Saturno e il Giubileo: simboli per la pandemia
Sylvain Piron
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Il nostro pianeta è entrato in una fase d’eccezione. Nell’arco di qualche settimana la forma di vita più infima che ci sia ha messo in stallo l’economia globalizzata, paralizzando a cascata la produzione industriale just in time, il turismo di massa, il traffico aereo e poi automobilistico. Le metropoli si sono fermate mentre la primavera giubila. Uno dopo l’altro gli Stati sono stati messi alla prova, e l’esito fa raramente onore ai loro dirigenti. Dopo qualche momento di esitazione, più o meno lungo a seconda del loro livello d’intossicazione alla dottrina economica, quasi tutti sono giunti a mettere la difesa della vita umana al di sopra di ogni altra considerazione. L’espressione “costi quel che costi” ha assunto una nuova sfumatura; non si tratta più, come nel 2008-2009, di salvare il sistema bancario a ogni costo, ma di enunciare un principio ben diverso: l’economia deve essere temporaneamente subordinata a uno scopo più alto.
La decisione di limitare gli spostamenti per arginare la pandemia è sembrata forse eccessiva, tenendo conto del tasso di letalità piuttosto basso del Covid-19: flagelli ben più micidiali vengono accettati come fatalità inevitabili. È il caso, per esempio, della fame o della malaria in Africa e in Asia meridionale, dell’inquinamento atmosferico, degli incidenti stradali o dei suicidi, per non parlare dell’erosione della biodiversità o del cambiamento climatico. Precauzioni così eccessive rispondono però a una ragione evidente: il contagio ha colpito in prima battuta i paesi ricchi, che credevano di aver chiuso per sempre con la visibilità della morte (a metà aprile la cartografia dei decessi dichiarati ricalcava esattamente quella della ricchezza finanziaria; la sua espansione in Europa lungo la diagonale che conduce da Milano a Londra fa particolarmente impressione).
La diffusione di un morbo che richiede massicce ospedalizzazioni ha fatto vacillare la promessa di protezione che gli Stati fanno ai loro cittadini. In Francia o nel Regno Unito il deterioramento della sanità pubblica causato dalla ricerca del profitto e dell’efficienza – quello che fino a ieri veniva ancora chiamato trionfalmente “nuovo management pubblico” – è sufficiente a scatenare una requisitoria implacabile contro un’ideologia che si rivela letteralmente mortifera. Con una reazione a catena che ha aggravato le disuguaglianze, la quarantena ha reso intollerabile tutta una serie di ingiustizie che finora avevano suscitato indifferenza nell’opinione pubblica: condizioni di vita precarie, abitazioni indegne, violenze familiari, la solitudine dei più anziani, il divario digitale, per non parlare delle fragilità dei paesi più poveri. Si scopre che il mondo che ha improvvisamente smesso di funzionare soffriva già da prima di un malfunzionamento generale.
Una congiuntura così vertiginosa è difficile da cogliere chiaramente nella sua interezza. Gli epidemiologi elaborano modelli di contagio, gli economisti valutano il costo degli anni di vita salvati, ma la curva dei decessi e le misure economiche non forniscono spiegazioni né conforto. L’essere umano non è un animale razionale se non in maniera molto imperfetta, perché accede al significato solo attraverso le forme simboliche; per pensare un capovolgimento così improvviso sono necessari simboli particolarmente potenti. Proporrò perciò un percorso attraverso alcune tradizioni religiose o esoteriche, il che non implica ovviamente alcuna adesione a un qualche sistema di credenze: si tratta più semplicemente di ammettere che queste tradizioni dispongono, per esprimere il senso di un’esperienza storica tanto complessa, di figure più adatte rispetto al vocabolario impoverito delle nostre tecnocrazie.
