Taranto, i veleni dell’Ilva e le troppe domande senza risposta

Antonia Battaglia

Mentre si seguono con passione ed ammirazione i passi di Greta Thunberg, ed il risveglio delle coscienze che la sua semplice e grandiosa opera sta realizzando in tutto il mondo, si rimane sorpresi nel constatare che ad acclamare gli ideali dello sviluppo sostenibile e della lotta al cambiamento climatico siano anche coloro che, eletti, non si attivano per azioni che possano fare la differenza reale sulle vite umane.

Ingenuità la mia, di certo, ma sentir parlare di “venerdì per il clima” mi aveva fatto dono della fugace speranza che anche le piccole Greta di Taranto avrebbero potuto vivere presto giorni migliori, e che quel movimento di presa di coscienza ambientale potesse essere agente di profondi cambiamenti al di là della propaganda sui social.

Restiamo ottimisti. La domanda, quindi, è: come dare concretezza agli ideali nel passaggio storico attuale che consacra la centralità del pianeta come fragile ricchezza da difendere, rendendo la lotta per il clima priorità assoluta ed imprescindibile? La riposta ovvia potrebbe essere: cominciando a risolvere le questioni ambientali nostrane, partendo dalle più urgenti.

Ne ho una pronta: Taranto.
La madre di tutte le battaglie ambientali, pietra miliare con la quale si sono misurati numerosi governi senza riuscire però mai a portare a conclusione non solo un’opera di rinnovamento dello stabilimento (ne avevano promesse varie) ma neanche a porre in essere le misure minime di protezione sanitaria. Si era addirittura arrivati a parlare di riconversione e di altre magie, ma, appunto, erano campagne elettorali.

La realtà però è che la situazione a Taranto appare nuovamente difficile, secondo alcuni drammatica. E a conferma delle teorie di coloro che vengono definiti guru ambientalisti ci sono i dati: quelli non mentono, nero su bianco, scienza.

Facciamo un piccolo ripasso. Il 25 marzo scorso, durante una seduta accesa del Consiglio Comunale di Taranto, al quale hanno partecipato numerosi cittadini che invocavano la chiusura dello stabilimento, il Sindaco ha annunciato dei provvedimenti riguardanti la possibile chiusura degli impianti più inquinanti, a condizione che ci sia la prova dei dati ambientali e sanitari. Il Sindaco ha chiesto anche un aggiornamento delle norme che regolano il funzionamento dell’ex-ILVA (oggi Arcelor Mittal): la mozione votata è un passo fondamentale e, speriamo, concreto nel clima pesante in cui vive la città.
L’8 settembre 2018 il Governo aveva dichiarato di aver installato tecnologie che avrebbero ridotto le emissioni nocive almeno del 20%, ma i dati delle centraline Arpa nell’area della cokeria (interna allo stabilimento) hanno registrato valori in aumento: tra gennaio e febbraio 2019, secondo le valutazioni fatte dall’Associazione Peacelink sulla base dei dati ufficiali dell’Arpa Puglia- verificabili sul sito online di Arpa-, si registrerebbe un incremento degli IPA (cancerogeni e genotossici) del 195%; un aumento del PM10 del 18% e del 23% per il PM 2,5. La elaborazione dei dati, ripetiamo, è stata fatta da Peacelink con un programma verificabile ed accessibile sul sito (https://www.facebook.com/tarantoairmonitoring/).
L’incremento registrato dalla centralina Arpa interna alla cokeria avrebbe avuto un corrispondente incremento nella centralina di Via Machiavelli nel quartiere Tamburi, ad 800 metri di distanza dalla cokeria, aumento che nel mese di febbraio sarebbe stato del 49%. Il trend, quindi, smentirebbe pesantemente l’ottimismo di chi dichiara la questione Ilva risolta con grande successo. Anzi, la nuova Ilva, infatti, a dati confermati, inquinerebbe anche più di quella precedente.
Secondo le valutazioni fatte da Peacelink, il dato particolarmente grave è quello delle ricadute di diossina: il sospetto ricade sugli elettrofiltri, costellati di buchi e crepe, secondo il sindacato USB.
In una intervista al Corriere della Sera, l’amministratore delegato di Arcelor Mittal in Italia, Jehl, sostiene che le emissioni inquinanti sono molto al di sotto dei limiti di legge e che la qualità dell’aria è altra cosa rispetto alle emissioni. Ma secondo i dati di Arpa le ricadute di diossina nelle campagne circostanti nel 2018 sarebbero risultate dieci volte superiori rispetto a quelle del 2017, dato (quello del 2018) non attribuibile ad Arcelor Mittal che ha preso la direzione dello stabilimento a partire dal novembre del 2018, ma si resta tuttavia in attesa delle analisi successive derivanti dai dati registrati sui deposimetri Arpa.
Quella diossina, però, da dove proverrebbe se non dallo stabilimento a due passi?
La copertura dei parchi minerali è cominciata, ma i problemi sono tanti e di grande portata e la loro risoluzione è urgente ormai da sempre. Il ministro dell’Ambiente ha aperto alla revisione della Autorizzazione Integrata Ambientale a condizione di un nuovo “piano aria” propedeutico da parte della Regione Puglia.
L’ILVA ( o ex-ILVA) resta ancora, tuttavia, non solo questione nazionale ma anche europea. La Commissione sta facendo le dovute verifiche sulla acquisizione del Gruppo da parte di Arcelor Mittal, approvata nel maggio 2018 ma condizionale alla vendita da parte di AM di una serie di imprese in Europa e alla risoluzione del nodo ambientale. Il Comitato Petizioni del Parlamento Europeo ha visitato Taranto già due anni fa e azioni concrete sono state raccomandate al Governo Italiano. Ma perché la questione Taranto, con tutte le sue sfaccettature, rimane irrisolta? Essa non riguarda solo l’ambiente ma anche l’economia, condiziona fortemente le risposte che le aziende e la città aspettano.
Il timore oggi è che Taranto diventi nuovamente oggetto di strumentalizzazione elettorale: sono tanti i politici che improvvisamente, dopo mesi di silenzio, se ne occupano.

