Tornano le “Lettere dal carcere” di Gramsci in una nuova edizione
Angelo d’Orsi
Quando, nella primavera del 1947, uscì in libreria un volume intitolato “Lettere dal carcere”, pubblicato da Einaudi, in una dimessa, ma elegante edizione in brossura, con copertina grigia, pochi ci fecero caso. Ma quando, qualche mese dopo, nell’estate, quel libro ottenne inopinatamente il Premio Viareggio, scoppiò il “caso”: sia perché si trattava non di un testo classicamente di narrativa, sia perché l’autore era mancato (ben dieci anni prima), e oltre tutto era “un comunista”, anzi colui che all’epoca veniva identificato come fondatore del Partito comunista italiano.
Alludo naturalmente ad Antonio Gramsci, che con quel Premio, che suscitò infinite polemiche da parte degli ambienti cattolici conservatori e in generale della destra, venne all’improvviso scoperto dalla cultura e dalla politica italiane. Fino ad allora il suo nome era noto soltanto a una parte dei militanti comunisti, soprattutto del Partito, e ancora meno fuori di quell’ambito, compresi gli ambienti antifascisti. Si sapeva soltanto che era stato “il fondatore” del Partito (cosa peraltro non vera perché sappiamo da tempo che quel ruolo fu di Amadeo Bordiga) e che era una delle vittime illustri del regime mussoliniano. Insomma di Gramsci era al massimo noto, non a tutti, il nome, inserito nel martirologio antifascista. Le Lettere, in quella prima edizione, assai limitata (poco più di 200 pezzi), e con qualche taglio, sia per ragioni di opportunità (riferimenti a persone in vita), sia per scelte politiche (riferimenti a nomi che l’ortodossia di Partito, ancora profondamente imbevuta di stalinismo, considerava “vitandi”, quali Trockij, Luxemburg, Bordiga stesso…) ottennero un eccezionale successo, a cui non fu estranea la vittoria del Viareggio, Premio peraltro fondato nel 1929 da colui che era stato un sodale di Gramsci, Leonida Rèpaci. Si vociferò di pressioni del Partito, Togliatti in testa, sui giurati per far vincere quel libro, ma come i documenti confermano furono voci del tutto infondate. Del resto nella giuria v’erano cattolici, laici, comunisti e persino anticomunisti: eppure il voto fu unanime.
Un aneddoto che ha trovato riscontro in sede storiografica, narra di Benedetto Croce che, immerso nella lettura del libro, non si accorgesse del tempo che trascorreva, e a un certo punto si recasse in camera della figlia Elena, che dormiva, per leggerle qualche brano: Elena, assonnata, gli avrebbe detto: “ma papà, lo sai che sono le tre di notte?!”. Quelle lettere in effetti rapivano, e emozionarono migliaia di lettori. Il libro fu segnalato, con grandi lodi, su tutti gli organi di stampa, di qualsiasi orientamento. Lo stesso Croce lo recensì, sui “Quaderni della Critica”, scrivendo tra l’altro “come uomo di pensiero fu dei nostri” parlando anche di “reverenza e affetto” che si doveva a un uomo come quello.
Da allora iniziò il cammino di Antonio Gramsci nella vita culturale e politica italiana. La pubblicazione delle “Lettere” era solo il primo tempo di quella che è stata chiamata l’Operazione Gramsci (vedi l’omonimo, bel libro di Francesca Chiarotto, edito da Bruno Mondadori), orchestrata da Palmiro Togliatti: far conoscere prima l’uomo, attraverso le lettere, poi il pensatore (i “Quaderni del carcere”), e scegliere come editore non una casa di Partito, bensì una casa “democratica”, dove v’era sì una forte cellula comunista, ma vi convivevano comunisti, anticomunisti, liberali di varia connotazione e quant’altro. Il terzo tassello dell’operazione fu la decisione di pubblicare i Quaderni in forma tematica, decisione scellerata sul piano filologico, ma opportuna e utile su quello editoriale, e persino politico. Fu così che i 33 “Quaderni” diventarono, tolti i tre dedicati a esercizi di traduzione, sei volumi, organizzati per grossi filoni tematici: Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce; Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura; Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno; Il Risorgimento; Letteratura e vita nazionale; Passato e presente.