In effetti la prima immagine che si è affermata è con tutta evidenza inappropriata: questa non è una guerra contro un nemico invisibile, e l’uso di una retorica marziale testimonia prima di tutto della disgregazione dei simboli politici disponibili e dell’incapacità di enunciare in termini altri il primato dell’interesse pubblico. Tuttavia, su un altro piano, il paragone ha una certa pertinenza, perché la crisi sanitaria in corso sta effettivamente producendo gli esiti di un conflitto mondiale, pur evitando i danni materiali e umani che avrebbe potuto generare l’uso della forza nucleare. Le frontiere vengono chiuse, le sovranità nazionali si affermano, la leadership mondiale sembra scivolare dagli Stati Uniti verso l’Asia. Il modello ideologico della globalizzazione del mercato, dominante prima della crisi, ne uscirà distrutto; sul lungo termine gli accordi internazionali permetteranno forse di definire un nuovo ordine monetario e finanziario. Per il momento bisogna dunque rivolgersi ad altri simboli per riflettere sul processo incredibile che si è scatenato e sulla posta in gioco.
La quarantena come sacrificio
Quella che a Wuhan è stata un’operazione militare condotta a spron battuto da un potere dittatoriale diventa, una volta trasposta in un regime democratico, un’esperienza politica inattesa. Nonostante le difficoltà psicologiche e materiali che sono costretti a sopportare, gli abitanti dei paesi ricchi sembrano per lo più aderire alle misure di sicurezza imposte, e questo per ragioni che non si limitano alla sola paura del contagio.
Diverse tradizioni praticano forme di reclusione volontaria o imposta, che si tratti di allontanare le persone impure o di esperienze ascetiche che mirano ad accedere al numinoso. Nelle ultime settimane alcuni si sono forse sorpresi ad apprezzare un’esistenza quasi monastica, fatta di meditazione, di astinenza e di giardinaggio sui balconi. Una reclusione collettiva su scala nazionale è invece totalmente inedita. È difficile non vedere in questa esperienza un atto sacrificale con connotazioni penitenziali: una classe politica che ha avuto per decenni come unico orizzonte mentale il sostegno alla crescita e la sorveglianza del deficit abbandona improvvisamente tutti i suoi dogmi per organizzare una gigantesca distruzione della ricchezza, sospendendo il corso ordinario della riproduzione del capitale. Da parte loro i cittadini accettano di sacrificare la propria libertà di movimento e la propria spensieratezza per interrompere la propagazione di un virus. Individui che credevamo votati al solo calcolo egoista dei propri interessi scoprono di formare, tutti insieme, una società.
Anche altri fenomeni confermano l’emergere di una percezione più vivida della dimensione collettiva. Il ritorno degli espatriati (che prende la forma dell’espulsione degli stranieri in alcuni paesi del Sud) è uno degli aspetti più inattesi di questo grande terremoto; ognuno si ricorda dei propri legami familiari, locali, nazionali. Si potrebbe evocare anche la moltiplicazione degli atti di generosità – e in effetti non è tanto per preservare noi stessi che accettiamo di privarci della possibilità di uscire, ma per proteggere gli altri: per un bel paradosso, le misure di distanziamento fisico potrebbero rivelarsi, in fondo, un elemento di appartenenza al corpo sociale. Ma se si valuta l’accezione brechtiana del termine, questo distanziamento potrebbe anche produrre presso i suoi attori una coscienza capace di criticare la favola capitalista, una difficoltà a identificarsi nel ruolo che il mercato aveva assegnato loro.
L’invenzione di un rituale che si diffonde in tutto il mondo per applaudire la dedizione del personale medico illumi
na il senso di questo sacrificio. Un paese immobilizzato vede le sue funzioni vitali farsi improvvisamente visibili: le uniche cose che contano veramente sono i settori di cura, dell’alimentazione, della pulizia e dei trasporti, seguiti dagli agenti che assicurano la continuità della macchina statale e delle sue istituzioni principali. L’oscena teoria che giustificava i guadagni mirabolanti dei dirigenti in ragione di una loro pretesa utilità sociale viene rivoltata come un guanto; tutta la gerarchia delle professioni e degli stipendi dovrà essere rivista di conseguenza. Oltre che un’espressione di gratitudine, il rituale delle finestre si fa portatore di un’esigenza di giustizia, perché reclama che l’organizzazione sociale abbia come significato ultimo quello di permettere a ciascuno di condurre una vita dignitosa. Al di là di questa richiesta etica, resta da comprendere la natura del sacro implicato in questi sacrifici, che non si è ancora rivelata in modo chiaro alla coscienza degli attori sociali.
