Siamo a un bivio: altro debito o Moneta Fiscale?
Gruppo della Moneta Fiscale
(Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Massimo Costa, Stefano Sylos Labini)
Mentre l’Italia è paralizzata dalle misure per contrastare la pandemia, la politica è in preda a fibrillazioni che potrebbero portare a grandi cambiamenti in tempi rapidi.
Il combinato disposto del crollo del Pil e dell’aumento del deficit potrebbe presto far salire il rapporto debito/Pil oltre i livelli di guardia, specialmente se il blocco dell’attività economica dovesse proseguire per un tempo considerevole. In più, abbiamo seri problemi contingenti: il calo delle entrate provocato dall’interruzione dell’attività produttiva e dalla caduta dei consumi, a fronte di una spesa pubblica che tende a crescere per sostenere lo sforzo sanitario e gli interventi di sostegno a famiglie e imprese, potrebbe far entrare in crisi la tenuta del bilancio pubblico in tempi assai rapidi. In altre parole, potrebbero rapidamente mancare gli euro nelle casse dello Stato costringendoci a chiederli in prestito ai mercati finanziari. Per far fronte alla crisi bisognerebbe emettere nuovi BTP per 200 miliardi di euro oltre a rifinanziare 350 miliardi dei vecchi.
Dunque, è evidente che nella situazione data l’espansione del debito pubblico è un fenomeno inevitabile. Lo scontro è su quale debba essere lo strumento, ma la finalità è condivisa: i nostri partner vogliono che noi ci indebitiamo e noi siamo pronti a farlo. È la medesima linea proposta da Mario Draghi, incentrata anch’essa sulla crescita del debito. In questo quadro, così come già accadde nel 2012, la tenuta dell’Italia – e con essa la sopravvivenza dell’euro – rimane nelle mani della BCE, che può intervenire fornendo rapidamente liquidità illimitata. Ma la BCE interverrà per ridurre la fluttuazione eccessiva dei tassi dei debiti sottoposti a speculazione non per azzerarne gli spread né tantomeno per ridurre i tassi a zero, come invece una monetizzazione dei debiti di nuova emissione consentirebbe di fare. Inoltre, la BCE non ha assunto né può assumere un impegno open ended e, pure ammesso che lo faccia, per attuare un intervento illimitato sull’acquisto dei titoli del debito pubblico italiano il governo deve attivare l’OMT (Outright Monetary Transactions), che prevede che gli interventi possano essere messi in atto solo nei confronti di Paesi che hanno ottenuto un programma di finanziamento dai fondi europei di salvataggio (MES) rispettandone la condizionalità. Dunque per avere l’intervento illimitato della BCE sui nostri titoli del debito dovremmo metterci la Troika dentro casa.
Sul piano europeo la partita si gioca su quale tipo di debito debba essere realizzato. I risultati dell’Eurogruppo del 9 aprile sono stati disastrosi. Il MES è rimasto sul tavolo, senza condizionalità per i prestiti direttamente connessi alle spese sanitarie (per l’Italia pari al 2% del Pil, circa 35 miliardi di euro) ma soltanto temporaneamente, perché, finita l’emergenza, “gli Stati restano impegnati a rafforzare i fondamentali economici, coerentemente con il quadro di sorveglianza fiscale europeo, inclusa la flessibilità”. Cioè si tornerà subito a parlare di ridurre il deficit e il debito – che nel frattempo sarà schizzato in alto a causa della crisi – costringendoci a una politica di bilancio restrittiva in aeternum. D’altra parte, il fondo per la disoccupazione e l’intervento della Banca Europea degli Investimenti sono palesemente inadeguati di fronte alla gravità della situazione, mentre gli Eurobond sono stati respinti dai paesi del Nordeuropa. In sintesi, il piano messo in campo dall’Europa ad oggi ammonta a 500 miliardi di euro che vanno divisi per il 19 paesi dell’eurozona.
