SPECIALE VENEZIA 70 – “Gravity” di Alfonso Cuaron

Barbara Sorrentini

Spaziale e sacrale, per l’ambientazione e per la materia simbolica che il film esprime sotto traccia.
"Gravity", film di apertura a Venezia 70, è interamente ambientato nello spazio, facendo ricorso alla classica iconografia estetica del genere. I protagonisti, la dottoressa Ryan Stone (Sandra Bullock) e il veterano Matt Kowalsky (George Clooney) bardati nelle tute e nei caschi da astronauta, sono in una missione di routine, finché la navicella spaziale viene distrutta dallo scontro con alcuni detriti vaganti e il loro viaggio si trasforma in una lotta per la sopravvivenza.

Il regista è il messicano Alfonso Cuaron, già autore di almeno tre successi internazionali, come "Y tu mamà tambien" e "I figli degli uomini" premiati alla Mostra del Cinema di Venezia e "Harry Potter e il prigioniero di Azkaban". Nonostante la sua ricerca espressiva tra i generi e gli effetti speciali come in questo caso il 3D, Cuaron è solito infondere alle sue opere massicce dosi di religiosità, nel senso più ampio del termine. Ed è proprio questa fusione tra scienza e divino che rende interessante "Gravity". La costante ricerca di vita nella prospettiva di morte, il soffermarsi con la macchina da presa sul cordone, quasi ombelicale, che tiene uniti i due astronauti, la contemplazione dell’universo, in un silenzio assoluto disturbato solo dalla comunicazione via onde radio con la base spaziale di Houston, dalle poche parole tra i due dispersi o da qualche interferenza in lingua cinese e i guaiti di un cane.

Cuaron che da bambino sognava di fare l’astronauta, come molti della generazione cresciuta con le immagini di Neil Armstrong sulla Luna, sogno che il regista, dopo cinque anni di lavorazione, è riuscito a rendere in immagini. Tempi lunghi di preparazione, aspettando che la tecnologia digitale gli permettesse di mostrare gli astronauti che galleggiano nello spazio. E le scene del film dimostrano che è stato possibile filmare l’assenza di gravità.

Prima che "Gravity" finisca in pasto agli spettatori ghiotti di pop corn delle multi sala italiane, va aggiunta la portata filosofica che, suo malgrado (o forse no) richiama l’iperuranio di Platone, quella zona al di là del cielo in cui risiedono le idee in una dimensione metafisica e spirituale, che va oltre lo spazio e il tempo.

(28 agosto 2013)



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