I Quaderni, tuttavia, rimasero un cibo per eletti, malgrado gli sforzi di Togliatti e del Partito, e furono le Lettere il principale viatico per colpire, commuovere, e fare amare Gramsci. Dal 1947 fu uno stillicidio di pubblicazioni, e oltre alle antologie dai Quaderni, e l’edizione poi interrotta degli scritti giovanili, ossia precarcerari, molte lettere, un po’ alla spicciolata, su giornali e riviste, e poi in raccolte ampie, giunsero alla stampa, fino al 1965, quando un’edizione, ancora Einaudi, giunse in libreria, contenente un po’ più del doppio delle epistole raccolte nella prima, del ’47: in totale 428 epistole. Quella rimase a lungo l’editio princeps, a dispetto della cura del tutto insufficiente che i due responsabili (Sergio Caprioglio e Elsa Fubini) misero nel lavoro. Mentre proseguivano le antologie, specialmente scolastiche – Gramsci cominciava a entrare a scuola, a dispetto del predominio cattolico – continuava la pubblicazione di singoli pezzi su giornali e riviste. Si dovette attendere un trentennio – esattamente fino al 1996 – per avere una nuova edizione, presso Sellerio, più ricca di quella einaudiana (cinquanta lettere in più, per un totale di 478 pezzi, oltre a una ventina di istanze di carattere amministrativo), e migliore sul piano storiografico, ma curata ancora troppo sommariamente da Antonio A. Santucci. L’edizione peraltro, non autorizzata, provocò un contenzioso con la Fondazione Gramsci e casa Einaudi, che detenevano i diritti, finché l’editore palermitano fu presto obbligato a ritirare dal mercato il libro (che era in due tomi in cofanetto; poi vi fu una riedizione, nel 2013, ormai scaduti i diritti, in unico tomo).
Intanto in quello stesso momento partiva l’“Edizione Nazionale degli Scritti di Antonio Gramsci”. E tutto fu in qualche modo rimesso in discussione. Tra i 25 volumi previsti erano compresi tutti i carteggi, compresi quelli detti “correlati”, ossia tra corrispondenti di Gramsci fra di loro: esempio la moglie Giulia con la sorella Tatiana, o di costei con Piero Sraffa, uno dei due angeli custodi di Antonio detenuto e poi recluso condannato a 20 anni, 4 mesi, 5 giorni di reclusione. L’altro angelo fu Tatiana, detta Tania: è lei la principale destinataria delle lettere dal carcere, o meglio dalle diverse prigioni in cui Gramsci fu rinchiuso a partire dall’arresto – illegale – dell’8 novembre 1926. Fu ancora Einaudi a pubblicare nel 1997, sessantesimo della morte di Gramsci, una preziosa raccolta delle lettere scambiate fra lui e Tania, a cura di Aldo Natoli e Chiara Daniele.
Dieci anni dopo, nel settantesimo anniversario della morte di Gramsci, partirono i primi tomi dell’Edizione Nazionale. Tuttavia solo una dozzina di anni più tardi, incominciò la pubblicazione le lettere di Antonio e ad Antonio, e finora si è arrivati solo al 1923, e occorrerà ancora parecchio tempo prima che si riesca a coprire gli anni delle prigioni e delle cliniche. Perciò ha fatto molto bene Francesco Giasi, dinamico quanto discreto direttore della Fondazione Gramsci onlus di Roma, a dedicarsi a una raccolta completa di quello che abbiamo finora sul piano epistolografico di Gramsci. In sostanza, 489 lettere a cui vanno aggiunti altri 22 pezzi, che sono istanze del detenuto per varie questioni pratiche. Abbiamo oggi cioè a disposizione l’intero corpus epist
olare, almeno delle lettere inviate da Antonio ai suoi corrispondenti, quelli consentiti nelle varie fasi del suo tormentato percorso tra carceri e cliniche, al cui termine c’è la morte avvenuta per emorragia cerebrale la notte del 27 aprile 1937. Naturalmente, a dispetto di chi – molto imprudentemente – ha definito, in una delle primissime recensioni, questa come “edizione definitiva”, il contenuto di questo magnifico volume nei “Millenni” di Einaudi (pp. CXIV-1257, per un prezzo di € 90), è destinato a essere via via implementato. Ci sono non poche lacune, ancora, nella biografia gramsciana, ed è pressoché certo che esistano ancora dei materiali epistolografici “in giro”, che si auspica possano essere prima o poi, si spera presto, ricuperati e messi a disposizione degli studiosi e, quindi, inseriti nei volumi dell’Edizione Nazionale.