Il Ministro dell’Economia ha sostenuto di aver raggiunto un buon risultato per il nostro Paese, ma la veemente reazione dell’opposizione costituita da Lega e Fratelli d’Italia e l’iniziativa di un gruppo di parlamentari del M5S, che comprendono tra gli altri i due promotori del disegno di legge sui CCF alla Camera e al Senato (si veda oltre), i quali hanno stilato un documento per “fare da soli”, dimostrano che la tensione è altissima, pari all’insoddisfazione verso la strategia del Governo.
Occorre precisare che l’Italia non ha ancora firmato alcun accordo, sebbene sia stata messa in atto una pressione gigantesca per far credere all’opinione pubblica che l’accordo dell’Eurogruppo fosse già approvato. Le successive dichiarazioni del Presidente del Consiglio hanno chiarito che «Le proposte dell’Eurogruppo sono un primo passo verso una risposta europea che però è ancora insufficiente». Un modo elegante per ammettere che l’azione del governo è stata fallimentare e che sono necessari ulteriori negoziati per ottenere ciò che è stato respinto il 9 aprile (e cioè gli Eurobond, che la Germania non autorizzerà mai). In realtà, l’Italia può non sottoscrivere l’accordo e seguire una strada alternativa e autonoma. Come altre volte abbiamo sostenuto, e come diremo ancora una volta più oltre: si può benissimo "fare da soli".
L’opzione di attivare il risparmio interno per finanziare il debito pubblico, pur se sul piano strategico rappresenta un’ottima idea, sul piano operativo solleva grosse difficoltà. Sul Corriere della Sera il banchiere Giovanni Bazoli ha parlato di un prestito non forzoso da parte degli italiani (dunque non una tassa patrimoniale) garantito dai beni dello Stato. Le cifre sono di 4.374 miliardi di euro di attività finanziarie delle famiglie (contro passività per 926 miliardi) e 1.840 miliardi di attività finanziarie da parte delle imprese non finanziarie. Per Bazoli basterebbe meno del 7% della ricchezza degli italiani per finanziare un prestito non forzoso di 300 miliardi con titoli di Stato per sostenere la ripresa. Ma mobilitare il risparmio interno non è operazione che si fa gratis, se non si vuol ricorrere a tassazione, e per sfruttare efficacemente il risparmio interno occorrerebbe bloccare i movimenti di capitale, visto che i capitali italiani fuggono verso i Bund e i Treasuries, i capitalisti italiani portano la sede fiscale in Olanda e il fisco olandese ci sottrae risorse pubbliche consistenti. Inoltre, anche la mobilitazione del risparmio interno accrescerebbe il debito dello Stato.
Dunque, siamo di fronte a un bivio: continuare sulla strada dell’espansione del debito pubblico aspettando decisioni della UE, che non arrivano mai, oppure riprendere il destino nelle nostre mani. Il fattore tempo gioca un ruolo decisivo in questa partita: più ne passa senza che siano prese decisioni all’altezza, più la situazione si aggrava e più sarà difficile reagirvi e risollevarci. L’esperienza greca del 2015 al riguardo è illuminante: mesi buttati in negoziati inconcludenti e poi il tracollo con code di persone ai bancomat e il ricatto tra l’uscita dall’euro e la concessione di prestiti per ripagare i vecchi debiti in camb
io di austerità e svendita del patrimonio dello Stato e di interi pezzi dell’economia nazionale.
Per evitare di aumentare il ricorso all’indebitamento e di fare la stessa fine della Grecia, l’unica strada che il nostro Paese può perseguire passa per l’emissione della Moneta Fiscale e cioè di uno strumento di liquidità in grado di arrivare a chi è pronto a spenderlo, utilizzabile anche come mezzo di pagamento ad accettazione volontaria, garantito del diritto a scontare le tasse future.
