Tommaso Spadaro e Claudio Gatti

MicroMega

Ricercatori INFN Ente Pubblico di Ricerca

1) Una delle accuse che vengono rivolte dai sostenitori della “riforma” Gelmini (ammesso che di riforma si possa parlare) al movimento di protesta è quella di rappresentare interessi corporativi ed esprimere istanze conservatrici.
E’ una critica fondata secondo te? Se si/no perché? Qual è l’idea di scuola e di un’università che questo movimento esprime? Quali sono le direttici di riforma che – se pur confusamente, come non potrebbe essere diversamente visto il carattere multiforme e composito del movimento – questa protesta tende a delineare?

Leggiamo l’esistente con la lente della nostra storia recente. Gli ultimi 10-15 anni sono stati caratterizzati da un cambiamento sostanziale nel mondo del lavoro, che ha visto l’introduzione (ad opera di governi di ogni colore) di forme di lavoro precarie. Benche’ da una parte questi provvedimenti abbiano portato la disoccupazione a livelli molto bassi, essi hanno pero’ creato un mercato del lavoro parallelo, fuori da ogni protezione sociale e garanzia per il futuro, che ha colpito soprattutto le nuove generazioni. Anche le organizzazioni sindacali (a livello nazionale) e i governi del centro-sinistra hanno preferito difendere i cosiddetti ‘diritti acquisiti’, si veda l’accordo sul welfare del 2007, a scapito ancora una volta delle nuove generazioni.
L’Universita’ sembrava garantire un’opportunita’ unica di accesso a condizioni di lavoro migliori. Il sistema pubblico di formazione non e’ pero’ una priorita’ per ampie componenti del parlamento. Appiattite sulle posizioni di una confindustria rappresentata da quelle piccole e piccolissime imprese che caratterizzano il sistema produttivo italiano, esse vedono il ruolo dell’istruzione e della ricerca come irrilevante in un sistema paese caratterizzato da una competizione basata sul basso costo del lavoro piuttosto che dai maggiori investimenti sull’innovazione del prodotto e sulle nuove tecnologie.
Ecco quindi che quando si presenta il conto da pagare per la crisi internazionale e per il debito pubblico italiano, si va a colpire proprio quei settori che evidentemente non si ritengono strategici per il futuro del nostro paese. Il ruolo del sistema universitario in quell’ottica diventa funzionale solo all’elite che potra’ accedervi. Solo poche universita’ di punta, la “good company” del sistema, rimarranno davvero funzionali, in sinergia con i privati interessati. Il resto, la “bad company”, vivra’ una lunga agonia e produrra’ per lo piu’ gli stipendi dei dipendenti e lauree di basso livello formativo.

Non crediamo quindi che l’obiettivo delle mobilitazioni sia quello di conservare l’esistente. Tutt’altro: leggiamo la protesta come l’emergere spontaneo di questo malessere.

Un ulteriore tema di conflitto e’ costituito da un disegno antidemocratico soggiacente, e ancora una volta trasversale agli attuali schieramenti politici, che vuole il sistema di produzione del sapere asservito a logiche di clientela, di cordata, in contrasto a qualunque principio meritocratico: sono esempi emblematici di questa ideologia, che vede unite le istanze delle elite e della Chiesa, la proposta di introdurre le fondazioni universitarie pubblico-privato, e soprattutto il ddl Aprea.

La nostra idea di scuola, universita’ e ricerca e’ quella di una “cinghia di trasmissione” che distribuisce, affina e inventa il sapere, ogni segmento per la sua parte, consegnando i benefici al paese tutto. Per svolgere questa funzione, ogni componente del sistema deve essere regolata in modo certo, programmato e conforme agli interessi della collettivita’: deve cioe’ essere pubblica, forgiata a partire dal mandato costituzionale.

2) Al di là delle strumentali posizioni sostenute dal governo, è oggettivamente difficile difendere la scuola, ma soprattutto l’università, così come sono oggi. Quest’ultima è il regno della gerontocrazia, dell’immobilismo, del feudalesimo accademico, della totale mancanza di meritocrazia. Quali sono secondo te le linee su cui dovrebbe essere impostata una “riforma organica” del sistema formativo e della ricerca?
Quali provvedimenti concreti si potrebbero adottare per migliorare le cose? Es. diverse regole per i concorsi, per l’assegnazione dei fondi, revisione delle lauree 3+2 e del sistema dei crediti, commissioni internazionali per la ricerca, nuovo sistema per la definizione degli insegnamenti, ecc…
Su questi temi sarebbero auspicabili proposte dettagliate.

