SPECIALE VENEZIA 70 – “Philomena” e “Child of God”
Barbara Sorrentini
Ecco il film più bello del concorso, fino ad ora, ma potrebbe lasciare il segno fino alla fine della selezione.
"Philomena" di Stephen Frears sfiora la perfezione per scrittura, regia, il lavoro degli interpreti: l’attrice Judi Dench e l’attore Steve Coogan, l’alternanza tra passato e presente, la ricostruzione dei contesti, l’utilizzo di linguaggi differenti, le musiche di Alexandre Desplat, etc. etc. etc.
È una storia vera, di una donna a cui hanno sottratto il figlio piccolo, in Irlanda in un istituto di suore nel 1952. Judi Dench è Philomena, rimasta incinta a quattordici anni e che per espiare il proprio peccato non si oppose al sequestro del figlio Anthony, da parte delle suore che lo diedero in adozione strappandolo via sotto i suoi occhi. Cinquant’anni dopo, senza aver mai smesso un minuto di pensarci, la donna si mette sulle tracce del figlio con il giornalista Martin Sixsmith, che vuole raccontarne la storia su un tabloid. Questo incontro, che ha tutte le caratteristiche di una relazione tra madre e figlio, li porterà fino agli Stati Uniti, per capirne di più e illuminando il passato.
La storia drammatica di questa donna, simile a quella di molte altre che stanno ancora cercando i propri figli rubati, è inframmezzata da momenti di leggerezza, con dialoghi folgoranti e che strappano il sorriso. Ma l’aspetto più accusatorio e intransigente è nei confronti della Chiesa e di una cultura bigotta e oscurantista, soprattutto nei confronti della donna. Interessante anche il contesto americano, evocando gli anni ’80, i repubblicani che costringevano i gay a restare nascosti e senza cure per l’Aids. Infine, la ricostruzione degli anni ’50, attraverso i ricordi della protagonista che affiorano attraverso le immagini in super8.
Tra i filoni tematici identificati nei giorni scorsi, "Philomena" si iscrive perfettamente in quello delle "donne intrappolate che si impuntano inseguendo con tenacia il proprio obiettivo".
Così come in quello dei "figli senza padri, orfani, abbandonati o dimenticati" potrebbe adattarsi bene a "Child of God" di James Franco (concorso).
Tratto dal libro omonimo e cattivissimo di Cormac McCarty, il film è il viaggio verso gli inferi del protagonista Lester Ballard (Scott Haze). Un uomo solo, il padre si è suicidato, abbandonato e folle gira con il suo fucile, mietendo vittime in coppia e trafugando poi il cadavere femminile per pratiche sessuali. Un mostro, senza sprazzi di lucidità. Se "The Road" di John Hillcoat, sempre da Cormac Mc Carty, seguiva due sopravvissuti a un disastro ecologico, "Child of God" descrive un sopravvissuto ad un disastro umano, sociale e psicologico. Disturbante, eccessivo e senza un briciolo dell’ironia che, restando ai film da Cormac McCarty, i Coen avevano infuso a "Non è un paese per vecchi". In "Child of God" c’è un’America buia, tra i boschi e tra le grotte. Dopo il precedente "As I Lay Dying" tratto da William Faulkner, James Franco chiuderà la sua trilogia maledetta con "Bukowski", dedicato allo scrittore noto anche come Henry Chinaski.
(1 settembre 2013)
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