“Survivor”. Come l’analisi di un reality ci aiuta a comprendere le recenti dinamiche elettorali
di mcsilvan da www.rekombinant.org
L’analisi del successo del reality americano "Survivor" da parte di Henry Jenkins in Cultura convergente mostra risultati che vanno ben oltre la sfera della sociologia della comunicazione. Del resto, lo stesso Jenkins assieme a Thornburn ha curato "Democracy and New Media" del 2003 con la precisa consapevolezza teorica che gli studi sulla convergenza tra nuovi e vecchi media hanno un risvolto diretto nella spiegazione, oltretutto priva di determinismo tecnologico, dei comportamenti elettorali.
Traghettata nell’ambito politico, infatti, l’analisi di Jenkins sul comportamento degli spettatori di Survivor aiuta molto a comprendere le recenti dinamiche elettorali.
Il punto per noi interessante è che in Cultura Convergente si mostra con efficacia come la figura dello spettatore isolato, che esaurisce la propria reazione allo spettacolo televisivo nello spazio della propria poltrona, sia ormai un idealtipo sociologico del tutto appartenente al passato. Il che ci suggerisce subito, facendo un utile parallelismo tra due figure che spesso coincidono con la stessa persona, che neanche l’elettore isolato possa esistere soprattutto se rappresentato nel momento della riflessione personale e solitaria intesa come fase individualmente decisiva nel criterio di scelta elettorale.
Ora noi sappiamo, ad esempio dal Canetti di Massa e Potere, che l’elezione è un rito mimetico dello scontro mortale tra due o più gruppi in lotta per il potere. Elevata ad una scala più ampia del semplice scontro tra gruppi, l’elezione ne mima le dinamiche costruendo però delle regole del gioco che non prevedono lo spargimento di sangue. Questa convenzione vuole che la lotta per il potere, elemento primario del conflitto come strumento di crescita e di rinnovamento delle società, avvenga senza morti sul campo e quindi senza dissipazione di ricchezza. Survivor è un rito mimetico televisivo di un altro elemento primario della costituzione stessa delle società: la lotta per la sopravvivenza. Dagli elementi di analisi antropologica che ci fornisce Jenkins ne ricaviamo strumenti utili di comprensione sulla formarsi dei gruppi di consenso nella lotta per il potere. Con risultati inediti, se pensiamo che la mappatura delle modalità di conflitto attorno al potere elettorale in Italia va aggiornata rispetto ai primi anni ’90, il periodo originario del primo protagonismo diretto della televisione nelle modalità di erogazione del potere sul piano istituzionale.
L’analisi di Jenkins della ricezione di Survivor riguarda infatti i comportamenti degli spettatori, rappresentativi di una scala di milioni di utenti, che elaborano lo spettacolo televisivo non come somma di spettatori singoli ma come gruppi coalizzati di spettatori che processano collettivamente su Internet notizie su quanto visto. In questo senso avviene in Jenkins la convergenza tra nuovi e vecchi media: i grandi media producono lo spettacolo generalista, il reality mentre Internet e i media domestici, come il cellulare, elaborano la ricezione di questo spettacolo facendo valere la coesione dei consumatori organizzati in forum e reti come quella di un vero e proprio gruppo di pressione.
Per questo suscitano notevole scetticismo le analisi sulle vittorie elettorali di Berlusconi e di Alemanno tutte basate sul paradigma della territorialità che sia vista come egemonizzata dalle destre, perduta o da riconquistare. I territori, intesi come agenzia di socializzazione, non esistono praticamente più nell’Italia del lavoro esternalizzato, liquido, volubile. A lavoro continuamente ristrutturabile ha corrisposto un territorialità che è terreno di transito non di sedimentazione: traffico,commercio, spostamento continuo di flussi di popolazione, abitabilità isolata. Questo è il territorio: la sua identità corrisponde ad un terreno attraversato da ogni genere di traffico dal materiale al digitale. Non a caso quindi l’abitabilità si è verticalizzata da tempo verso l’adesione ai flussi dello spettacolo (essere a casa corrisponde all’essere verso la televisione) o a quella delle comunità di rete (sentirsi a casa corrisponde a percepire la vita parlante sullo schermo LCD proveniente dai propri simili).
Certo, esistono le retoriche dei territori ma funzionano perché fanno parte di una infrastruttura di significati che circola per via mediale e che viene commentata negli spazi digitali. La stessa Lega non presidia realmente più i territori da tempo in maniera numericamente significativa. Si guardi a qualche esempio: al nord la Lega prima delle elezioni porta poche persone a Pontida, davanti alle telecamere, assieme a qualche figurante vestito da soldato di Alberto da Giussano. Stravince le elezioni rispetto a un PD che porta centomila persone a Milano all’arrivo di Veltroni: il brand creato in televisione con i figuranti ha sfondato sia nell’audience classica che negli spazi mediali e nei forum digitali. Quello della piazza colorata e brulicante al massimo ha ricompattato l’elettorato di riferimento del PD. L’indice di affollamento delle piazze non è più indice del fare massa elettorale. Si guardi all’esempio romano e alle analisi, francamente fuorvianti, della “destra che presidia il territorio”. La campagna elettorale nazionale a Roma è stata chiusa per il PD da oltre centomila persone in piazza del Popolo e da poche centinaia per il centrodestra. Eppure è bastato lo scatenarsi del reality “paura per stupro nella periferia della capitale” per rovesciare consolidati schieramenti elettorali romani. E’ stato sufficiente il rovesciarsi di questo spettacolo prima sugli schermi tv, poi sui commenti nei forum, nelle reti per consolidare opinioni e spostare consensi. Quando questo avviene tutto questo è sempre segno dell’egemonia di un linguaggio sedimentato da tempo. Linguaggio che la destra non solo conosce ma che ha anche contribuito a creare nella sua interazione con i network televisivi.