Ma davvero si può continuare ad affrontare il tema senza una visione chiara del futuro, senza il coraggio di fornire risposte certe alla popolazione, senza la volontà di costruire e di investire in altre attività? Quali attività si possono sviluppare oltre alla siderurgia o già da subito in affiancamento alla stessa? Dove sono le azioni coraggiose al di là delle dichiarazioni propagandistiche? E se davvero il Governo vuole produrre acciaio, perché non ha formulato alla città una proposta realistica e concreta per una produzione senza emissioni inquinanti, posto che essa esista e posto che lo stabilimento di Taranto possa e debba ancora ospitare la produzione di acciaio?

Le domande senza risposta sono troppe e non è possibile continuare a affrontare la grave crisi sanitaria, ambientale e sociale di Taranto facendo ricorso a dichiarazioni propagandistiche e a rinvii nel tempo, mascherati da soluzioni palliative.

Non esiste chiarezza su alcun punto. Revisione dell’AIA? Dati? Chiusura? Cosa si vuole fare? Come? Con quali strumenti precisi? Cosa vuole la città?

E’ stra-urgente una convergenza politica nuova nel senso più profondo del termine, che non si fregi di soluzioni irrealizzabili e che abbia il coraggio di azioni forti a protezione della popolazione e dello sviluppo della città. Solo una politica che decida di non sottostare agli interessi di partito potrà realizzare il vero cambiamento di Taranto.
Ci vogliono consultazioni con la città per capire qual è la volontà reale: il confronto non può essere affidato all’ultima consultazione referendaria che era formulata male già in partenza. Ci vogliono figure autorevoli che possano portare le innumerevoli vertenze relative a Taranto al tavolo del Governo senza dover sottostare alle dinamiche degli interessi imposti altrove. In Europa, ci vogliono persone che difendano Taranto rendendo possibili azioni mirate: non serve attaccare la Commissione Europea, ma serve al contrario lavorare con i diversi settori della Commissione per realizzare nella nostra città progetti, per legarla al futuro dell’Europa e non continuare a relegarla nell’angolo stantio e stretto di chi preferisce l’invettiva alla costruzione di una realtà nuova fatta di proposte concrete con numeri, cifre, persone esperte. Attenzione alle nuove strumentalizzazioni, sono dietro l’angolo.
P.S. Abbiamo anche la questione Xylella da risolvere: quanti altri decenni passeranno prima che queste piaghe vengano affrontate in modo serio, scientifico e scevro da strumentalizzazioni politiche?
(28 marzo 2019)






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