Subirats: “Colau non sarà ostaggio di Valls, il neomunicipalismo è il futuro”

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Parla il noto politologo, nonché fedelissimo dell’alcaldessa: “La sindaca continuerà a governare con accordi a geometria variabile”. Poi ragiona sull’alleanza coi socialisti: “Certo, non è la stessa cosa amministrare in coalizione che da soli”. Infine insiste sulla centralità del neomunicipalismo ed esprime dubbi sul governo Salvini/Di Maio: “Osservo con preoccupazione quel che succede in Italia perché spesso quel che accade da voi finisce per estendersi in tutta Europa”.

di Steven Forti e Giacomo Russo Spena

“Rimango un convinto municipalista: la dimensione locale sarà sempre più importante per affrontare le sfide future. E ciò non vale solo per la Spagna ma per tutta l’Europa”. Joan Subirats – professore universitario, noto politologo spagnolo – lavora da anni a stretto contatto con l‘alcaldessa Ada Colau. Fondatore nella primavera del 2014 di Guanyem Barcelona, l’origine di quella che sarà poi Barcelona en Comú, e assessore alla cultura nell’ultimo biennio è ora responsabile della macro-area di Cultura, Educazione e Scienza del Comune guidato dalla ex attivista antisfratti. L’abbiamo contattato per fare un punto sia sul neomunicipalismo – di cui lui è strenuo difensore – sia sul nuovo mandato della sindaca ottennuto grazie ad una politica di (dibattute) alleanze. Su questo, però, Subirats spegne subito le polemiche: “Colau governa con 18 consiglieri su un totale di 41, è il governo più solido che c’è a Barcellona dal 2007”.

Professore, riavvolgiamo un attimo il nastro: pur ottenendo meno consensi di Maragall (Esquerra Republicana de Catalunya, Erc), Ada Colau è rimasta sindaca di Barcellona grazie ad un accordo coi socialisti e ai voti decisivi di Manuel Valls e di suoi due adepti. Dall’Italia si percepisce il rischio che sia una “vittoria di Pirro”: come farà Colau a continuare l’agenda del cambiamento governando, in minoranza, e in giunta con un partito più moderato?

La struttura dei governi locali in Spagna ha degli elementi parlamentari e presidenzialisti. Il fattore chiave era sapere chi sarebbe stato il sindaco o la sindaca dei prossimi quattro anni, già che, per quanto esista la possibilità della mozione di sfiducia, la composizione dell’attuale consiglio, con 28 consiglieri di sinistra e 13 di destra o centro-destra e 15 indipendentisti e 26 non indipendentisti, la rende molto difficile. Ada Colau, una volta rieletta sindaca, dispone di tutte le opportunità per continuare a governare questi quattro anni con accordi a geometria variabile con il resto di forza politiche, a seconda delle tematiche, senza dipendere costantemente dai voti di Manuel Valls e la sua compagna di partito.

Insistiamo, ma l’idea di governare “a tutti i costi” non costringerà Colau a mediazioni a ribasso e a cedere ai “poteri forti”?

La campagna elettorale ha dimostrato che l’agenda politica di Barcelona en Comú si è convertita in un nuovo senso comune. È stato significativo vedere nei programmi di molti partiti tematiche che fino a qualche anno fa erano considerate radicali: ridurre il traffico, privilegiare l’uso della bicicletta, avere una politica indipendente sulla casa, aumentare la presenza del Comune in temi quali l’educazione, la sanità, l’energia o le utilities in generale… Con il Psc si è adottato un programma condiviso che è il minimo comune denominatore tra le due formazioni politiche, ma che non limita le possibilità di esplorare e innovare nei prossimi anni.