Berlusconi e Alemanno hanno quindi giocato lo spettacolo della sopravvivenza grazie ai network televisivi di cui sono protesi politica, network da tempo capaci di connettersi con le reti digitali. L’ ”emergenza sicurezza” è il linguaggio del reality politico italiano. Con la differenza che mentre Survivor va in onda sulla CBS come spettacolo sulla sopravvivenza, a cadenza stagionale, l’emergenza sicurezza è un reality senza fine che va in onda a reti unificate, continuamente elaborato e commentato su migliaia di forum che fanno opinione in questo paese. E’ il format italiano dello spettacolo ancestrale della sopravvivenza che, invece degli istinti mimetici tipici della finzione del reality nell’isola deserta, offre la sensazione della vera caccia all’uomo nella quale l’extracomunitario reale gioca sia la parte dell’elemento predatore che quella della preda da catturare. Tutto mentre il pubblico da casa, che si sente realmente minacciato, invece di eliminare personaggi di un reality con un televoto, seleziona darwinianamente i sopravvissuti veri di una classe politica concreta tramite elezioni istituzionali, indicando così i campioni prescelti per la caccia al nero o al rumeno. E qui c’è tutta una antropologia mediale, legata alla nozione archetipica di sopravvivenza, che va capita se si vuol fare politica.
La vittoria delle destre del 2008 è inoltre qualcosa di molto diverso da quella del 1994 non solo perché la sinistra è oramai azzerata ma anche e soprattutto perché lo stesso ceto politico è innestato su un differente modello di televisione. Nel 1994 un network televisivo classico aveva preso il potere: facendo breccia nello spettatore isolato in poltrona, rappresentando una
linea di continuità tra la pubblicità e l’informazione politica. Nel 2008 il network televisivo che prende il potere non solo è più grande, composto da televisioni pubbliche e private, ma si inoltre è innestato nelle reti internet secondo le leggi della convergenza mediale. Basta andare su Youtube e leggere i commenti razzisti sull’emergenza rifiuti lasciati dai navigatori in rete che si connettono dal nord: se si fa analisi di quel linguaggio c’è un misto di argomenti assorbiti dalla tv ed elaborazioni proprie costruite nei confronti dei forum di rete. Il nuovo elettore del conglomerato composto da network televisivi e cartello di destra non è il consumatore isolato nella poltrona ma quello che intreccia pratiche di consumo mediale con quelle dell’Internet interattiva.
In questo scenario suscita un sentimento misto tra la perplessità e lo scoramento il sentir ripetere il mantra “della crisi verticale della rappresentanza”. La rappresentanza non è mai stata così in salute: promossa come rappresentazione dalla nuova generazione di network televisivi, irriducibile persino agli interessi concreti delle classi, segue il politico istituzionale negli spazi dove questo ha scelto di perimetrarsi: “sicurezza”, “tasse”, “riforme”, “immigrazione clandestina” fanno infatti parte di un plot narrativo spettacolare al quale hanno dato la propria adesione, votando attivamente, otto italiani su dieci. Ci si può sempre consolare con il fatto che due anni fa l’adesione era stata data da otto italiani virgola tre. Ma con la consolidata forza di questo dispositivo tecnologico di creazione di consenso, seppur nel disincanto, più che di crisi della rappresentanza è più corretto parlare di suo continuo ridislocamento nei contenuti da rappresentare. Operazione, quest’ultima, che non è riuscita alla sinistra radicale che ha pagato questa incapacità con l’azzeramento della propria rappresentanza parlamentale e l’annichilimento della capacità di manovra politica.
I cultori del ritorno al territorio su una cosa devono stare tranquilli: le infrastrutture della comunicazione, anche nell’epoca della convergenza mediale, si ri-territorializzano, per usare un concetto degli antichi Deleuze e Guattari. Finora si ri-territorializzano a destra ma non è che omettendo questa dimensione di problemi le cose migliorano.
E c’è un altro aspetto da considerare. Jenkins definisce gli spettatori che interagiscono in rete per partecipare a Survivor una intelligenza collettiva, citando direttamente Lévy . Solo un persistente romanticismo teorico può fare pensare che l’intelligenza sia esclusivamente di sinistra, emancipatrice e magari libertaria. Se il mondo funzionasse così nessun fisico si sarebbe offerto per costruire la bomba atomica. Ma noi, nel nostro Survivor italiano che va in onda molte volte al giorno, siamo di fronte ad una bomba politica, che finirà per devastare un paese impaurito, impoverito, con contraddizioni enormi davanti a sé. Una bomba che ha incorporata una componente di intelligenza collettiva, di partecipazione emotiva di massa. Una bomba che andrà disinnescata. Se il come di quest’operazione è incerto, fino ad oggi è sicuro che tutte le culture politiche rimaste in campo non sembrano nemmeno in grado di percepire correttamente il problema.
(2 maggio 2008)
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