Crediamo che l’universita’ abbia gia’ subito gli effetti nefasti di riforme calate dall’alto. L’introduzione del 3+2, non sufficientemente illustrato ai Consigli di Corso di Laurea, senza una connessione chiara col mondo del lavoro e non dovutamente finanziato, ha comportato un proliferare dei corsi che e’ stato gestito alla maniera dell’Armata Brancaleone: dottorandi, dottori di ricerca, professori a contratto hanno sopperito alla mancanza dei docenti necessari a coprire il surplus, mentre le baronie preferivano creare nuovi ordinari, piuttosto che inserire nuovi ricercatori universitari. L’universita’ e’ cosi’ passata dall’inefficienza dei molti fuori corso e dei molti abbandoni dell’era pre-Berlinguer ad una fase di caos che ha lasciato dietro di se’ il precariato di oggi.

Vogliamo combattere realmente le baronie. Riteniamo che il mezzo piu’ efficace per farlo e’ quello di legare i finanziamenti alla qualita’ dell’attivita’ dell’Ente o Universita’. L’implementazione di un sistema di valutazione e’ un problema delicato, che richiede un attento studio, magari ispirato ai sistemi di altri paesi. Non e’ un lavoro che si realizza con un decreto scritto in pochi giorni.

Riteniamo che la “qualita’” debba sia considerare le attivita’ di ricerca piu’ applicative, ma debba anche salvaguardare il concetto di studio accademico e di ricerca di base, che accrescono il sapere della societa’ e che e’ proprio di ogni facolta’. La qualita’ della didattica deve rientrare con il giusto peso. Alcune di queste valutazioni sono gia’ state definite in modo misurabile in ambito internazionale. Cio’ detto, elenchiamo brevemente alcuni dei possibili interventi di riforma.

Per l’Universita’, vorremmo:
un graduale ritorno ad ordini degli studi con un numero ragionevole di corsi per facolta’;
una riforma del sistema concorsuale con nomina delle commissioni (anche con pari grado, ad es. ricercatori per un concorso da ricercatore) in base ad un sorteggio su una ampia rosa di candidati eletti a livello nazionale ed inserimento di un membro esterno;
chiusura una volta per tutte dello scandaloso mercato dei crediti nella trattativa universita’-categorie privilegiate;
finanziamenti sempre legati a procedure di valutazione di organismi esterni realmente indipendenti, per incentivare la meritocrazia premiando universita’ e ricercatori piu’ produttivi, ad esempio sulla base del modello inglese;
Le nostre proposte per gli Enti Pubblici di Ricerca:
autonomia finanziaria per gli enti pubblici di ricerca;
finanziamenti degli enti pubblici di ricerca sempre legati a procedure di valutazione chiare e trasparenti, tipo CIVR (Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca);
procedure di reclutamento stabili nel tempo: rapporti fissi invalicabili fra numero di nuovi assegni di ricerca, nuovi tempi determinati e nuovi ricercatori (tecnologi) per anno;
procedure di reclutamento e criteri di valutazione stabili nel tempo: valutazione dei titoli nei concorsi in base a criteri noti (articoli su rivista, impact factors, ecc.) per rompere il concetto di “coda” e per evitare lo sfruttamento a basso livello intellettuale spesso praticato dai baroni o dai responsabili in genere
modifiche della procedura concorsuale sulla falsa riga di quanto proposto per l’uni
versita’.

3) Vista l’assoluta trasversalità di questo movimento, che riunisce praticamente tutte le figure del variegato sistema formativo italiano (studenti, insegnati, maestre, dottorandi, ricercatori precari, professori di ogni ordine e grado) è possibile che esso trovi la forza e la “maturità politica” per districarsi tra interessi che possono rivelarsi anche molto contrastanti tra loro se posti di fronte a proposte concrete di riforma? Ogni seria riforma – e per essere seria non può che porsi come obiettivo anche quello di rimescolare rapporti di forza consolidati da decenni – tende a toccare interessi molto concreti. Così come si è configurato questo movimento, può fare i conti con queste sfide? Ne è all’altezza? Quali interessi corporativi è disposto a colpire?

Non lo sappiamo. Molto dipende da quale componente prevarra’. La nostra impressione e’ negativa al riguardo, ma saremmo felici di essere smentiti. L’occasione e’ comunque unica. Sul piano generale, crediamo che una resa dei conti dovra’ giungere: la generazione colpita va dai 20 ai 40 anni e quindi, per una considerazione puramente demografica, il sistema non crediamo possa continuare in questo modo ancora a lungo.

