Terrorismo, satira e laicità

Michele Martelli



Il dibattito sviluppatosi in Italia (ma ancor di più in Francia) sulla stampa e sui media dopo i recenti attentati in un sobborgo di Parigi, e a Nizza e Vienna, ha riproposto all’attenzione tre problemi cruciali delle moderne democrazie europee: il rapporto tra satira e terrorismo, tra laicità e islam, tra satira e laicità, opponendo, per usare una terminologia di qualche anno fa, rinnovandone il senso, i sostenitori di una «laicità debole» a quelli di una «laicità forte», chiamati dai primi col termine spregiativo di «laicisti».

1) Satira e terrorismo. Secondo i laici «debolisti» e buonisti, sarebbe la satira estrema e irrispettosa tipo Charlie Hebdo a provocare e alimentare il terrorismo; s’incolpa perfino l’«islamofobia» dei vignettisti (e di certa intellettualità francese): come se fosse la fobia (= paura) dell’islam a «creare» il terrorismo, e non viceversa (altro sarebbe l’odio bio-razzista contro i musulmani!). Questo masochistico mea culpa mi sembra francamente inaccettabile. Le vignette su Maometto e l’islam per i capi del terrorismo, a me sembra, sono poco più di un pretesto ideologico. Sono altrove le ragioni di fondo. Tra cui una supposta volontà di rivalsa di frange delle èlites dominanti islamiche contro i crimini coloniali dei paesi occidentali (la «guerra preventiva» e i bombardamenti americani sull’Irak ne sono una delle ultime prove), – frange operanti nel quadro di una delirante contro-strategia di stampo teocratico e neo-imperiale, che contrappone agli orrori del colonialismo gli orrori del terrorismo. Pagata, in entrambi i casi, dal sangue di innocenti.

Il terrorismo islamico fa il suo exploit sulla scena dell’Occidente l’11 settembre 2001, con l’attentato alle Torri Gemelle (3 mila morti). Quali Charlie Hebdo l’han provocato? Bin Laden, principe saudita capo di Al Qaeda, lo rivendicò in nome di Allah («Il verdetto di Allah è stato eseguito!»), quale inizio di una lunga «guerra santa» antioccidentale. Proseguita in Europa con una scia inarrestabile di feroci sanguinosi attentati (da quelli di Madrid 2004 e Londra 2005 fino agli attuali di Nizza e Vienna), rivendicati, oltre che da Al Qaeda, dal Califfato dell’Isis e altre organizzazioni minori. Che c’entra Charlie Hebdo con la maggior parte di tali attentati? E poi perché i terroristi fanno strage di civili ignari e incolpevoli, come per esempio al teatro Bataclan (2015), sul lungomare di Nizza (2016), e, per la prima volta, oggi nelle strade di Vienna (cioè, per qualche buonista distratto, nella cattolica Austria, non nella Francia «laicista»)?

Si tratta di veri e propri atti di guerra politico-religiosa, che hanno investito anche la Cecenia (strage di Beslan 2004, 300 morti, adulti e bambini). E alle cui spalle non è difficile vedere le frustrate e corrotte petro-oligarchie miliardarie del Golfo, che finanziano e armano califfati e terroristi per ricattare e indebolire la già debole Europa. A che fine? Forse per contrapporre al progetto neo-imperialistico occidentale di «esportazione della democrazia» con le bombe quello, uguale e contrario, ma di segno islamista, dell’«esportazione della teocrazia» in Occidente? Sembra questa la strategia delle oligarchie del petro-dollaro, ma in cui oggi sta emergendo, in aggiunta, la Turchia di Erdogan, il neo-Sultano che aspira a fare del suo paese la nuova potenza egemonica regionale, ma che rincorre anche i sogni antieuropei di un nuovo impero ottomano: non ha esitato perfino a definire «malato di mente» il presidente francese Macron per la sua difesa della laicità, nel frattempo calpestato e bruciato in effige da masse fanatizzate, – che non s’inscrivono certo nell’alveo dell’antimperialismo terzo-mondista e progressista, ma in quello dei movimenti di massa reazionari, per usare un termine a noi tristemente noto, di tipo vandeano (imam, muftì e gran muftì, invece di prelati, vescovi e preti). Del resto, il terrorismo, quale efferato strumento di lotta per la supremazia tra sunniti e sciiti, infuria negli stessi paesi islamici mediorientali (Siria docet). Alimentato da quali vignette alla Charlie Hebdo?