Il Giubileo
Attingendo al bagaglio mitologico dell’Occidente si possono richiamare diversi riferimenti biblici. Dopo i grandi incendi, l’invasione delle locuste nell’Africa orientale, le carestie ricorrenti e l’inabissamento futuro delle metropoli costiere, la pandemia potrebbe aspirare al titolo di nuova piaga d’Egitto inflitta al pianeta intero. È però più utile ricorrere alla nozione di Giubileo. Già le prime versioni della legge ebraica (i comandamenti dell’Esodo, e poi del Deuteronomio) imponevano una forma di riposo durante il settimo giorno per commemorare la creazione (Ex. 20, 8-11), e prescrivevano di non mietere né vendemmiare durante il settimo anno per lasciare il raccolto ai poveri, nonché di cancellare i debiti (Ex. 23, 10-12). Il Levitico, codice legislativo redatto al ritorno dalla cattività babilonese nel V secolo a.C., introduce l’idea di un sabba di anni[1].
Al termine di un periodo di sette volte sette anni, e cioè durante il cinquantesimo anno, la terra dovrà essere lasciata a maggese. La legge integra la remissione dei debiti con la liberazione degli schiavi e con la restituzione di case e campi che i più poveri avevano dovuto vendere: «santificherete il cinquantesimo anno e proclamerete la libertà nel paese per tutti i suoi abitanti: sarà per voi il giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà, e ognuno di voi tornerà nella sua famiglia» (Lv 25, 10). Questi rinnovamenti periodici si praticavano già negli imperi mesopotamici; la novità del Levitico riguarda il significato teologico che viene loro assegnato. Di fronte alla dominazione politica dei Persiani, un potere superiore formula la necessità morale della giustizia e del sostegno ai più deboli. Le ricchezze non possono essere accumulate per sempre, perché appartengono al Signore: «le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti» (Lv 25, 23).
Alla fine del XX secolo l’idea di un Giubileo è stata chiamata in causa per reclamare, con un certo successo, l’annullamento del debito per i Paesi più poveri[2]. Questa idea sarebbe oggi più necessaria che mai per fornire un quadro globale alle misure che vengono prese in ordine sparso. In alcuni casi le scadenze sono state rinviate e gli affitti privati o commerciali sono stati sospesi, ma senza che si giungesse a enunciare una regola generale. Il riferimento al Giubileo permetterebbe di dare un senso a questa interruzione del tempo comune. Durante la sospensione delle attività la regola d’oro del capitalismo non tiene più: il tempo non si può più convertire in denaro. Tutti quelli che hanno perso la loro fonte di guadagno devono essere esentati dagli oneri che gravano su di loro. Per saldare i conti con il ciclo che si conclude, sarebbe anche il momento propizio per cancellare le ingiustizie sociali accumulate. Tornare così indietro di cinquant’anni ci riporterebbe all’aprile del 1970, cioè alla prima celebrazione del Giorno della Terra, al momento in cui sembrava ancora possibile deviare il corso degli eventi, prima che l’ondata neoliberale sommergesse tutto.
