troviamo di fronte a due magistrature: una sana che potrà fare giustizia e portare luce anche sulle morti di Falcone e Borsellino, e una malata che va combattuta. Perché ha contribuito in modo determinante al perdurare di un vero e proprio sistema di potere. Tanto che senza il contributo di questa parte di magistratura la mafia sarebbe già stata debellata”.
Un’evidente metastasi interna alle istituzioni, la definisce De Magistris, sintetizzando un concetto che fa da filo conduttore agli interventi di tutti i relatori.
Oltre che del giudice istruttore di Santa Fè, Argentina, Juan Alberto Rambaldo, che in un breve saluto evidenzia la necessità di guardare alla mafia come a un potere che contribuisce a esercitare il controllo sull’economia mondiale e che per questo è necessario combattere sul piano internazionale.
Ma che si esprime con forza soprattutto nelle parole di Salvatore Borsellino. Il quale apre la sua relazione ringraziando il lungo applauso della platea a favore del direttore di Telejato Pino Maniaci – che ha di recente subito pesanti intimidazioni per il suo lavoro di testimonianza contro la mafia – chiamato sul palco dalla sorella Rita Borsellino, presente in sala – insieme ai procuratori capo di Palermo Francesco Messineo e di Torino Giancarlo Caselli, oltre ad altri magistrati – e intervenuta per un saluto. “Bisogna alzarsi in piedi, come abbiamo fatto questa sera, anche per i vivi e non solo per i morti” sottolinea Borsellino, che esprime tutta la sua indignazione per le commemorazioni, solo “passerelle politiche, organizzate ogni anno dagli stessi assassini di Paolo”. Un’indignazione rivolta anche a quanti definiscono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino degli eroi. “Mi fa schifo – dice – sentire la parola eroe quando questa è stata usata per glorificare un mafioso”. Richiama quindi le dichiarazioni di Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi alla vigilia delle scorse elezioni elettorali prima di condannare uno stato che non solo ha acconsentito, ma che ha collaborato attivamente alle stragi di Capaci e via D’Amelio. “Paolo – continua – è stato ucciso perché si è messo di traverso a quella ignobile e scellerata trattativa tra mafia e Stato, che oggi viene attuata, giorno per giorno. Le richieste contenute nel ‘papello’ consegnato da Riina, il capo della mafia, alle istituzioni sono state esaudite, così come è stato attuato alla lettera il piano di rinascita della P2. Ed è per questa ragione che Mancino, ex ministro degli Interni, dice di non ricordare l’incontro che tenne non Paolo. Se ammettesse quell’incontro dovrebbe confessare proprio quella trattativa”.
L’esempio più evidente e più attuale è quello della revoca del 41bis ad Antonino Madonia, già richiesta anche dai boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo e che rappresenta appunto una delle principali richieste del papello di Riina.
A dare forza alle parole di Borsellino, l’intervento del giudice di Palermo Roberto Scarpinato, che parla di sfascio morale e culturale delle istituzioni e di una politica perdente perché combatte solo la mafia militare, che “in realtà è un sottoprodotto e una componente del sistema di potere che si basa sulle ingiustizie, sulla sopraffazione, sulla rapina delle risorse pubbliche e che si ripropone uguale a se stesso, nel nostro Paese, dal 1500 ad oggi”. Il “metodo mafioso”, come lo definisce Scarpinato, autore, insieme al giornalista Saverio Lodato del libro “Il Ritorto del Principe”, “non è infatti stato inventato dai vari Riina, Provenzano, Matteo Messina Denaro che nel tempo sono destinati a passare, ma da questo stesso sistema di potere”. Per combatterlo, interviene il senatore Lumia, “occorrerebbe fare una vera e moderna antimafia, partendo dall’assunto che la mafia non è un male derivato, ma un male in sé.
Lo aveva compreso Libero Grassi, lo stanno comprendendo oggi i ragazzi di “Addio Pizzo” insieme alla Confindustria”. Per vincere questa battaglia, ha proseguito, è necessario “non scindere le due dimensioni della legalità e dello sviluppo, e quella della mafia militare da quella politica, sociale, culturale e finanziaria”. L’esempio è ancora la strage di via d’Amelio, “spostata a definire i rapporti di forza all’interno della nascita della II Repubblica”.
Più speranzose la parole del Dott. Antonio Ingroia, che pur ammettendo la gravità dell’attuale stato della politica italiana riconosce anche l’esistenza di un cambiamento in atto. “Lo stato ha finalmente iniziato a processare se stesso, perché alcuni rappresentanti delle istituzioni sono finiti sul banco degli imputati, altri sono stati condannati in primo grado, altri persino in via definitiva e consegnati alle patrie galere. E’ questo il fatto nuovo degli ultimi vent’anni della magistratura, che un tempo era area di impunità e applicava leggi in modo ineguale”.
E l’aria nuova si respira anche nella società civile, da quella “parte dello stato e dell’Italia che in nome di quella sete di verità e giustizia è disposta ad applicare quel principio di uguaglianza di fronte alla legge, senza eccezioni. Piazza Navona è dimostrazione che l’Italia ci crede e che ha bisogno di voce e rappresentanza”.
E la dimostrazione, conclude, è anche nelle parole di Giuseppe Di Fini, un giovane di 13 anni, presidente dell’associazione “Antimafia giovanile” intervenuto nel corso del convegno per portare la sua testimonianza e il suo messaggio di speranza “di poter finalmente vivere in una città dove si possa davvero respirare il profumo di libertà che Paolo Borsellino desiderava per la sua Sicilia”.

(21 luglio 2008)



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