2) Laicità e islam. Secondo i laici «debolisti», basterebbe «buonsenso», sufficiente tolleranza e spirito di «compromesso» per garantire una buona convivenza civile, pacifica e culturale con l’islam: ci sono tanti islam; rafforziamo quello «moderato», isolandolo dall’«estremista», e il gioco è fatto. Ma qual è l’islam «estremista»? Quello degli Stati teocratici a maggioranza musulmana, dove non c’è separazione tra politica e religione, «Stato e islam», dove si sgoverna dittatorialmente nel nome di Allah Akbar, dove domina la sharia e il peccato è reato. L’opposto esatto della laicità. E l’islam «moderato»? Forse quello del cosiddetto «euro-islam», delle comunità islamiche europee. Ma qui ritorna la questione della laicità, essenza delle moderne democrazie europee nate dall’Illuminismo e dall’89 francese. Occorrerebbe che tali comunità, e i loro gruppi dirigenti, si schierassero apertamente contro il teocratismo, combattessero e denunciassero coloro che predicano e praticano e impongono la sharia (poliginia, reato di apostasia, inferiorità della donna, omofobia, infibulazione, ecc.), despoti indiscussi nelle loro enclaves, spesso piccoli anti-stati reazionari nel cuore dell’Europa. Lo fanno e in che misura?

La Dichiarazione del Cairo del 1990 afferma di accettare la Dichiarazione dei diritti del 1948, tranne che nei casi in cui tali diritti sono contrari alla sharia. Cioè quasi mai. L’euro-islam «moderato» sarà tale solo se si democratizza e laicizza, se accetta, innanzitutto al suo interno, in teoria e in pratica, il pluralismo, la libertà e l’uguaglianza dei diritti, affrancandosi dall’«hummah» teocratica, che della democrazia e della laicità è l’esatta negazione. Gli arabi, diceva la scrittrice marocchina Fatema Mernissi, della «democrazia» non hanno nemmeno la parola[1]. Figuriamoci della laicità. La lotta politica e culturale per un nuovo Illuminismo che coinvolga anche l’islam, e ne supporti la possibile laicizzazione, è lunga e tortuosa. Ogni «compromesso» precipitoso e buonista degenera facilmente in «compromissione» auto-distruttiva, in cedimento all’islamismo radicale.


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3) Satira e laicità. Secondo i «debolisti», la satira alla Charlie Hebdo, atea e provocatoria, offende l’islam. Innanzitutto, io dico, la satira, fin dalla notte dei tempi, è provocazione, altrimenti non è satira: un Charlie Hebdo dell’antico Egitto raffigurò il faraone con una testa di topo; Seneca nell’Apokolokyntosis paragonò a una «zucca divinizzata» l’imperatore Claudio dopo la morte. La critica e il dileggio del Potere è la linfa vitale della satira. Che può essere atea, e quindi irriguardosa per le religioni, i loro cleri, Profeti e Testi Sacri. Come ha detto Macron, riferendosi a Charlie Hebdo: «La libertà di non credere è inseparabile dalla libertà di espressione, fino al diritto alla blasfemia». Lo Stato laico è tale perché protegge la libertà di espressione di tutti e di ciascuno, che sia ateo o credente, musulmano o cristiano, vignettista satirico o salmodiante religioso. In questo senso, è protezione e garanzia anche per l’islam, come per qualsiasi credenza e miscredenza. Purché rispettino la legalità, i diritti e i principi costituzionali.

La libertà d’espressione, di critica, di dissenso, di satira, di eresia o blasfemia, cioè di qualsiasi opinione e contro-opinione, è indivisibile. O c’è o non c’è. Non si può tagliarla con le forbici: questo SÍ, questo NO, e questo NI. Lo fanno oggi le Democrature illiberali alla Orbàn. O quegli Stati islamici e teocratici mediorientali, pronti a reprimere con ferocia oppositori, critici e dissidenti, e a scatenare nelle piazze folle inferocite di fanatici per qualsiasi presunta offesa a Maometto (ne sa qualcosa papa Ratzinger, autore del Discorso di Ratisbona 2006!). I limiti alla libertà, nella fattispecie alla libertà di stampa e di satira, sono solo quelli previsti dalla legge, che sanziona e punisce i trasgressori (nel caso, per esempio, di diffamazione personale). Altrimenti si scivola nella Censura e nell’Inquisizione. Si comincia col divieto di blasfemia, si finisce col rogo. Altro che «laicità debole»!

[1] F. Mernissi, Islam e democrazia, Giunti, Firenze, 2002, p. 74.
(16 novembre 2020)




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