Il termine ebraico yovel designa l’ariete e, per metonimia, le sue corna (shofar), tramite le quali viene proclamato l’anno giubilare nel giorno di Kippur del quarantanovesimo anno. Con scelta sottile la traduzione latina di Girolamo ha reso il termine con un’assonanza che evoca un grido di gioia (jubilaeus). Se si segue questo filo, il rituale delle finestre e dei balconi che si sta ripetendo in queste settimane potrebbe assumere il significato di un appello al perdono collettivo, alla giustizia sociale e alla santificazione della Terra, fino a suggerire di tramutare la paura in gioia. Eppure, dal momento che il Giubileo produce un semplice ritorno allo stato anteriore, questa nozione non sembra essere sufficiente per pensare la trasformazione storica globale che si sta compiendo: sono necessari altri elementi per arricchire la riflessione.
Saturno e la pandemia
Alcuni astrologi ebrei avevano osservato con più di un secolo d’anticipo l’eccezionalità della congiunzione di Saturno e Giove avvenuta nel marzo del 1345, considerata un annuncio di eventi messianici; curiosi e preoccupati, principi cristiani e papi ne avevano richiesto un’interpretazione. L’attesa per le sue conseguenze era talmente sentita che la congiunzione fu universalmente riconosciuta come causa prima della grande peste che devastò l’Occidente a partire dall’autunno del 1347.
L’ambivalenza di Saturno è ben nota: il più lontano dei pianeti visibili a occhio nudo sovrintende alla bile nera e alla malinconia, ma suscita anche l’ispirazione e il genio[3]. Visto dalla Terra, e contando la Luna e il Sole, è il settimo pianeta, e in quanto tale dà nome all’ultimo giorno della settimana. Per i cabalisti Saturno, pianeta del sabba, è intimamente legato alla sorte del popolo ebraico, alle sue persecuzioni e alla sua speranza di redenzione; il suo carattere oscuro, distruttore dei beni terrestri, non è che il rovescio della medaglia della tensione verso la saggezza eterna, l’annuncio della riparazione del mondo e la venuta del Messia[4].
Gli astrologi moderni continuano a utilizzare le tecniche antiche, aggiungendo però ai loro calcoli i pianeti scoperti più recentemente. Da molto tempo erano stati segnalati gli imponenti effetti che avrebbe esercitato la congiunzione di Saturno e Plutone in Capricorno il 12 gennaio 2020, seguita da altre congiunzioni di questi pianeti lenti con Giove. Non è necessario essere convinti della fondatezza del determinismo astrale per essere sensibili alla capacità dei cicli planetari di dare un senso ai casi della storia umana. L’ultima congiunzione di Saturno e Plutone risale al 1982, ossia al preciso momento in cui si è affermata l’ideologia neoliberale; ma il loro ultimo incontro in Capricorno – la casa di Saturno, dove i suoi effetti sono decuplicati – aveva avuto luogo nel 1518, tra la proclamazione delle tesi di Lutero e la conquista del Messico da parte di Hernán Cortés. La Riforma protestante e l’occupazione americana sono due elementi chiave dell’epoca che chiamiamo moderna, che potrebbe ora giungere al termine; vale la pena misurare la rivoluzione che il pianeta sta vivendo alla luce di tali ribaltamenti nella storia della civ
iltà. Con l’aiuto della crisi scatenata dalla pandemia potremmo entrare in una nuova modernità finalmente cosciente delle sue possibilità etiche, sociali ed ecologiche.
L’arte della sospensione
Nei Tarocchi di Marsiglia la carta dell’Impiccato presenta la stessa ambivalenza di Saturno. Appeso per un tallone al cappio, l’altra gamba piegata, il giovane, pur tirato verso terra, ha gli occhi rivolti al cielo. Sarebbe difficile trovare una figura più distante di lui. Nei primi giochi del XV secolo teneva una borsa in ogni mano, immagine infamante del traditore sedotto dal denaro. Ma nella sua impotenza fisica, con il corpo legato, l’Impiccato è costretto a rientrare in sé stesso per realizzare un’inversione dei valori; nella lettura degli alchimisti è con lui che comincia l’iniziazione spirituale. Ora, come non notare che la sua posizione è esattamente quella del pipistrello?
