Teatro e cultura l’ultima ruota del carro?
Matthias Martelli
La chiusura dei teatri ha scatenato le proteste di migliaia di persone, artisti, pubblico, lavoratori dello spettacolo. A stretto giro le risposte di Franceschini e Conte. Da artista, sono rimasto molto colpito e comprendo come ci sia un forte sentimento di indignazione per una decisione che appare illogica e ingiusta. Ma cerchiamo di capire il perché.
La mia domanda è: se il problema è davvero la mobilità, perché posso muovermi la domenica per andare a un centro commerciale e non per recarmi a un teatro? Perché la mattina si possono riempire metro e autobus per andare ovunque, ma sono invece pericolosi gli spostamenti per recarsi nelle sale teatrali?
Con questo Dpcm rimangono aperti negozi al dettaglio di calzature, abbigliamento, librerie, profumerie, accessori, ma anche saloni di bellezza, parrucchieri e barbieri, musei, ristoranti, bar e centri commerciali. I teatri no. Per quale motivo?
La risposta ce la dà lo stesso Conte nella lettera di risposta a Muti: vanno chiusi i “settori di attività che contribuiscono — direttamente e indirettamente — a generare assembramenti e aggregazioni di persone”. E allora perché le chiese, che sono fra l’altro strutturalmente molto simili a una sala teatrale, rimangono aperte?
Inoltre in teatro sono stati rispettati al 100% i protocolli: distanziamento, mascherine, igienizzazione, contingentamento dei posti (al massimo 200). Con queste regole c’è rischio di contagio? E quali sono i dati che dimostrano che il teatro è un luogo pericoloso? E se i teatri sono pericolosi, come mai in gran parte dei Paesi europei, Inghilterra, Francia, Spagna, dove i numeri del contagio sono più alti dei nostri, i teatri rimangono aperti?
Chiudere i teatri per trenta giorni (e probabilmente il blocco sarà più lungo) significa buttare via mesi e mesi di lavoro, preparazione, promozione, organizzazione, significa bloccare il flusso creativo, ostacolare l’emergere di nuovi talenti, creare sconforto in un mondo già scoraggiato. Senza contare che dopo aver bloccato un settore come quello teatrale la ripartenza non sarà affatto così semplice.
Noi avevamo appena debuttato con Raffaello, a seguito di un anno di duro lavoro, e stavamo partendo per la tournée, con contratti firmati mesi fa. Ora non sappiamo più nulla. Nella stessa situazione si trovano centinaia di compagnie, composte da artisti, tecnici, musicisti, danzatori, manager, organizzatori, macchinisti, eccetera.
È legittimo domandarsi se questa chiusura sia davvero necessaria ed efficace?
Tuttavia, il Ministro Franceschini ha risposto alle proteste accusandoci di non aver capito la gravità della situazione. Ripeto: nessuno nega che la situazione sia gravissima, che servano misure stringenti che impediscano il contagio, che si debba agire con forza. E sono gli esperti a dover indicare le misure più adatte. Detto questo, se la situazione è così grave, la chiusura dei teatri non è quantomeno insufficiente?
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Purtroppo, la risposta a tutte queste domande rischia di essere sempre la stessa: i teatri chiudono perché sono i primi a essere sacrificati, nonostante la funzione essenziale che svolgono, senza che ci siano dati che li facciano risaltare come luoghi pericolosi, e nonostante in quei luoghi le regole siano state rispettate in maniera ferrea e rigorosa fin da subito.
L’impressione è che in Italia il teatro e la cultura siano considerati secondari, non di capitale importanza, le prime attività da sospendere, quelle più sacrificabili, perché non necessarie.
L’arte e la cultura sono invece fonti essenziali che nutrono l’anima, aprono le porte dell’immaginazione e della fantasia, creano nuovi mondi, fanno esplodere il cervello di speranze, sono vivi e vivificano, curano qualsiasi ferita, sono l’ultimo baluardo contro la paura e l’angoscia.
Perciò, in questo momento, dovrebbero essere gli ultimi settori da chiudere.
Noi non ci fermeremo e continueremo a produrre scintille di meraviglia, oceani d’emozione e riflessioni appuntite che aprono la mente.
Oggi però prendiamo atto che in Italia la cultura si conferma essere di nuovo l’ultima ruota del carro. Ma il carro, senza una ruota, non va molto lontano.
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