La Moneta Fiscale
La Moneta Fiscale, nella forma da noi proposta dei Certificati di Compensazione Fiscale (CCF), ci può dare capacità d’intervento senza chiedere soldi in prestito ai mercati. È una proposta compatibile con la normativa europea specialmente ora che è saltato il Patto di Stabilità (in realtà lo era già prima, giacché si tratta di uno strumento finanziario non di debito) e non mette in discussione il monopolio dell’euro come unica moneta a corso legale (cfr. Appendice per riferimenti bibliografici). In più, ci sono altri due argomenti forti a suo sostegno: fu proprio la Germania ad adottare una soluzione analoga negli anni ’30 del secolo scorso e durante la crisi greca, nel 2015, fu lo stesso Schaeuble (allora ministro delle finanze tedesco) a spingere affinché la Grecia adottasse una forma di Moneta Fiscale.
La differenza è che nel caso greco si sarebbe trattato di cambiali di Stato (IOU) che, a differenza dei CCF, sono rischiose perché vanno rimborsate in euro e lo Stato potrebbe non avere gli euro in cassa alla scadenza delle cambiali. I CCF invece hanno natura di sconti fiscali futuri e per questo sono a rischio zero, perché arriva sempre il giorno in cui bisogna pagare le tasse e con i CCF si potrà pagarne meno; inoltre, con i CCF lo Stato non s’impegna a pagare nulla e pertanto non si potrà mai trovare nell’impossibilità di rispettare il proprio impegno gravante sui titoli (quello, appunto, di farli valere come sconti fiscali).
Ad oggi esistono due disegni di legge sull’istituzione dei CCF, presentati rispettivamente da Pino Cabras alla Camera e da Elio Lannutti al Senato, a cui si aggiunge il recente documento di grande peso politico presentato da ventitre parlamentari del M5S, che offre un’importante strumento di verifica all’interno della maggioranza M5S-PD riguardo alla linea di politica economica del Paese.
Inoltre, ha una notevole rilevanza l’iniziativa di qualche giorno fa del senatore di Fratelli d’Italia Andrea de Bertoldi, il quale ha presentato un ordine del giorno col quale impegna il Governo "a valutare l’opportunità di prevedere in tempi rapidi, in relazione ai prossimi scenari che si determineranno per il sistema economico e finanziario nazionale a partire dal breve periodo, nonché alle forti previsioni al ribasso del prodotto nazionale lordo, ad ampliare le fattispecie ammesse alla compensazione tra crediti e debiti della pubblica amministrazione, anche attraverso titoli riconducibili alla più ampia categoria dei certificati di compensazione fiscale, definendoli, quale «moneta fiscale» complementare, priva di corso legale, basata su sconti fiscali differiti, relativi a imposte non ancora maturate".
Considerata l’esigenza d’intervenire con la massima urgenza, la modalità di adozione della proposta può essere velocizzata la massimo. In presenza di un settore bancario fortemente liquido o in condizione accedere agevolmente alla liquidità, lo Stato potrebbe emettere CCF e venderli immediatamente alle banche e ad altri intermediari a uno sconto prefissato e uguale per tutte le controparti (successivamente, si potrebbe immaginare il passaggio a un meccanismo d’asta). Dette controparti acquisirebbero i CCF a titolo proprietario (per utilizzarli a scadenza come sconto fiscale), oppure allo scopo di rivenderli alla clientela (individui, imprese, altri intermediari che li utilizzerebbero per il medesimo scopo, come sconti fiscali differiti) a uno sconto fisso anch’esso prefissato dallo Stato, tale da garantire un margine che servirebbe da incentivo all’acquisto, oppure ancora da utilizzare come garanzia per successive riacquisizioni di liquidità dalla Banca d’Italia (qualora quest’ultima includa i CCF nella lista dei titoli accettabili come collateral). Il vantaggio di questa modalità è quello di consentire allo Stato accesso immediato a euro da spendere direttamente e/o da distribuire alle specifiche classi di soggetti previste, come da proposta. Successivamente, il CCF potrebbe diventare esso stesso strumento di pagamento utilizzabile su una piattaforma dedicata, in parallelo all’euro.