Le modalità della trasmissione iniziale del virus non sono ancora state stabilite con precisione, ma la causa generale non lascia spazio al dubbio. A seguito di una deforestazione eccessiva, le attività umane si sono pericolosamente avvicinate alle grotte dove vivono i pipistrelli. L’idea di una “vendetta della natura” è davvero troppo generica per essere convincente, ma si può formulare un’ipotesi che le dia un significato più preciso: disturbati, nel loro uso degli ultrasuoni, dallo sviluppo del 5G a Wuhan, i pipistrelli avrebbero reagito a queste onde artificiali con un semplice gesto di auto-difesa. Detto altrimenti, questo terremoto economico e politico mondiale sarebbe stato scatenato dall’escremento di un chirottero esasperato dalle ultime tecnologie.
I pipistrelli, gli unici mammiferi capaci di volare, sono dotati di una capacità di cui gli umani sono gelosi: non è un piccolo successo l’essere riusciti a paralizzare le nostre flotte volanti meccaniche. Queste creature sociali, che vivono in colonie talvolta di centinaia di migliaia di individui, ci presentano come in uno specchio i difetti della nostra società industriale: vivevamo nell’oscurità e nel buio delle caverne, la testa rivolta indietro, lottando gli uni contro gli altri dimentichi della necessità di una solidarietà di specie, distruggendo il nostro habitat per assecondare dei capricci infantili. I pipistrelli hanno costretto l’umanità a sospendere le sue attività come le sue certezze, per invitarla a procedere, sull’esempio dell’Impiccato, all’inversione dei suoi valori terrestri. Oserei perfino suggerire che, così facendo, i pipistrelli hanno esaudito i desideri segreti di una maggioranza silenziosa, incapace di farsi ascoltare, che anelava a un momento di respiro nella corsa al profitto.
Per i predicatori medievali l’usura è caratterizzata dalla crudeltà nei confronti dei deboli: l’usuraio è il cannibale che divora le sostanze del prossimo. Nei suoi principî il capitalismo moderno ha generalizzato questa estorsione sanguinaria. I pipistrelli saranno anche (in alcune specie) dei vampiri, ma succhiano solo il sangue di cui hanno bisogno per vivere; a voler ascoltare la loro lezione, ci insegnano una regola di auto-limitazione dei nostri bisogni. Ma i pipistrelli ci pregano anche di lasciarli liberi di ricostituire le dense foreste in cui vorrebbero vivere senza essere disturbati dalle nostre tecnologie inutili – quella parte selvaggia del mondo indispensabile alla nostra salute mentale.
Uscire dalla caverna
L’isolamento è stato decretato come misura d’urgenza, senza che i governi che lo imponevano sapessero come uscirne. Vale la pena rifletterci, perché le modalità con cui si realizzerà il ritorno alla normalità costituiscono la più grande sfida del secolo a venire.
Il virus ha ricordato agli Occidentali quello che gli abitanti dei paesi tropicali non avevano mai avuto il lusso di dimenticare: gli esseri umani sono animali come gli altri, vulnerabili esattamente quanto gli uccelli agli agenti patogeni invisibili. Questa fragilità contrasta in modo stridente con la loro capacità di concepire e produrre macchine sofisticate, infinitamente più solide, intelligenti e potenti di loro. La pandemia ha smascherato il fantasma ultimo della scienza medica moderna, cioè la pretesa di abolire la morte.
È necessario, per uscire dalla caverna, affidare il nostro destino a strumenti di controllo che “traccerebbero” i nostri stati di salute e i nostri spostamenti? Significherebbe acconsentire a vivere in una società di sorveglianza totale; avremmo salva la vita, certo, ma al prezzo di un asservimento ancora maggiore alle macchine intelligenti, nell’illusione che abolire la morte continui a essere la prospettiva più auspicabile, senza realizzare che una simile abolizione non farebbe che mettere fine alla definizione stessa di umanità.
