Santificare Draghi?

Gruppo della Moneta Fiscale

(Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa, Stefano Sylos Labini)

Il discorso di Mario Draghi al Meeting di Rimini, lo scorso 19 agosto, è stato ampiamente commentato, per lo più in termini fortemente elogiativi. E si può capirlo, perché si è trattato indubbiamente di un intervento molto abile.

L’intervento è stato abile perché quasi tutti hanno potuto trovarvi contenuti in linea con le proprie convinzioni. Quasi tutti hanno potuto dire “giusto, su questo Draghi la pensa come me”.

Per quanto ci riguarda, i passaggi più incoraggianti sono le affermazioni che “l’inadeguatezza di alcuni di questi assetti” (riferito alle regole UE, tra cui il patto di stabilità) “era da tempo evidente”, e che “è probabile che le nostre regole europee non vengano riattivate per molto tempo e certamente non lo saranno nella loro forma attuale”.

Ma il Mario Draghi che dice queste cose oggi è forse un omonimo del Mario Draghi che, nell’agosto 2011, firmava a quattro mani con Jean-Claude Trichet l’ormai celebre “lettera della BCE”, nella quale venivano imposti al governo italiano provvedimenti di austerità e deflazione salariale poi in larga misura attuati dal governo di Mario Monti, con catastrofiche conseguenze sull’economia e sulla vita di milioni di persone?

Ed è forse un omonimo di quel Mario Draghi che in una lezione tenuta in Germania nel dicembre 2011 spiegava come fosse indispensabile “ridisegnare la governance fiscale dell’eurozona, tramite quello che ho definito un patto fiscale, un fiscal compact”, e che ancora in un’intervista al Wall Street Journal del febbraio 2012 definiva il modello sociale europeo “finito per sempre”, riaffermando che non si sarebbe fatta marcia indietro sull’austerità?

Solo gli stupidi non cambiano mai idea, e Mario Draghi stupido certamente non è. Tuttavia, sarebbe stato apprezzabile sentirgli dire che “l’inadeguatezza di certi assetti era da tempo evidente, e questo lo deve riconoscere chi ai tempi, io per primo, li ha fortemente sostenuti”.

Quest’ultima frase non si è sentita, da parte di Draghi, né a Rimini né altrove (se non ci è sfuggito qualcosa). Si è invece ascoltata un’ampia dissertazione sul futuro dei giovani, con parole di preoccupazione perché “il debito creato con la pandemia è senza precedenti e dovrà essere ripagato principalmente da coloro che sono oggi i giovani”.

Il che solleva alcune perplessità. Perché, se a Draghi sono serviti otto o nove anni per riconoscere “l’inadeguatezza di certi assetti” dell’eurosistema, da lui a suo tempo fervidamente sostenuti, ci domandiamo se gliene serviranno altrettanti per riconoscere che:

  • I giovani di oggi dovranno ripagare il debito, ma lo ripagheranno ad altri che pure oggi sono giovani e di quel debito saranno i titolari; dunque, quel che conta è come dovrà essere redistribuita la ricchezza per evitare che l’onere del debito ricada iniquamente sui meno abbienti e a favore dei più agiati.
  • Giacché il debito è ricchezza finanziaria di chi lo detiene, sarà importante anche assicurarsi il buon impiego dei risparmi privati che da quella ricchezza promaneranno, il che richiama la necessità di ridisegnare il ruolo del settore finanziario, rafforzandone la solidità e la capacità di allocare le risorse in un modo che davvero aiuti il Paese a crescere.
  • Il debito creato con la pandemia è in larghissima misura acquistato dalle Banche Centrali, con emissione di nuova moneta che circola nell’economia senza produrre inflazione perché la carenza di domanda per beni e servizi reali evita tale effetto; dunque la monetizzazione (diretta o indiretta) dei deficit pubblici è uno strumento che nell’eurozona andrebbe utilizzato in modo assai più massiccio, sino a che non si sarà fuori dalla crisi, alla stregua di quanto stanno facendo altre economie avanzate.

Esistono proposte articolate sulla Moneta Fiscale e progetti di legge già depositati presso Camera e Senato che, se adottati, permetterebbero di integrare redditi e capacità di spesa (privata e pubblica) senza ricorrere a nuovo indebitamento, e che quindi andrebbero perseguite.

C’è da sperare che queste “illuminazioni” non richiedano svariati altri anni e che possano invece presto ispirare Draghi e convincerlo a farsene influente sostenitore affinché esse si traducano in concrete azioni politiche, in special modo se avrà ragione chi ritiene che Draghi sia destinato ad assumere un’importantissima carica politica: quella di presidente del consiglio o di presidente della repubblica.

Il sospetto, per la verità, è che Draghi tutte queste cose le abbia perfettamente capite, ma non ritenga sia oggi il caso di riconoscerle esplicitamente. Può essere. La competenza di Draghi non è in discussione. Come non lo è, d’altra parte, la sua scaltrezza. E non essendo in dubbio la sua scaltrezza, riteniamo che un Draghi presidente del consiglio o presidente della repubblica non verrà (se mai verrà) a fare cose simili a quelle messe in atto da Mario Monti nel 2012. Perché lasciarsi alle spalle un’economia in macerie è la via più sicura per rovinare una reputazione oggi altissima.

Ad ogni modo, se l’obiettivo è quello di evitare le macerie, va detto che l’agenda del discorso di Rimini (se tale la vogliamo definire) è ancora carente sotto parecchi punti di vista. Certo, il Mario Draghi del 2020 dice cose significativamente diverse dal Mario Draghi del 2011-2012. E questo c’incoraggia.

Ma serve molto di più.

(8 settembre 2020)





MicroMega rimane a disposizione dei titolari di copyright che non fosse riuscita a raggiungere.