Subirats: “Il governo Sànchez? Nessuna svolta progressista”

Giacomo Russo Spena

Per il politologo spagnolo, nonché assessore nella giunta Colau, non ci sarà discontinuità tra l’esecutivo socialista e quello conservatore: “Il nuovo esecutivo è semplicemente il risultato dell’isolamento politico del presidente Rajoy. Si tornerà presto alle urne”. E su Podemos che darà appoggio esterno a Sànchez, ritiene che “dovrà essere brava a non lasciare l’opposizione soltanto a Ciudadanos”. Proprio il partito di Rivera vola nei sondaggi: “Quello di Ciudadanos è un neo-nazionalismo spagnolo, riformista e autoritario allo stesso tempo”.

intervista a Joan Subirats

“Il governo Sànchez sarà più progressista di Rajoy sui diritti civili, forse ci sarà anche maggiore dialogo con gli indipendentisti, ma sul piano economico siamo su un terreno di continuità coi conservatori del Pp, non vedo molte discontinuità”. È un Joan Subirats che non ti aspetti. Smorza i facili entusiasmi di chi sogna una nuova fase per la Spagna di crescita, redistribuzione delle ricchezze e beni comuni: “Temo che il cambiamento generalizzato del Paese dovrà ancora attendere” aggiunge l’illustre politologo nonché docente all’università Autonoma di Barcellona ed assessore alla Cultura nella giunta di Ada Colau.

Professore, in Spagna è avvenuto un ribaltone politico: la fine dell’era di Mariano Rajoy. Da sociologo e politologo, cosa pensa del governo Sànchez?

Il nuovo esecutivo è semplicemente il risultato dell’isolamento politico del presidente Rajoy. I casi di corruzione si sono susseguiti nel tempo senza che i vertici del partito si assumessero una qualche responsabilità. La sentenza definitiva nel caso Gürtel – in cui è stato provato il coinvolgimento del Pp “a scopo di lucro”, ovvero come beneficiario della rete di corruzione – è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso permettendo a Pedro Sanchez di sollevare la mozione di censura.

Oltre a disarcionare Rajoy, Sànchez è riuscito a trovare i numeri per un nuovo esecutivo socialista…

In Parlamento ha una maggioranza risicata di 180 voti che provengono da molti partiti diversi. Parliamo di una maggioranza estremamente eterogenea che si tiene in piedi in una logica frontista contro il Pp. Non sarà facile per Sànchez tramutare questo schieramento anti-Rajoy in un nuovo fronte, solido e compatto, a sostegno di un governo socialista. Tra l’altro, la legge di bilancio è stata fatta dal Pp, in Senato c’è una maggioranza assoluta dei conservatori e siamo sempre nella cornice delle politiche d’austerity imposte dall’unione Europea.

Quindi non prevede vita facile per il leader socialista? Ipotizza elezioni a breve?

Il fronte anti-Rajoy può rimanere unito – e sostenere persino Sànchez – per evitare subito le elezioni che vedrebbero (condizionale d’obbligo) il trionfo di Ciudadanos. Secondo me si voterà nell’autunno non prima dal 2019. Insieme alle municipali ed europee del maggio 2019 o anche dopo, alla fine del 2019 o all’inizio del 2020. ma, non è facile fare delle previsioni in un scenario cosi complesso.

Si può parlare di svolta progressista della Spagna?

Non è necessario andare troppo lontano per immaginare un governo più progressista del Rajoy! Tuttavia, ciò non implica che il governo di Sánchez sarà in grado di cambiare le politiche e le questioni chiave in campo economico o finanziario.

Quindi Sànchez, secondo lei, non incarna quel cambiamento tanto auspicato dai cittadini spagnoli?

Sarà sicuramente in grado di sviluppare ulteriormente il tema dei diritti civili, delle libertà individuali e dei diritti delle donne, apporterà delle migliorie all’agenda sociale del Paese; vedremo quali segnali darà sulla questione territoriale – una questione spinosa per Sànchez a causa dell’opposizione interna al Psoe – o sulle problematiche internazionali.

Non penso che risponda alla volontà di un cambiamento generalizzato, non prevedo nessuna discontinuità veramente sostanziale: potrà essere un cambiamento di stile e messaggio in un momento in cui le libertà civili erano messe sotto attacco da Rajoy. Sànchez, come prima cosa, ha tranquillizzato l’Europa e i mercati, così sarà difficile – se non impossibile – conseguire l’auspicato cambio.