4) Il governo – scottato dal crollo dei consensi che la protesta universitaria ha provocato – sembra voler procedere con maggiore prudenza nella riforma dell’università. Dopo una prima fase di straordinaria mobilitazione, riuscirà il movimento a mantenere alta la tensione e il coinvolgimento delle persone? Quali sono gli obiettivi di medio termine che dovrebbe porsi? Come dovrebbe procedere la mobilitazione? Quali idee concrete possono essere messe in campo per proseguire la lotta?

Gli obiettivi di medio termine, fatta da parte la questione vertenziale del precariato fra i ricercatori e il personale tutto per gli enti pubblici di ricerca, sarebbero proprio quelli di produrre in modo coordinato e partecipato una autoriforma da porre all’ordine del giorno del dibattito politico, per scuola, universita’ e ricerca. Molto difficile da realizzarsi, sia chiaro.

5) Si è discusso molto sulla presunta “apoliticità” del movimento. E’ una lettura realistica e soddisfacente secondo te? Secondo te si tratta veramente di un movimento apolitico o forse è più che altro un movimento “apartitico”? Quali aspetti – se ve ne sono – ne determinano la “politicità”? Questo superamento delle tradizionali collocazioni – se c’è stato – ha aiutato il movimento a diffondersi o può essere una sua fonte di debolezza quando dalla protesta si passa alla proposta?

E’ un movimento apartitico, ma non certo apolitico. La cifra politica e’ certamente nella difesa del sistema pubblico di produzione del sapere. L’intuizione, anche non detta, e’ quella della difesa della societa’ del domani: quando si dice “non rubateci il futuro”, si intuisce che questo pensiero collettivo e’ condiviso. Cioe’, si potrebbe dire, non create una societa’ “verticale” di futuri sudditi, c on opportunita’ e diritti riservati solo a pochi privilegiati. lasciateci la societa’ “orizzontale” dei diritti per tutti, a partire dal diritto all’istruzione.

6) E’ condivisibile che si ricerchi un’intesa anche con organizzazioni studentesche esplicitamente di destra in nome dell’unità della protesta studentesca oppure no? La partecipazione di queste organizzazioni a manifestazioni pubbliche dovrebbe essere incoraggiata, tollerata, oppure concretamente osteggiata?

Crediamo che siano le organizzazioni di destra a dover fare chiarezza al loro interno: devono capire se vogliono difendere le politiche di questo governo, oppure se davvero vogliono partecipare alle lotte per una reale riforma nel paese.

7) Negli ultimi anni il nostro Paese è stato caratterizzato da una grande diffusione di movimenti (da quello no-global, ai girotondi, al movimento per la pace, alla battaglia sindacale per la difesa dell’articolo 18, alle vertenze territoriali come il No-Tav e No-Dal Molin, ecc.). Colpisce però la discrepanza tra la straordinaria capacità di mobilitazione, di fare “massa critica” anche ad un livello sociale e culturale diffuso, e la scarsissima “capitalizzazione politica” che ne è seguita. Oggi siamo addirittura l’unico Paese europeo a non avere una riconoscibile rappresentanza di sinistra nelle istituzioni rappresentative. Il problema dello “sbocco politico” è un problema che questo grande movimento nato nelle scuole e nelle università si deve porre? Oppure va privilegiata la totale “autonomia” del movimento? Quali rapporti possono essere instaurati con le forze politiche esistenti? E se quelle esistenti non offrono possibilità di un’interlocuzione soddisfacente, può essere utile e realistico porsi l’obiettivo di una organizzazione politica nuova, che superi anche i limiti del “modello partito” tradizionale, o più modestamente di liste elettorali di “società civile”, senza partiti, nelle diverse occasioni?
Insomma, il problema della rappresentanza è un problema che questo movimento – che si definisce “irrappresentabile” – dovrà prima o poi porsi?

Occorre fare chiarezza su questo punto: sui progetti reali, sui programmi, sulle idee si puo’ creare una rappresentanza, un punto di convergenza generale che dia ampiezza alle tante istanze emerse in questi anni. Per poter raggiungere questo scopo, occorre che davvero le dirigenze dei partiti si facciano da parte, troppo legate come sono alla mera gestione del proprio potere, o secondo la tradizione clientelare, o secondo l’asservimento a poteri forti. Occorre una vera apertura all’esterno dei partiti di sinistra, una reale disponibilita’ a cambiare quasi per intero la propria classe dirigente, a ripensare il loro ruolo in questa realta’, a calarsi nuovamente nelle masse. Inoltre, e’ un particolare tecnico ma non solo, si deve al piu’ presto abbandonare un sistema di voto che non permette alcuna possibilità di rinnovamento della classe politica, per tornare davvero a far contare il popolo.

(25 novembre 2008)



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