Scandali e pedofilia: la Chiesa tra pubbliche virtù e vizi privati
don Raffaele Garofalo
Gli ultimi scandali legati ai vertici della Protezione Civile e l’esecrabile realtà della pederastia emersa tra religiosi in molti Paesi costituiscono un uragano devastante che si abbatte non solo sulla Istituzione religiosa, costretta a fare i conti al suo interno con i propri principi morali e di fede, ma induce anche la società civile a ristabilire un sano rapporto con l’etica, riferimento abbastanza eluso dalla pratica politica e dalla vita delle persone.
Sigmund Freud ha analizzato il processo per cui in seno all’Io possono costituirsi “due atteggiamenti psichici, di cui uno tiene conto della realtà e l’altro la nega sostituendola con il contenuto di un desiderio” (Galimberti). L’articolo di Francesco Merlo, su La Repubblica del 06/03/10, costituisce una esauriente esemplificazione dell’enunciato del padre della psicanalisi.
I fondi neri di Diego Anemone, scrive il giornalista, erano nascosti in casa di un prete, dietro un quadro religioso; il funzionario corrotto Angelo Balducci si onora del titolo di Gentiluomo di Sua Santità; l’aitante nigeriano “compiacente” fa parte del coro della Cappella Giulia e le telefonate per concordare gli “incontri” venivano fatte nell’Istituto di Propaganda Fide, nella residenza di un cardinale; il devoto Balducci fissa l’appuntamento galante subito prima di vedersi con un monsignore. L’incontro infine avviene in Seminario.
Sembra la descrizione di una scena scandalistica, inventata per denigrare il mondo devoto della religione, amaramente, invece, è solo la realtà spietata della cronaca. E’ fuori luogo, nel caso, fare appello alla fragilità umana, alla debolezza della carne… il fenomeno richiama piuttosto lo sdoppiamento di personalità di un Totò Riina, di un Alfredo Provenzano, che programmano carneficine di persone mentre sfogliano la Bibbia e baciano il crocifisso con la benedizione di un cappellano personale. È la “scissione” del “missionario” che adora il Preziosissimo Sangue di Gesù mentre ricicla denaro sporco col quale pensa di “fare beneficenza” in Africa, in stridente contrasto coi principi fondamentali della morale. La professione di fede diventa così il mantello per coprire le vergogne e il perdono cristiano si fa caparra per poter programmare una vita priva di scrupoli, ispirata al personale tornaconto.
Quanto mai attuale (giustificato) appare il sarcasmo del Boccaccio della novella. Il merito della conversione al cristianesimo del pio israelita parigino non è attribuito alla forza trascinatrice dell’esempio dei cristiani, quanto, paradossalmente, agli scandali che il seguace di Mosé osserva, esterrefatto, nel far visita a Roma e in Vaticano. Se, nonostante la corruzione dei suoi aderenti, la Chiesa resiste nei secoli, commenta il mercante convertito, vuol dire che essa realmente è sorretta dal vero Dio!
Ma la piaga cancrenosa che maggiormente sta affliggendo l’istituzione ecclesiastica e il mondo cattolico, con gravi ripercussioni sull’intera società, è la violenza sui minori di cui sono responsabili alcuni religiosi. Il fenomeno sta diventando sempre più allarmante dopo le recenti rivelazioni di ex allievi del “Coro dei Passeri” del Duomo di Ratisbona, del Canisius-Kollegium e del monastero benedettino di Ettal, definito l’abbazia degli orrori. Si parla di “percosse contro i bimbi più piccoli … di piacere sadico e gusto della violenza mosso da una sessualità perversa… di tecniche di violenza raffinate… di macabro nonnismo tra frati o sacerdoti… di criminale fantasia”.
Il papa è fortemente irritato. Da qualche tempo Benedetto XVI sembra aver invertito la rotta esprimendo una esplicita condanna dei gravi fatti, ma nel 2001 il cardinale Ratzinger, dopo le denunce avanzate anche nel nostro Paese, avocava ogni giudizio e decisione alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Bisognava evitare pubblicità e “scandalo” sul posto, e calare il silenzio sul problema che veniva così rimosso. Ora il male ha rotto gli argini e l’indignazione più profonda non è sufficiente, non valgono le preghiere recitate nelle chiese, né basta il risarcimento della severa condanna di quei religiosi che hanno rovinato la vita a tanti bambini, infangando l’immagine della Chiesa. Il male va curato alla radice, vale anche per i comportamenti umani deviati.
Alcuni teologi, tra i quali Bernard Haering e Hans Kung, hanno indicato da tempo una strada per arginare il doloroso problema ma sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI hanno sempre rifiutato di intraprendere il percorso suggerito. La formazione del clero, più che mai, richiede garanzia di un equilibrio della personalità del religioso. Questo avviene anche nello stato celibatario, ma la rinuncia alla sessualità, componente essenziale dell’essere umano, non pregiudica l’equilibrio della personalità e acquista autentico valore morale solo se oggetto di libera scelta da parte dell’individuo. Non tutti sono chiamati a “farsi eunuchi per il Regno dei Cieli”, è parola di Cristo. “Non tutti comprendono questo discorso, ma soltanto coloro ai quali è dato…”. ( Mt 19, 11-12)
Spesso la pederastia è lo sbocco di ripiego delle pulsioni erotiche per chi, incapace di controllare i propri impulsi, non riesce ad affrontare un rapporto d’amore adulto. Il bambino diventa preda facile negli ambienti di più naturale esposizione al pericolo quali i seminari, le scuole, le parrocchie e gli oratori.
L’abolizione del celibato obbligatorio (oltre che a riammettere nel servizio quei preti sposati che hanno lasciato il ministero solo per amore di una donna) “potrebbe” ridurre il rischio di pericolose deviazioni. E’ vero che ci sono anche uomini sposati pederasti, ma l’elevato numero riscontrato tra il clero celibatario cattolico evidenzia una “peculiarità” del fenomeno che deve far riflettere le gerarchie ecclesiastiche. La Chiesa ha fatto del celibato religioso un tabù rimovendo da sempre il problema. La pratica celibataria imposta non appartiene al patrimonio morale “non negoziabile” della dottrina cristiana, ma ad una norma che la Chiesa stessa ha introdotto, in maniera definitiva in Occidente nel secolo XI, dietro l’impulso del monachesimo e della Riforma di Gregorio VII. Tale regola suscitò una ferma opposizione da parte del clero, vescovi compresi, come ricorda Hans Kung.
Nelle comunità cristiane delle origini gli Apostoli erano sposati e le donne che li seguivano “per accudirli” (Mc 15, 41), a buona ragione dobbiamo ritenere che fossero le loro mogli. Cristo non avrebbe agito da “cristiano”costringendo i suoi discepoli ad abbandonare le compagne legittime, mettendo a rischio la loro stessa sopravvivenza e contro lo spirito della legge del Levirato. I discepoli del Maestro avrebbero “rinunciato” alle proprie mogli per poi portarsi al seguito “altre” donne?
Con ammirevole trasporto S. Paolo celebra le lodi dello stato celibatario, rispetto a quello matrimoniale, ma alla fine, con saggezza, ai suoi seguaci raccomanda: “Melius est enim nubere quam uri”. Meglio sposarsi che bruciare dal desiderio. (1 Co 7,9) Era l’unica alternativa.
(11 marzo 2010)
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