La decisione, tuttavia, resta preminentemente politica. Speriamo prevalga uno spirito costruttivo per salvare la nostra economia da gravissimi rischi.
Conclusioni
Non possiamo continuare ad aspettare decisioni UE che sono sempre insufficienti e arrivano sempre tardi. Dobbiamo finalmente prendere l’iniziativa senza chiedere l’aiuto di nessuno.
La Moneta Fiscale ci consente di recuperare importanti margini di autonomia. È una manovra che deve essere presentata e ben spiegata all’opinione pubblica. All’UE e ai mercati finanziari va semplicemente detto che noi ci impegniamo a bloccare la crescita del debito pubblico in euro. Con i CCF questo è possibile perché non chiediamo soldi in prestito e possiamo guadagnare tempo utile per rimettere in moto la crescita, ritardando l’impatto degli sconti fiscali sul bilancio pubblico e compensandolo con le maggiori entrate che la ripresa consentirà.
In un quadro siffatto, una reazione eventualmente negativa della Commissione europea e della BCE, che per ritorsione potrebbe sospendere gli acquisti di titoli del debito pubblico italiani e interrompere il canale di rifinanziamento bancario, sarebbe del tutto gratuita e immotivata e rappresenterebbe un atto di guerra contro l’Italia. Inoltre, innescherebbe la rottura della moneta unica che l’introduzione dei CCF consente invece di evitare.
Appendice – Per Saperne Di Più sulla Moneta Fiscale
L’espressione "Moneta Fiscale" è stata coniata in Per una Moneta Fiscale Gratuita: Uscire dall’Austerità Senza Spaccare l’Euro, Manifesto / Appello lanciato da B. Bossone, M. Cattaneo, L. Gallino, E. Grazzini e S. Sylos Labini nel novembre 2014 e riportato poi nell’, curato da B. Bossone, M. Cattaneo, E. Grazzini e S. Sylos Labini (con prefazione di L. Gallino) e pubblicato da MicroMega il 15 gi
ugno 2015.
Secondo una definizione generale e rigorosa,
Moneta Fiscale è qualunque strumento emesso da un’entità privata o pubblica che i) lo Stato s’impegna ad accettare dal portatore per l’adempimento delle proprie obbligazioni fiscali, nella forma di riduzione degli importi dovuti allo Stato oppure nella forma di effettivi trasferimenti di valore (pagamenti) in favore dello Stato; ii) non costituisce moneta a corso legale, iii) non impegna lo Stato né a pagare somme al portatore né a convertire lo strumento in moneta a corso legale; e tuttavia è iv) negoziabile in moneta a corso legale, v) trasferibile a terzi, e vi) cedibile in cambio di beni, servizi, moneta o titoli di ogni specie.
Tale definizione è stata proposta da B. Bossone e M. Cattaneo, New ways of crisis settlement: Fiscal Money as a tool to fight economic stagnation, presentato al convegno "A single model of Governance or tailored responses? Historical, economic and legal aspects of European Governance in the Crisis", FernUniversität, Hagen, il 24-25 novembre 2016 e pubblicato nei relativi atti.
Fondamentale è che la Moneta Fiscale, se usata come mezzo di pagamento, sia accettata su base puramente volontaristica. Per quanto riguarda lo Stato che la emette, essa rappresenta esclusivamente un titolo che non reca alcun obbligo di debito. Che poi questo titolo sia utilizzato come mezzo di pagamento è una deliberata scelta della comunità che decide di farne tale uso. Ecco perché la Moneta Fiscale non può (e non deve) essere considerata come moneta "statale" (nel senso di emessa dallo Stato) o come moneta "pubblica" (nel senso di emessa dal settore pubblico): al momento dell’emissione (e per lo Stato che la emette) essa è soltanto un titolo caratterizzato da specifici diritti del portatore; è il settore privato che ne fa una moneta decidendo di accettarla e usarla come mezzo di pagamento.
