Starobinski, gli abbagli del Sole 24 Ore
Nunzio La Fauci
“In particolare, già il fatto che i due veri maestri di Starobinski siano entrambi tedeschi la dice lunga sul suo progetto. Come per molta altra cultura francese del secondo Novecento, anche per lui si è trattato soprattutto di introdurre le ombre romantiche e teutoniche nel paese per eccellenza della ragione cartesiana e del classicismo”: per la recente morte dello studioso ginevrino, sulla più sussiegosa gazzetta culturale nazionale – il Domenicale del Sole 24 Ore – è comparso uno scritto commemorativo. Chi sono coloro che nel lacerto che se ne è appena citato vengono appunto consacrati come “i due veri maestri di Starobinski”? Sigmund Freud e Leo Spitzer.
Qui non si entra nel merito della questione (un puntuale e informato resoconto sul percorso culturale di Starobinski lo ha fornito Antonio Prete, su Doppiozero), ma Spitzer e Freud tedeschi?
Il primo era viennese, il secondo moravo di nascita, ma certo viennese d’elezione e, si può ben dire, uno dei viennesi per antonomasia di cui fu ricca la cultura del primo Novecento. Ambedue inoltre di ceppo ebraico e ambedue fortunosamente fuggiti dalla loro città, quando, nel 1938, con l’Anschluss, il nazionalsocialismo tedesco, supportato da quello locale, estese all’Austria, con il suo governo, la sua ideologia totalitaria e le sue pratiche sociali.
A loro, lascia intendere la commemorazione, si dovrebbero “le ombre romantiche e teutoniche” che Starobinski avrebbe curato di “introdurre… nel paese [forse, a dir meglio, visto che l’espressione francese non si limita a un solo paese, nella civiltà] per eccellenza della ragione cartesiane e del classicismo”. E nuovamente, senza entrare nel merito del progetto culturale dello studioso ginevrino, è difficile immaginare due figure più lontane da romanticismo e spirito teutonico di Freud e Spitzer.
Di Freud, non sarà chi scrive a dovere qui dire qualcosa. Leo Spitzer è meno noto al grande pubblico e forse è allora utile ricordare che, con metodo accanitamente personale, fu filologo e linguista romanzo di chiarezza arguta e cristallina. Studiò la grande letteratura d’espressione francese con passione sottile e sofisticata e con profonda adesione spirituale. Non trascurò le altre civiltà letterarie romanze e, in particolare, la cultura italiana: ovviamente, l’alta e, proprio in gioventù, subito dopo la Grande guerra, la popolare nelle sue espressioni scritte. Diede nel campo contributi originali e, per l’epoca, molto innovativi.
D’essere spacciati per tedeschi, con una Anschluss culturale ‘de noantri’, e rappresentati oggi come gli ispiratori romantici e teutonici di Starobinski, Freud e Spitzer, fossero ancora qui, più che adontarsi, riderebbero di gusto. Ed è ciò che spinge a fare una commemorazione siffatta, anche per via di un suo passaggio ulteriore, in cui a essere tirato in ballo è un altro grande ginevrino: “Non deve stupire perciò che, tra i tanti filoni di ricerca di uno dei grandi numi tutelari dello strutturalismo – Ferdinand de Saussurre [sic!] –, Starobinski sia stato attratto proprio dal più esoterico: lo studio degli anagrammi che, involontariamente, si annidano nelle composizioni poetiche”.
Di ciò che Saussure credeva si nascondesse nella millenaria tradizione poetica in lingua latina ha scritto di recente succintamente, ma con chiarezza e proprietà, Stefano Bartezzaghi, nell’Appendice del suo Parole in gioco. Chi nutre interesse alla questione, anche non fosse specialista, trova lì modo di approfondirla e di entrare così anche in contatto, per quanto indiretto, con il contributo che Starobinski fornì alla documentazione e all’illustrazione di questo aspetto della tormentosa ricerca saussuriana. Sappia tuttavia fin da subito che ciò che Saussure cercava era un codice di composizione poetica segretamente trasmesso attraverso i secoli. In altre parole, una conoscenza i cui celati esiti, ove ci fossero stati, non sarebbero certamente stati frutto di accidenti e non potrebbero essere quindi tenuti per “anagrammi che, involontariamente, si annidano nelle composizioni poetiche”.
Sono invece certamente involontarie le approssimazioni e le grossolanità che si sono indicate. Come loquaci spie, lasciano sospettare che una simile commemorazione sia stata messa su alla bell’e meglio e pubblicata a casaccio.
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