Passiamo a Podemos. Dovrà dare l’appoggio esterno ad un governo monocolore, e socialista, rischiando di lasciare l’opposizione nelle mani di Ciudadanos. Non trova sia in una situazione complicata da cui ne uscirà penalizzata?

Podemos si è fatta grande. Vale a dire, è maturata e ha compreso che era meglio sostenere criticamente il PSOE, generando contraddizioni al suo interno, che attaccarlo frontalmente in Parlamento generando una sua chiusura difensiva. Durante le dichiarazioni prima del voto, Pablo Iglesias ha chiesto scusa per non aver precedentemente sostenuto il patto tra socialisti e Ciudadanos, quel patto che avrebbe potuto allontanare Rajoy già tempo prima. Ora Podemos dovrà essere brava a non lasciare l’opposizione soltanto a Ciudadanos o al PP: dovrà dare un supporto – ma critico – al governo socialista.

Nei sondaggi Ciudadanos viaggia tra il 25 e il 30 per cento. Dopo la crisi catalana, Albert Rivera ha riscoperto quel nazionalismo per un periodo abbandonato. Nella sua ultima versione associa austerity e difesa della nazione. I suoi comizi terminano col grido “Que viva la Espana”. Il futuro della Spagna è di Ciudadanos?

Spero che il futuro ci regali qualcosa di meglio! A parte le battute, Ciudadanos ha sommato il malcontento sociale e politico al conservatorismo poco amante delle riforme del Pp: ottiene il consenso di coloro che vogliono l’ordine ed anche certe riforme liberali ma non la corruzione, e di tutti coloro che vedono in Rivera una valvola di sicurezza contro i rischi di rottura dell’unità nazionale. Quello di Ciudadanos è un neo-nazionalismo spagnolo, riformista nell’economia e autoritario allo stesso tempo.

L’anno prossimo, nel maggio 2019, si voterà insieme per Europee, comunali e regionali. Sarà un anno cruciale per le sorti del cambio?

Quelle elezioni saranno la chiave per capire come si evolverà il sistema politico spagnolo nei prossimi anni. Ciudadanos deve confermare l’esito dei sondaggi ed affermarsi al governo di importanti città e regioni, cosa che ad oggi non è ancora avvenuta. E non è detto ci riesca nel maggio 2019. Mentre Podemos e la rete di coalizioni civiche hanno l’obbligo di confermare lo straordinario exploit avuto nel 2015 e rivincere in città come Madrid e Barcellona. E, nello stesso momento, aumentare il peso elettorale in alcune regioni. Intanto, chissà cosa succederà ai partiti tradizionali (PP e PSOE), fino a che punto saranno in grado di superare le proprie contraddizioni e rinforzare il tradizionale bipartitismo: in primis, il consenso ottenuto quasi esclusivamente nella fascia anziana della popolazione e i problemi di corruzione.

Vista da Barcellona, cosa pensa della situazione italiana e del nuovo governo Di Maio/Salvini?

Le incertezze sul futuro, la crescente disuguaglianza e la precarietà incombono sui cittadini che chiedono maggiore protezione e garanzie. In tale scenario, il discorso anti-immigrazione e di guerra tra poveri può attrarre. Di fronte alla complessità e al proceduralismo dello Stato di diritto democratico, è interessante che qualcuno pensi di risolverlo ancora coi motti: gerarchia, ordine e patria. È un vecchio discorso di cui conosciamo i pericoli ma che, purtroppo, sta risuonando in tutta Europa.

In Italia per molto tempo, sono stati accomunati Podemos e il M5S considerando simili i loro progetti politici. Come replichi a chi definisce Iglesias il leader dei “grillini spagnoli”?

Ciò che li rende simili è il rifiuto dell’ordine stabilito e la parte destruens del discorso politico. Per il resto, sono due partiti totalmente diversi. Podemos sta occupando spazi di rinnovamento della sinistra avvicinando le persone al cooperativismo, alla partecipazione, all’open source, ai social network e alla ricerca di un’idea del pubblico che vada oltre le Istituzioni. Non conosco abbastanza il caso del M5S, lo confesso, ma penso che non vada nella stessa direzione.

(8 giugno 2018)







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