Si può fare. I gesuiti di Milano sollecitano il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali
Un’apertura che farà discutere quella di Aggiornamenti Sociali, mensile promosso dai gesuiti dei Centri Studi Sociali di Milano e di Palermo. Sul numero di giugno, infatti, la rivista diretta da p. Bartolomeo Sorge ha pubblicato i risultati di una ricerca condotta dal proprio Gruppo di studio sulla bioetica in merito alla possibilità di riconoscere giuridicamente le unioni omosessuali. Scopo del contributo, tentare di "delineare criteri che consentano (non solo ai credenti) di procedere alle mediazioni politiche e legislative sempre più richieste da un contesto pluralista", attraverso la riflessione sulla possibilità di "istituire una disciplina giuridica di un legame tra due persone dello stesso sesso, non basandosi specificamente sulla sua connotazione omosessuale, quanto piuttosto sul suo significato per la vita sociale".
Riconosciuto che le cause che concorrono a determinare un orientamento omosessuale sfuggono alla volontà del soggetto, Carlo Casalone, vicedirettore del mensile, afferma che "il compito dell’etica non sta nell’insistere per modificare questa organizzazione psicosessuale, ma nel favorire per quanto possibile la crescita di relazioni più autentiche nelle condizioni date". La richiesta di riconoscimento giuridico da parte di coppie omosessuali è elevata: infatti, come sottolinea Giacomo Costa, caporedattore, "in assenza di alternative, il modello matrimoniale, pur compreso in senso limitato come ‘riconoscimento pubblico di una relazione affettiva’, rimane un punto di riferimento giuridico, oltre che simbolico per le convivenze omosessuali perché, alla base della rivendicazione, sta un desiderio di riconoscimento tout court della propria dignità". Uno degli aspetti vissuti con maggiore difficoltà dagli omosessuali è infatti l’essere "socialmente invisibili": "La lotta per il riconoscimento dei diritti civili e sociali – continua Costa – costituisce di fatto uno sforzo per entrare con il proprio progetto di vita nel ‘ciclo di vita’ della società nel suo insieme".
Analizzando le argomentazioni che nella riflessione etico-teologica conducono ad una valutazione morale negativa sulle relazioni omosessuali, Massimo Reichlin, professore di Etica della vita all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, conclude che "è dubbio che tali argomenti giustifichino il rifiuto di qualunque disciplina legislativa delle unioni omosessuali". "Nella misura in cui non le equipari al matrimonio – continua Reichlin -, ma riconosca alcuni diritti, fondati sulla continuità di una convivenza e di una relazione affettiva, pare difficile sostenere che un simile riconoscimento costituirebbe una svalutazione dell’istituzione matrimoniale o una modificazione radicale dell’organizzazione sociale". Proprio la continuità e la stabilità della relazione costituiscono, come ricorda Angelo Mattioni, professore di Diritto costituzionale all’Università Cattolica di Milano, "il dato cui la Corte Costituzionale ricollega il necessario riconoscimento di un rapporto che dà fondamento all’esercizio di diritti e all’adempimento di doveri". La Corte, escludendo l’estensione delle norme che configurano la condizione giuridica della famiglia, di cui all’art. 29 della Costituzione, ad altre forme di convivenza, ha ritenuto loro fondamento costituzionale l’art. 2 che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità. Come rileva Mattioni, "risultano sostanzialmente irrilevanti le caratteristiche dei membri che fanno parte di tale formazione sociale": infatti, riconoscendo "nella stabilità la fonte di questi diritti e doveri, risulterebbe contrario al principio di uguaglianza escludere da queste garanzie certi tipi di convivenze".
"Non spetta al legislatore – evidenzia Mario Picozzi, professore di Medicina legale all’Università degli Studi dell’Insubria – "indagare in che modo la relazione viene vissuta sotto altro profilo che non sia quello impegnativo dell’assunzione pubblica della cura e della promozione dell’altro e di altri". "Invaderebbe campi che non le appartengono una scelta politica che volesse stabilire a priori forme accettabili di espressione di quel legame e in base ad esse riconoscere e garantire determinate tutele". "Il riconoscimento giuridico del legame tra persone delle stesso sesso – continua Picozzi – trova la sua giustificazione in quanto tale relazione sociale concorre alla costruzione del bene comune". "Prendersi cura dell’altro, stabilmente, è forma di realizzazione del soggetto e al tempo stesso contributo alla vita sociale in termini di solidarietà e condivisione". In questo quadro, la scelta di riconoscere un siffatto legame, "senza mettere in discussione il valore della famiglia ed evitando così indebite analogie" appare, secondo Picozzi, "giustificabile da parte di un politico cattolico". Essa rappresenta infatti "un’opzione confacente al bene comune, di promozione di un legame socialmente rilevante, di un punto di equilibrio in un contesto pluralista in cui potersi riconoscere, di risposta praticabile a una esigenza presente nell’attuale contesto storico".
Fonte: www.adista.it
(19 giugno 2008)
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