L’alternativa consiste nell’accettare la nostra vulnerabilità animale, pur con tutte le misure di prudenza ragionevolmente compatibili con il mantenimento delle libertà civili. Il virus ha messo alla prova le nostre difese immunitarie, sia quelle psicologiche che quelle sociali. Sono queste che vanno rafforzate, invece di affidarsi ciecamente a delle tecnologie destinate a proteggerci dai pericoli esterni. Questa ipotesi richiede di imparare ad accogliere e ad accettare la morte come parte integrante della vita: tale accettazione è in realtà il significato profondo della carta dell’Impiccato, dodicesimo arcano seguito da quello della Morte. Non abbiamo ancora finito di meditare su questa figura, nella quale si concentrano tutti i nostri dilemmi. Inquadrato tra due tronchi d’albero sormontati da una trave, l’Impiccato incarna gli stati successivi attraverso i quali passiamo, incollati alle finestre, dall’incomprensione all’accettazione di questo capovolgimento.
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Repentino e imprevisto, il confinamento sarà valso come allerta per preparare i popoli ad affrontare altre crisi. Palesemente l’umanità non è ancora matura per imboccare la giusta via senza esservi spinta da uno choc esterno. Il pianeta è entrato in una fase saturnina i cui effetti si faranno sentire per parecchi anni: è un momento propizio per pensare a un rovesciamento dei valori dominanti. Non sono però gli astri, bensì le mobilitazioni collettive che determineranno la piega che prenderanno gli eventi. Il programma che ci detta il virus, la pista che i pipistrelli ci invitano a seguire si può descrivere con semplicità: è urgentissimo lavorare al restauro delle nostre difese immunitarie, individuali e collettive. Un simile programma ecologico e sociale invita a contestare la presa che l’industria esercita sulla nostra alimentazione, a liberarsi dalla paura ansiogena e a rafforzare tutte le solidarietà. Se nel breve periodo si possono temere gli effetti nefasti delle affermazioni di sovranità nazionale, è anche possibile intravedere la prima fase di una riconquista del controllo politico dei destini collettivi. Da questa crisi all’umanità resterà il ricordo di essere stata minacciata in quanto specie; la coscienza mondiale che è in gestazione durante questo dramma potrebbe diventare la forza politica maggiore di questo secolo.
Pubblicato in https://aoc.media/opinion/2020/04/26/meditations-saturniennes/
Traduzione di Gaia Tomazzoli.
* Sylvain Piron è un medievista e insegna all’EHESS di Parigi; ha studiato con Jacques Le Goff e Alain Boureau. Si è occupato, sulla scia di questa tradizione, di storia intellettuale del medioevo e in particolare di dissenso francescano ed eresia, di storia degli intellettuali nell’età di Dante e soprattutto, recentemente, di storia della formazione dei concetti economici nel medioevo. Ha pubblicato, a questo proposito, il primo di una serie di volumi, dal titolo "L’occupation du monde". In Italia è uscito l’anno scorso, per Adelphi, "Dialettica del mostro", su un interessantissimo caso di intreccio tra immaginario geografico ed ecclesiastico nel Trecento.
[1] Olivier Artus, Lévitique 25: Année sabbatique et Jubilé dans le contexte des traditions bibliques et des cultures du Proche-Orient ancien, in «Transversalités», 129 (2014), pp. 7-27 (https://www.cairn.info/revuetransversalites-2014-1-page-7.htm).
[2] Jean-Michel Bonvin (a cura di), Dette et Jubilé. Imprimer un rythme à l’économie, Genève, Observatoire de la Finance, 1999 (http://www.obsfin.ch/publications-2/debt-and-the-jubilee).
[3] Raymond Klibansky, Erwin Panofsky, Fritz Saxl, Saturne et la mélancolie, Paris, Gallimard, 1989.
[4] Moshe Idel, Gli ebrei di Saturno. Shabbat, sabba e sabbatianesimo, Firenze, Giuntina, 2012.
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