Suicidio assistito: una sentenza Ponzio Pilato, comunque evviva!
Paolo Flores d’Arcais
La Consulta ha stabilito che Marco Cappato non può essere incriminato per aver accompagnato DjFabo a morire in Svizzera. Aspettiamo il testo della sentenza per conoscere tutti i casi in cui l’assistenza al suicidio è diventata legale. Tuttavia la suprema corte non ha giudicato incostituzionale l’intera parte dell’articolo 580 c.p. che mette l’assistenza al suicidio sullo stesso piano dell’istigazione, abrogando la prima fattispecie.
Il passo avanti è comunque enorme, visto che fino ad oggi un comportamento come quello di Marco Cappato poteva essere sanzionato con il carcere fino a 12 anni (e al carcere vi sono state condanne negli anni e decenni passati).
Ma andiamo per ordine. Innanzitutto i fatti.
DjFabo, in seguito ad un gravissimo incidente, resta cieco, tetraplegico e in preda a sofferenze terribili. Lucido, considera la sua “vita” ormai solo tortura, e alla tortura vuole mettere fine. La sua compagna, per e con amore, lo sostiene in questa decisione.
Il calvario di DjFabo dura due anni e nove mesi, fino a quando, con l’aiuto dell’associazione Luca Coscioni e del suo tesoriere Marco Cappato che l’accompagna a Zurigo, DjFabo può porre fine alla sua tortura.
Cappato si autoincrimina. Il p.m. di Milano Tiziana Siciliano archivia, con una sentenza esemplare per logica e lucidità giuridica. Il gip si oppone, e impone al p.m. l’incriminazione coatta. In tribunale il caso viene sottoposto alla suprema corte, perché giudichi la costituzionalità dell’articolo 580. La Consulta rileva che tale articolo confligge con altri valori costituzionalmente garantiti e concede al parlamento un anno di tempo per legiferare, altrimenti procederà con propria sentenza.
Il parlamento ha una maggioranza di governo che fa orecchie da mercante, duce Salvini, accucciato Di Maio, amebico Conte. Il presidente del senato, la berlusconiana Casellati, invita la Consulta a rinviare ancora.
Martedì 24 arriva invece la sentenza: Marco Cappato non è imputabile, e così sarà per altre circostanze di assistenza al suicidio. Quali? Bisognerà aspettare il testo integrale della sentenza. Il comunicato della Corte dice che riguarderà casi definiti di chi “agevola il suicidio di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.
Fondamentale, e si spera non più discutibile, suona l’affermazione che sul carattere insopportabile della sofferenza decide esclusivamente e sovranamente chi quella sofferenza sta patendo.
Assai pesante sembra invece il limite per cui solo chi è tenuto in vita da macchine può essere aiutato a porre fine alla propria tortura. Vi sono infatti casi di sofferenza intollerabile irreversibile anche in patologie in cui non intervengono “trattamenti di sostegno vitale”. In questi casi si avrebbe una costrizione alla tortura, benché incostituzionale in quanto contraria al principio di eguaglianza e francamente disumana.
La Corte aveva la possibilità di abrogare il riferimento all’assistenza, lasciando come fattispecie penale dell’articolo 580 solo l’istigazione al suicidio. Sarebbe stata la sentenza di più limpida e coerente adesione ai principi costituzionali. Ora tocca al parlamento legiferare ponendo fine all’assurda pretesa di una parte dei cittadini di imporre agli altri il loro particolare punto di vista sul fine vita.
Come ho argomentato in lungo e in largo , di fronte al fine vita, e in una società pluralista dove sull’argomento esistono e devono convivere opzioni morali differenti e anche conflittuali, ci sono solo due modi di stabilire la convivenza: o ciascuno sceglie liberamente sul proprio fine vita secondo i propri principi etici, e non pretende di imporre i propri agli altri. Oppure ciascuno pretende che i propri valori debbano essere imposti a tutti gli altri con la forza della legge. In questo secondo caso, però, chi vuole questa logica di sopraffazione deve sapere che la maggioranza parlamentare o il potere di oggi potrà essere domani sostituito da una maggioranza o potere di segno opposto. Con questa logica, insomma, domani potrebbe diventare legittima la sharia per tutti.
La logica di una democrazia liberale, epperciò laica, è invece opposta. Del resto basta fare un piccolo esperimento, ponendo a ciascuno una domanda precisa: sul tuo fine vita preferiresti decidere tu, o che decida un estraneo, con valori morali magari opposti ai tuoi?
In tutti i dibattiti di presentazione del mio libro non ho mai trovato qualcuno che preferisse che sul proprio fine vita decida un estraneo, magari “nemico”.
Dunque esiste un principio che fa l’unanimità: nessuno accetta che sul proprio fine vita decida un altro, sconosciuto, con principi etici opposti ai propri.
Di conseguenza, quando si invoca una soluzione condivisa, come se fosse difficilissimo trovarla, si evita di vedere che esiste già una soluzione che di fatto ottiene l’unanimità: nessuno accetta che sul proprio fine vita decida una morale opposta alla propria.
Sua Eminenza il cardinal Bassetti ha nei giorni scorsi dogmatizzato che è obbligatorio vivere fino alla fine anche nella malattia e sofferenza (che per chi la prova può essere insopportabile, vera e propria tortura). Io la penso all’opposto. Sua Eminenza accetterebbe che sul suo fine vita decida io? E su quale base pretende allora che sul mio possa decidere lui, con la sua fede e il suo Dio che io non riconosco? I precetti della fede cattolica possono valere per il gregge dei fedeli cattolici, non per i diversamente credenti, gli agnostici, gli atei.
, e rinnovo l’invito, ora che il parlamento sarà costretto a legiferare. Un tempo i vertici di Santa Romana Chiesa accettavano il confronto. Perché oggi hanno paura? Nel 2001 pubblicai su MicroMega un confronto tra Sua Eminenza Tettamanzi e me, le cui conclusioni riprendo nel mio piccolo libro Einaudi. Il cardinal Tettamanzi era in conclusione arrivato a riconoscere che senza la fede in Cristo risorto non è possibile dire un no assoluto all’eutanasia. E cattolici come Hans Küng, il massimo teologo cattolico vivente, e Dominus Giovanni Franzoni, che come abate della basilica di San Paolo è stato il più giovane “padre” al Concilio Vaticano II, hanno scritto testi memorabili sul diritto al suicidio.
Matteo Salvini ha commentato la sentenza della Corte costituzionale mentendo per la gola: “Sono contrario al suicidio di Stato imposto per legge”. Nessun suicidio è imposto a nessuno. Fino a ieri era invece imposta la tortura a cittadini come DjFabo. È ora che il parlamento riconosca perciò con un’apposita legge un principio di elementare eguaglianza ed eguale dignità: nessuno può imporre a un altro la sua visione sul fine vita, sul fine vita decide chi quella vita vive e la considera ancora vita o solo tortura.
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