Si può uscire dalla violenza religiosa?
Sara Hejazi
L’alba dell’uomo, in 2001 Odissea nello spazio, fa coincidere la prima azione violenta delle scimmie paleolitiche con la nascita della civiltà.
Così, nel noto film di Kubrick, la scimmia, dopo aver ucciso il suo simile, lancia in aria l’arma del delitto – l’osso di un animale –, che nella sequenza successiva diventerà un’astronave. Violenza e civiltà si presentano come un binomio indissolubile. Questo vale anche per il binomio violenza/religione.
Non c’è bisogno di richiamare alla mente tutti i miti religiosi che hanno nella violenza il proprio atto fondante.
Lo zoroastrismo ha trasformato i miti di battaglie e combattimenti sanguinosi nella teologia dell’eterna lotta tra bene e male; nella Bibbia ebraica Caino uccide Abele; il Cristianesimo delle origini si esprime anche attraverso l’idea di martirio fisico; l’Islam ha contemplato la lotta armata fin da quando formava la prima comunità di fedeli.
Certo non tutte le religioni sono violente allo stesso modo, ma tutte hanno contemplato, in modi differenti, una dose di violenza al loro interno.
Il passaggio al terzo millennio non ha certo diminuito la portata violenta dei credi religiosi, tutt’altro: L’11 Settembre, il conflitto israelo-palestinese, l’Irlanda del Nord, i conflitti nazionalisti nei Balcani, le guerre etniche in Africa, le lotte tra l’india e il Pakistan, le azioni terroristiche dei fondamentalisti cristiani negli Stati Uniti, l’attentato alla metro di Tokyo da parte della setta Aum ShinriKyo, la morte di centinaia di persone nell’incendio della Chiesa del Movimento per la Restaurazione dei Dieci Comandamenti di Dio in Uganda, la persecuzione di Falun Gong in Cina… sono tutti avvenimenti che dal duemila in poi hanno risancito l’antico legame violenza/religione.
E se i due concetti sembrano essere in qualche modo “naturalmente” uniti, è possibile, oggi, separarli? Si può, insomma, uscire dalla violenza religiosa?
E’ questo il punto di partenza da cui muove la riflessione di una ricerca di due anni, intrapresa in seno alla Fondazione Bruno Kessler, in collaborazione con Reset-doc e il Berkley Center for Religion, Peace and World Affairs, i cui risultati saranno presentati nella conferenza internazionale che si terrà a Trento dal 10 al 12 ottobre con il titolo “Exiting Violence: the Role of Religion. From Texts to Theories”. L’idea è quella di indagare il legame che esiste tra religione e violenza e interrogarsi sul ruolo che i testi sacri giocano nelle diverse tradizioni religiose in rapporto alla violenza e al conflitto, non soltanto in ambito teologico, ma anche in relazione al contesto politico nazionale ed internazionale, alla sfera pubblica, alle sfide poste dal pluralismo culturale e religioso, prendendo in particolare considerazione le tre grandi religioni monoteiste, il buddismo e l’induismo.
Ma c’è uno spazio “fisico”, all’interno delle religioni, in cui trova domicilio la violenza?
“La violenza si può trovare nei testi sacri” spiega la ricercatrice della Fondazione Bruno Kessler, Debora Tonelli- “Questi giocano un ruolo fondamentale nel forgiare le teorie ma anche le grandi narrazioni degli attuali conflitti internazionali. Il testo sacro è dunque il punto focale da cui si snoda poi la legittimazione della violenza religiosa, presentando la violenza tra gli uomini come violenza divina. E’ per questo che esiste un legame sottile e fondamentale tra testo sacro e azione politica.”
Ci sono dunque due livelli di lettura del violento nel religioso: il primo è quello dell’intreccio tra la storia di una confessione religiosa e gli episodi di violenza che hanno segnato la sua evoluzione; l’altro invece è la violenza intrinseca al messaggio religioso, cioè nel testo sacro. Se alcune scuole di pensiero considerano il testo come dato letterale, alimentando un’interpretazione rigorista ed esclusivista della religione, altre teorie ritengono che le religioni non siano variabili indipendenti e decontestualizzate, ma un fattore legato alla sfera sociologica, politica, storica, economica ed etica, inserite in contesto culturale che risulta essenziale per la loro comprensione.
E’ il caso, ci dice il Professore Enzo Pace- relatore al Convegno di Trento- dei monaci buddhisti singalesi che hanno intrapreso una vera e propria lotta armata contro le minoranze religiose musulmane ed evangeliche in Sri Lanka e Myanmar.
“Si è venuta a creare una forma di radicalismo religioso buddhista, per cui i monaci, che hanno rappresentato l’élite colta e l’eredità culturale del Paese, si sono fatti carico anche di rivendicare la supremazia dell’identità buddhista sulle altre religioni. Unitamente all’animazione sociale e all’attività politica che fanno i monaci fuori dai monasteri e che è un vero e proprio strumento di acculturazione religiosa, vi sono rappresaglie violente contro le minoranze non buddhiste, sempre per mano monastica.”
Da un lato dunque il testo sacro e la sua interpretazione possono legittimare la violenza, dall’altro la violenza scaturisce dal contesto storico, politico, culturale e sociologico.
Ma da dove arriva il bisogno umano di giustificare le azioni violente con aura di divinità, cioè attraverso la manipolazione dei testi sacri, quindi ponendo la violenza al di là dell’umano?
“Dalla necessità di indirizzare la violenza verso un’azione collettiva, cioè che abbia una portata politica”, spiega ancora Debora Tonelli. “L’inaccessibilità o l’ambiguità del testo religioso sono – in un certo senso – la base di questa possibilità. Vale a dire che escludendo dall’accesso al testo sacro la stragrande maggioranza dei fedeli di una data religione, si esclude la possibilità da parte di una fetta più ampia della comunità di interpretare criticamente il testo, quindi di rovesciare il paradigma violento. Allora il senso di una ricerca di questo tipo è quello di disarmare le azioni politiche, attraverso un lavoro culturale di alfabetizzazione e riportare il testo alla sua funzione originale: quella di restituire le domande al credente, non di fornire risposte semplificate.”
Il convegno, aperto a tutti, previa registrazione al sito dell’evento, coinvolgerà esperti e studiosi internazionali, tra cui teologi, filosofi, antropologi e scienziati politici: Pasquale Annicchino, Judd Birdsall, Giancarlo Bosetti, Massimo Campanini, Donatella Dolcini, Manlio Graziano Irene Jillson Louis Komjathy, Jude Lal Fernando, Leo Lefebure, Gloria Moran, Gerard Mannion, Luigi Narbone, Ian Reader, Naftali Rothenberg, Vincent Sekhar, Assaf Sharon, Debora Tonelli, Marco Ventura, André Wénin e altri.
Il programma completo è consultabile sul sito: http://exitingviolence.fbk.eu/home
Sede del Convegno:
Fondazione Bruno Kessler, Humanities Hub, Center for Religious Studies
Via Santa Croce 77, Trento.
I lavori si svolgeranno in lingua inglese.
(28 settembre 2017)
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