Se il Salone di Torino ignora che il fascismo è fuorilegge

Paolo Flores d’Arcais

Lo spazio concesso dal Salone del Libro di Torino ai fascistissimi delle edizioni Altaforte è l’ennesimo episodio con cui i valori della Costituzione – che dovrebbero essere l’abc ineludibile di una manifestazione culturale democratica – vengono calpestati e irrisi. Giustissime le proteste, da Raimo a Ginzburg e Wu Ming. Perché denigrare la Resistenza o esaltare il fascismo significa violare la legge. Ma troppi lo dimenticano.



Il Salone di Torino ha concesso uno stand all’editore Altaforte. Se si va sul relativo sito, alla prima schermata compaiono titoli come “La morte a grinta dura – squadristi 1919-1923”, “La rivoluzione fascista”, “Gente di squadra”. Continuando con le schermate continuano le fascisterie. Christian Raimo, consulente del Salone, trova che sia l’ennesimo episodio di un clima di revanscismo fascista e razzista intollerabile, lo scrive in un post (ripreso dal Corriere della Sera il giorno dopo) in cui di questo clima fa anche cinque nomi che impazzano ormai in tv e sui media: Alessandro Giuli, Francesco Borgonovo, Adriano Scianca, Francesco Giubilei e Pietrangelo Buttafuoco.

Raimo ha il torto di dire una semplice verità, come il bambino della fiaba di Andersen. Maurizia Rebola, presidente del “Comitato d’Indirizzo” del Salone, cui spetta vagliare le richieste degli editori per avere uno stand, difende la scelta di averlo concesso ai fascistissimi delle edizioni Altaforte con un comunicato che avrebbe mandato in solluchero il manzoniano don Abbondio (quello di “il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”). Siccome la casa editrice non è stata mai condannata in base alla legge Scelba e alla legge Mancino (le due leggi che puniscono apologia di fascismo e razzismo) “è pertanto indiscutibile il diritto per chiunque non sia stato condannato per questi reati di acquistare uno spazio al Salone e di esporvi i propri libri”.

E chi l’ha detto? Se fosse così non ci sarebbe bisogno di un “Comitato d’Indirizzo” (retribuito?), basterebbe il casellario giudiziario. Un comitato, proprio perché “d’Indirizzo”, stabilisce i criteri con cui “indirizza” le scelte, formula i sì e i no. Tirare in ballo la magistratura è la forma ormai standard di viltà con cui una infinità di organismi, istituzioni, persone, non appena una loro scelta suscita polemiche, prova a scaricare le proprie responsabilità. Ma la magistratura ha il compito di stabilire se determinati comportamenti meritano la galera, non una candidatura elettorale, una presenza nei talk show, la pubblicazione di un testo, la presenza di un editore a un salone del libro.

Subissato di attacchi, compreso quello di un sottosegretario leghista (la senatrice Lucia Borgonzoni, sottosegretario ai Beni culturali: appena nominata, in una trasmissione radio dichiarava di aver letto l’ultimo libro tre anni prima, qualche giorno fa ha garantito invece in tv che il suo collega Siri “è persona specchiata”) Raimo si è dimesso.

Come risposta, il collettivo Wu Ming (pseudonimo di un collettivo di scrittori autori di numerosi best seller), e Carlo Ginzburg, uno dei maggiori storici viventi (in ambito internazionale, non solo italiano), hanno dichiarato che non andranno al salone, dove erano previsti di dibattiti di presentazione dei loro ultimi lavori.

Hanno fatto benissimo. La dichiarazione del “Comitato d’Indirizzo” è infatti indecente, i valori repubblicani della Costituzione nata dalla Resistenza antifascista dovrebbero costituire il minimo irrinunciabile dei criteri “d’Indirizzo” cui informare i lavori di una manifestazione come il Salone del libro (e qualsiasi altra manifestazione a dire il vero). Se si reagisce solo invocando “un dibattito” si è già rinunciato a considerare i valori della Costituzione (che sono esattamente quelli della Resistenza antifascista) come l’abc ineludibile di una manifestazione culturale democratica. Su questi valori non ci può essere dibattito alcuno: chi rifiuta quei valori è fuori dalla patria, fino a che questa resti democratica, perché la Costituzione repubblicana è esattamente il patto comune su cui fondare in Italia la civile convivenza, l’essere ciascuno concittadino all’altro. A maggior ragione una iniziativa culturale.

In realtà la legge Scelba (1952) e la legge Mancino (1993) dovrebbero aver sanzionato e sanzionare una quantità di comportamenti che la magistratura invece omette di perseguire, benché l’azione penale sia obbligatoria (ministro Bonafede, non sarebbe il caso di intervenire con una circolare e con qualche ispezione?). L’articolo 1 della legge Scelba infatti recita: “si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista”.

Basta cioè denigrare i valori della Resistenza, o esaltare esponenti del fascismo, o compiere manifestazioni esteriori di carattere fascista, per violare la legge. Non ho fatto ricerche su tutti i nomi citati da Christian Raimo. In un articolo su MicroMega del 2014 (il numero 8), già ricordavo però come Christian Rocca, a proposito di Pietrangelo Buttafuoco (suo amico e “compagno di banco” al quotidiano “Il Foglio”), il 19 novembre 2011 scrivesse: “Pietrangelo Buttafuoco è un caro ragazzo, per quanto orgogliosamente (ma io ho sempre sperato “artificialmente”) nazista … mi chiedo sinceramente se Pietrangelo abbia mai letto i suoi stessi libri scritti in dolce stil nazi” e usava per definire un suo lavoro recente l’aggettivo “stomachevole”. Un romanzo è dedicato agli amori di Göring, il vice di Hitler, e in una intervista Buttafuoco paragona lui e la moglie a Lancillotto e Ginevra, il suo precedente “Le uova del drago” narra di una spia nazista, naturalmente bellissima, che combatte, naturalmente eroicamente, contro gli americani sbarcati in Sicilia e contro i partigiani, che naturalmente sono spregevoli traditori (esemplare “sine ira et studio” la recensione che ne fece Andrea Cortellessa).

Ripeto: non so se con gli altri nomi citati da Raimo si arrivi a tanto, ma di “denigrazione dei valori della Resistenza” credo se ne troverà a iosa. E del resto è stato il responsabile della casa editrice Altaforte, Francesco Polacchi, ad aver immediatamente dichiarato: “Sono fascista … Mussolini è stato sicuramente il miglior statista italiano”, violando con ciò la legge Scelba che vieta l’esaltazione di esponenti del fascismo (ma nessun magistrato lo incriminerà, ci scommetto).

Wu Ming e Carlo Ginzburg hanno dato la risposta più semplice, lineare, coerente, a questo ennesimo episodio con cui i valori della Costituzione vengono calpestati e irrisi. Non credo
che saranno in molti a seguire il loro esempio. La Grundnorm su cui poggia la legittimità dell’intero sistema giuridico italiano (il fatto storico Resistenza antifascista) viene preso sul serio sempre meno, ed è questa indifferenza il cuore del pre-fascismo del governo Salvini, il brodo di coltura in cui prospera.

[aggiungo il link a un articolo scritto il 7 dicembre 2017: ]

(6 maggio 2019)







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