Ma le posizioni con il Partit del Socialistes de Catalunya (Psc) sono molto diverse su questioni come la casa o la rimunicipalizzazione dell’acqua…

Rispetto alle politiche abitative basta vedere cosa stanno facendo i colleghi socialdemocratici dei socialisti di Barcellona in città come Parigi, Londra o Berlino. E lo stesso vale per l’acqua, rimunicipalizzata a Parigi e in tante altre città. Nell’accordo si stabilisce che andremo avanti nel controllo pubblico dell’acqua dopo aver conosciuto la sentenza che, ne siamo sicuri, faciliterà le cose. Non ho la sensazione che l’accordo con il Psc ci impedirà di seguire avanzando nelle politiche locali che sono imprescindibili se vogliamo difendere la qualità della vita della gente a partire dalla prossimità.

Per approvare il bilancio e alcune misure parla di geometria variabile, ma Erc ha promesso un’opposizione durissima. Come farà Ada Colau?

Devo dire che dopo l’iniziale sensazione di “lutto” da parte di Erc, sono sicuro e spero che le relazioni migliorino e che possiamo portare avanti delle misure di progresso sociale che sia Barcelona en Comú sia Esquerra difendono. Difatti, nella votazione della struttura politico-organizzativa del Comune Erc ha votato con il governo. E non credo che si sia trattato di un’eccezione.

Secondo l’accordo di governo, nella nuova giunta Barcelona en Comú manterrà gli assessorati “simbolo” come politiche sociali e abitative, ecologia, urbanismo, femminismo, accoglienza ai migranti e cultura. Però gli assessori più di peso ed economici saranno occupati da membri socialisti. Ciò non la preoccupa?

Bisogna partire dalla costatazione che non è la stessa cosa governare da soli che in coalizione. Governare in coalizione implica ripartirsi le responsabilità. In una città, gli aspetti di sviluppo o di modello sono importanti, pero lo sono anche quelli urbanistici e ambientali. Abbiamo costruito uno schema di governo plurale e allo stesso tempo con responsabilità chiare che, a sua volta, hanno bisogno di altre componenti della struttura governativa per poter avanzare. In questi primi giorni di governo osservo che esiste la volontà di governare insieme, senza perdere la propria identità e senza creare ostruzionismi.

Ad ottobre si conoscerà la sentenza del processo ai leader indipendentisti. Non temi tensioni con il Psc, con cui avete posizioni diverse? Nell’autunno del 2017 l’accordo di governo coi socialisti si ruppe proprio perché il Psc appoggiò il commissariamento della Catalogna…

È ovvio che questa è una questione sulla quale i disaccordi sono evidenti. Barcelona en Comú non è una forza indipendentista, ma nemmeno coincide con il Psc nella difesa dello status quo attuale né in come lo Stato spagnolo ha risposto alla crisi catalana. La rottura del novembre 2017 lo dimostra. Però, se ora torniamo a governare insieme, è evidente che siamo coscienti delle nostre diverse posizioni al riguardo. Lo si è potuto vedere con la questione di rimettere sulla facciata del Comune il laccio giallo di protesta per la situazione dei dirigenti indipendentisti incarcerati dove abbiamo espresso posizioni distinte. E senza dubbio si vedrà di nuovo in molti altri momenti. L’importante è capire che la base dell’accordo si fonda sul porre sempre la città come priorità e lasciare che in altre questioni vi sia pluralità di vedute.

Come responsabile della macro-area di Cultura, Educazione e Scienza, qual è il primo provvedimento da intraprendere con urgenza?

Dobbiamo correggere la disuguaglianza nell’accesso alla cultura e articolare più intensamente gli spazi educativi convenzionali e l’insegnamento artistico in tutta la sua diversità. Credo che la capacità ridistributiva e di correzione delle disuguaglianze che ha avuto il sistema educativo dopo la sua piena democratizzazione nel Novecento presenta oggi dei limiti significativi. In parte a causa del grande cambio epocale che stiamo attraversando e che ci obbliga, se vogliamo recuperare la capacità di emancipazione dell’educazione, ad incorporare un’importante formazione culturale per tutti. Un nuovo bagaglio edu
cativo, oggi esistente solo in parte, che faciliti le necessità di innovazione, creatività, capacità di adattamento e di lavorare con gli altri. Cose che risultano sempre più necessarie per affrontare le incertezze e le incognite dei nostri tempi. E, senza dubbio, non si può lasciare al margine la componente della scienza e della tecnologia che obbliga a ripensare molti dei modelli esistenti.

