Sharia islamica, multiculturalismo e laicità
di Michele Martelli
È accaduto in Francia. La Corte di appello di Douai ha cancellato la sentenza di primo grado con cui un giudice di Lille aveva annullato il matrimonio tra due francesi musulmani di origine marocchina. Motivo dell’annullamento? La notte delle nozze il marito aveva scoperto che la moglie non era vergine. Nella prospettiva del multiculturalismo, il marito ha ragione. C’è una pluralità di culture, tra di loro incomparabili; ogni cultura ha le sue norme e regole, di uguale validità e applicabilità. Nel caso specifico, se la giovane sposa non è vergine, per la sharia, la legge islamica, il matrimonio non è valido. Quindi va annullato. Il giudice di Lille non ha certo applicato la sharia. Ma ha scovato nel codice civile francese la norma («un errore sulle qualità essenziali del coniuge»), che fosse consona allo spirito della sharia. Ma così facendo, ha in realtà male interpretato la norma. Per il codice francese la non-verginità non è, ovviamente, una «qualità essenziale» nella vita sessuale dei coniugi, né per la moglie né per il marito. Nei casi limite, il multiculturalismo entra in conflitto con sé stesso.
O la sharia o la legislazione civile laica. Tertium non datur. Altrimenti, si cadrebbe nella caricatura del relativismo culturale fatta da Ratzinger: se tutte le culture fossero valide nella stessa misura, nessuna lo sarebbe davvero. Compararle criticamente, elaborare criteri di preferenza, scegliere, sarebbe assurdo. E come Annibale alle porte di Roma, il nichilismo minaccerebbe la nostra civiltà laica.
Laicità non è assenza, o indifferenza valoriale, ma costruzione critica e scelta consapevole di valori. Tra la sharia, che presuppone l’inferiorità della donna, e la legislazione democratica, che stabilisce l’uguaglianza dei cittadini, indipendentemente dal sesso, come non selezionare il meglio dal peggio per salvaguardare la dignità individuale e la convivenza civile? Non farlo, equivarrebbe ad arrendersi all’offensiva dei fondamentalismi religiosi. Dai quali i valori laici (libertà e uguaglianza dei cittadini, autodeterminazione individuale, diritti umani), frutto di lotte secolari, sono oggi sistematicamente calpestati. Gli Stati arabi hanno approvato due convenzioni, ambedue ispirate alla Carta dell’Onu del 1948, ma con la riserva invalidante che non siano in contrasto con la sharia. Lo dice espressamente la “Dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell’Islam” (1990): «Articolo 24. Tutti i diritti e le libertà enunciate nelle presente Dichiarazione sono soggette alla sharia islamica. – Articolo 25. La sharia islamica è la sola fonte di riferimento per l’interpretazione di qualsiasi articolo della presente Dichiarazione». E lo ripete nel preambolo la “Carta araba dei diritti dell’uomo” (1994). Da ciò, per quanto riguarda la condizione della donna, l’imposizione del velo, della verginità prematrimoniale, del divieto di adulterio (pena la lapidazione pubblica), fino alle misure estreme dell’Afghanistan (pro)talebano, dove si imprigiona la donna in casa e nel burqa. È recentissima la notizia di una studentessa afghana di Kandahar finita in ospedale col viso ustionato mentre e perché si recava a scuola. Era completamente imburqata, ma troppo poco per i suoi fanatici aggressori, armati di pistola carica di acido solforico. La donna non ha diritto all’istruzione. Non può ricoprire nella società ruoli pubblici e dirigenziali. Segregata dentro le mura domestiche: solo madre, moglie, figlia, sorella. Con funzione esclusivamente riproduttiva.
Una volta così la pensavano, anche da noi, le gerarchie cattoliche (da quelle della Chiesa costantiniana a quelle del Concilio tridentino fino ai Santissimi Papi Pii IX, XI e XII: proles, fides, sacramentum, inferiorità della moglie e obbedienza al marito). Ma sono stati messe alle corde dal progresso civile e dal secolarismo.
L’emancipazione femminile non si è fermata.
(20 novembre 2008)
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