Stato laico e crocifissi
di Michele Martelli
Alla notizia che nel Nord della Spagna, a Valladolid, il giudice Alejandre Valentin Sastre ha ordinato la rimozione dei crocifissi e altri simboli religiosi dalla scuola pubblica locale, accogliendo il ricorso, fatto nel 2005, dell’Acel (Asociatión Cultural Escuela Laica), è subito scoppiato il finimondo. Un clima quasi apocalittico, da battaglia finale contro il laicismo, la “Bestia” nera del XXI secolo. Non celesti, alati angeli del Signore, con trombe di guerra e spade fiammeggianti, sono scesi in lizza, ma i ben più terreni, grossi e grassi prelati e rossi porporati in abito talare (fiancheggiati dalle solite truppe di rincalzo teocon), dotati di potenti “armi” massmediatiche. «Questa è cristofobia»; «il crocifisso fa paura»; «sintomo allarmante di amnesia o necrosi [= stato di morte] culturale»; «perdita di identità», «autodistruzione»; «odio dell’Europa verso se stessa»: così tuona il Vaticano e l’episcopato, su stampa e tv. Perfino il rubicondo leghista Calderoli, l’ex guerriero antislamista che portava sul petto le famose vignette danesi su Maometto, si fa burbero e severo: «Attenti, col crocifisso si rimuove il simbolo della nostra civiltà!».
Ma perché tanto scandalo, tanta angoscia, tanto rullare di tamburi di guerra?
Il giudice Sastre non ha fatto altro che applicare la Costituzione spagnola del 1978, per la quale «lo Stato è aconfessionale». Scrive infatti nella sua sentenza: «La aconfessionalità implica la neutralità dello Stato di fronte alle diverse confessioni, perché nessuno può sentire che lo Stato, per ragioni di credo, gli è più o meno vicino». Dunque, via i crocifissi dalla scuole pubbliche, statali. I simboli religiosi non sono simboli di Stato. Oltre che essere di parte, condizionano negativamente l’educazione civica dei giovani. Sulla stessa linea di un coerente laicismo, il governo Zapatero ha eliminato i funerali di Stato nelle chiese cattoliche, e qualsiasi simbolo cristiano negli atti ed edifici statali (escluse le scuole, che dipendono dai governi regionali). La cristofobia non c’entra. Il crocifisso è il simbolo religioso dei cristiani; non, per es., di buddisti e musulmani; né può essere riconosciuto da atei e agnostici, totalmente areligiosi. «Di questo passo, ha lamentato a Radio Vaticana l’arcivescovo di Valladolid Braulio Rodriguez Plaza, dovremo chiedere il permesso per dire “Io credo in Dio e in nostro Signore Gesù Cristo”». Nessun permesso, arcivescovo, creda e preghi pure. Lei sa che lo Stato laico consente per principio la più ampia libertà religiosa, ma (perché lo dimentica?) soltanto nella società civile, cioè al di fuori delle sedi e dei luoghi pubblici/istituzionali (parlamento, tribunali, scuole e ospedali statali, ecc.). La religione? Liberi di insegnarla ai fedeli nelle sale parrocchiali o nelle scuole confessionali private (cioè non finanziate con i soldi pubblici), non nelle scuole statali (come accade purtroppo in Italia, dove il vescovo può persino nominare e revocare a suo arbitrio l’insegnante di religione cattolica pagato dallo Stato). Chi grida al presunto scandalo di Valladolid è in realtà un «laicofobo», un nemico dello Stato e della civiltà laica.
E poi, che dire ancora della solita solfa sulle “radici cristiane” dell’Europa, sul suo presunto odio di sé, sulla sua identità perduta? Chi afferma che l’Europa moderna, liberale e democratica, è, nella sua essenza, cristiana, non dovrebbe dire, di conseguenza, che anche il cristianesimo è liberale, e democratico? Ma quanto mai! Lo ha chiarito a suo tempo lo stesso Ratzinger: «La Chiesa non è democratica, ma gerarchica». Una piramide, in cui tutto il potere discende dall’alto, dal vertice papale. Non è una scoperta che la Chiesa, dal Concilio di Trento al Vaticano II, passando per il Sillabo di Pio IX, è stata irriducibilmente antiliberale, e antidemocratica. L’unica libertà che il papato riconosceva era la libertà (illiberale) di sottomettersi all’infallibile Verità di Cristo (e del suo Vicario romano). E poi, posto che la modernità sia cristiana, risalendo di radice in radice, non si dovrebbe concludere che anche il cristianesimo è ebraico (Gesù era ebreo), e che l’ebraismo, a sua volta, è egizio (“Mosé era egizio”, veniva dall’Egitto), o, meglio, egizio-mesopotamico? Posta tale catena di equivalenze, l’Europa cristiana sarebbe, in fondo in fondo, egizio-mesopotamica. Per non andare oltre. La storia verrebbe schiacciata sulle origini, il presente sul passato. Nihil sub sole novum! E invece è vero il contrario. Il liberalismo e il laicismo dell’Europa democratica è un novum historicum, certo arricchito e contaminato da elementi e apporti di culture del passato (compreso quello cristiano medioevale), ma non per ciò meno nuovo, meno storicamente nuovo. E ha potuto affermarsi nel mondo moderno solo sconfiggendo l’oscurantismo cristiano-papale. E forse a questo anche pensava il giudice di Valladolid, nella Spagna zapaterista uscita appena da un trentennio dall’incubo cattolico-franchista.
L’Europa d’oggi (liberaldemocratica) è ciò che non sarebbe se fosse (rimasta) cristiana.
(26 novembre 2008)
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