Quanto è importante, oggi, nell’era dei populismi xenofobi, del rancore e del cattivismo la battaglia culturale per cambiare la società?

Nel suo libro La grande trasformazione, Karl Polanyi ci parlava del doppio movimento, mercantilizzazione crescente versus intensa domanda di protezione, come spiegazione dei processi che portarono ai drammatici avvenimenti della prima metà del XX secolo. Nella sua rilettura di Polanyi, Nancy Fraser parla di un triplo movimento, aggiungendo al binomio menzionato la necessità attuale di riconoscimento come leva per l’emancipazione di fronte a una protezione rivestita di gerarchia e patriarcato. Credo che Fraser spieghi bene l’importanza della dimensione culturale, di costruzione di un senso vitale che offre il bagaglio culturale di ognuno. I fattori identitari contano tantissimo per spiegare molti dei fenomeni politici che oggi preoccupano in Europa e in altre parti del mondo. Non è affatto facile accettare che non basta agire all’interno del binomio uguaglianza e libertà che fu chiave nella storia dell’Otto e del Novecento, e che lo è ancora, ma che non ci serve se non siamo capaci di raccogliere l’esplosione di diversità e pluralità che rompe tutti i canoni di genere, della famiglia, del lavoro… in definitiva di tutti gli aspetti della vita. E questa dimensione, che possiamo chiamare culturale, ha oggi indubbiamente una valenza politica.

Il 24 maggio 2015 liste civiche nate dal basso vincevano a Madrid, Barcellona, Saragozza, Cadice, Pamplona, Valencia, Santiago de Compostela, La Coruña, Ferrol e Badalona. Di queste sono rimaste in piedi solo Cadice, Barcellona e, parzialmente, Valencia. È finito il ciclo delle città ribelli? Come si spiega queste sconfitte? Più in generale, in Europa il neomunicipalismo ha subito una battuta d’arresto?

Non sono molto d’accordo nel ridurre l’esperienza del neomunicipalismo alla lista delle città con governi che potremmo chiamare come “non convenzionali”, nati dall’ondata di proteste degli Indignados nel 2011. Se osserviamo il cambiamento nell’agenda politica delle città spagnole e l’accettazione del fatto che oggi le città hanno un obbligo di azione che vanno molto al di là di ciò che sono le loro competenze formali, il bilancio è molto diverso. Mobilità, casa, energia, acqua, educazione, sanità, nuove forme di azione sociale, umanizzazione dell’urbanismo e degli spazi pubblici sono oggi questioni che formano parte dell’agenda delle grandi città, quando prima erano considerate proprie di altre sfere di governo. L’importanza dei governi di prossimità è indubbia. Certo, in molte città, la fragilità della vittoria del 2015 non ha permesso di riconfermarsi nel 2019, ma mi piacerebbe pensare che ciò che si è generato continui ad esistere e che si esprimerà in forme diverse nel futuro.

Ultima domanda: da Barcellona come vede l’Italia di Salvini e Di Maio?

Berlusconi, la Lega e i 5 Stelle, senza dire che siano la stessa cosa, sono riusciti a convertire temi che anni fa erano considerati inaccettabili nel mainstream democratico come qualcosa non solo di tollerato, ma addirittura che si trova al centro del dibattito politico. La frammentazione della sinistra e le difficoltà nell’aggiornare le sue chiavi di azione hanno, ovviamente, un peso. Osservo con preoccupazione quel che succede in Italia, anche perché spesso quel che accade da voi finisce per estendersi in tutta Europa.
(23 luglio 2019)




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