La Moneta Fiscale è stata originariamente proposta da Marco Cattaneo sotto forma di "certificati di credito fiscale" nell’articolo Certificati di credito per il cuneo, pubblicato da Il Sole 24 Ore, il 31 ottobre 2012, come strumento d’intervento a sostegno dell’economia italiana, e dallo stesso Cattaneo successivamente discussa nel libro scritto con G. Zibordi, La Soluzione per l’Euro, Hoepli, marzo 2014. La proposta di Cattaneo è stata quindi elaborata in Per una Moneta Fiscale Gratuita: Uscire dall’Austerità Senza Spaccare l’Euro, Manifesto / Appello di B. Bossone, M. Cattaneo, L. Gallino, E. Grazzini e S. Sylos Labini (disponibile sul sito https://monetafiscale.it) e nell’e-book dal medesimo titolo curato da B. Bossone, M. Cattaneo, E. Grazzini e S. Sylos Labini (con la prefazione di L. Gallino), pubblicato da MicroMega, il 15 giugno 2105, e quindi ulteriormente sviluppata nei lavori pubblicati dal Gruppo della Moneta Fiscale (GMF), di cui sono membri B. Bossone, M. Cattaneo, M. Costa e S. Sylos Labini. Del GMF si segnala in particolare, tra i numerosi contributi, Moneta Fiscale: il punto della situazione, MicroMega, 17 giugno 2017. Riguardo ai contributi individuali dei membri del GMF: Stefano Sylos Labini è intervenuto sull’argomento con contributi sulla stampa (Sole 24 Ore, Left, Sinistra in Rete, L’Idea Socialista) e con interviste (RadioPopolare, Money.it, PandoraTv). Massimo Costa ha studiato soprattutto i profili giuridico-contabili dei CCF.
Successivamente alla collaborazione del GMF con il deputato del M5S Pino Cabras (cfr. testo), si è preferito sostituire alla denominazione di certificato di credito fiscale quella di Certificato di Compensazione Fiscale, che non soltanto è più precisa ma libera il campo da ogni possibile confusione fra la natura di non debito del titolo e il sostantivo "credito" originariamente utilizzato. I Certificati di Compensazione Fiscale discussi nel testo sono una sottospecie specifica della definizione generale di Moneta Fiscale sopra richiamata.
Al tema della Moneta Fiscale è interamente dedicato il blog "Basta con l’Euro Crisi", creato e curato da Marco Cattaneo. Una proposta di Moneta Fiscale fu lanciata da Gennaro Zezza nel 2017 sul sito del Movimento 5 Stelle, risultando la seconda proposta più votata dagli iscritti al sito. Varie forme di Moneta Fiscale sono state proposte in atri paesi; si vedano: Sortir de l’austérité sans sortir de l’euro… grâce à la monnaie fiscale complémentaire, di G. Giraud, B. Lemoine, D. Plihon, M. Fare , J. Blanc, J.-M. Servet, V. Gayon, T. Coutrot , W. Kalinowski, e B. Théret, pubblicato su Libèration, l’8 marzo 2017; Monnaie fiscale complémentaire: sortir des impasses européiste et souverainiste, di T. Coutrot e pubblicato su Mediapart del 27 giugno 2018; e la proposta lanciata nel 2015 per la Grecia dall’ex ministro delle finanze Yanis Varoufakis e illustrata in The Promise of Fiscal Money, Project Syndicate, 29 August 2017, ripresa e commentata dal GMF in Making Fiscal Money Work, Project Syndicate, 19 September 2017. Per un confronto tra forme alternative di monete fiscali, si veda il contributo (in due parti) di B. Bossone e M. Cattaneo, A Parallel Currency for Greece, VoxEu, 25-26 May.
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