C’è chi davanti a questo grosso ha subito posto il quesito: ma ci sono lettere “nuove”, ossia mai pubblicate finora? Sì, ce ne sono, anche se si tratta solo di una dozzina, tutte interessanti, ma almeno tre sono preziose, tutte dirette da Antonio alla mamma, dalle quali emergono particolari ignoti anche ai gramsciologi patentati per quanto concerne la biografia familiare di Gramsci (soprattutto sul fratello maggiore, Gennaro, a cui è diretta la quarta e ultima lettera inedita; gli altri pezzi sono cartoline e telegrammi), ma anche relativamente alla situazione concreta della quotidianità di Antonio.
Non è questo tuttavia il valore aggiunto della edizione rispetto alle tante che l’hanno preceduta: il valore aggiunto, che rende davvero prezioso il libro è dato da un lato, dall’accuratezza sul piano filologico, e dall’altro, dalla mole davvero ingentissima delle annotazioni. Si aggiungano gli apparati: le utilissime Note biografiche sui “Corrispondenti e familiari”, e la” Cronologia della vita di Gramsci”, che insieme alle note, costituisce praticamente una biografia di Antonio Gramsci, anche se in forma elencativa invece che discorsiva.
La curatela del libro compiuto da Giasi, coadiuvato egregiamente da Maria Luisa Righi e da altri dello staff della Fondazione Gramsci, è tanto più apprezzabile, avendo dovuto lavorare su di un materiale assai copioso, e di non agevole compulsazione, dato lo stato delle fonti, molteplici, spesso incomplete, disperse e contraddittorie. E va tenuto conto che imprecisioni e refusi sono tanto più possibili, e tanto più scusabili, quando l’editore ti sta alle costole, perché occorre rispettare il “piano delle uscite”, ossia la tempistica industriale. Personalmente, pur lavorando su Gramsci ormai da oltre un trentennio, so bene che avrei potuto incorrere non solo in imprecisioni, ma anche in errori, gli uni e gli altri quasi inevitabili quando si maneggia un materiale enorme, con molte zone tuttora in ombra sul mero piano biografico di Antonio Gramsci. Fra l’altro va considerando che, stando a quel che Giasi dichiara, ossia di aver deciso di mettersi nell’impresa soltanto all’inizio del 2019, il lavoro da lui svolto, sia pure quasi in collegialità oltre che con Maria Luisa Righi con altri collaboratori della Fondazione (e in particolare dell’Edzione Nazionale), ha prodotto, a dispetto della ristrettezza dei tempi, un risultato complessivo straordinario. Inoltre considerata la veste elegantissima che la casa editrice ha prescelto, è facile supporre che il volume sia stato pensato come “strenna natalizia”. E ciò costringeva ad accelerare, e la fretta si sa…(e parlo di nuovo per esperienza personale!).
In un tragitto lungo, complicato e denso di insidie, sul quale nell’insieme Giasi, con l’aiuto soprattutto della Righi, si è destreggiato con grande accortezza, procedendo con passo sicuro. E la sua Introduzione costituisce un vero e proprio saggio storico, che ricostruisce con precisione e ricchezza di informazioni la complicatissima vicenda della pubblicazione delle varie edizioni, delle Lettere ma altresì, sia pure sottotraccia, degli altri testi a partire dai Quaderni del carcere. Si tratta perciò di un complemento essenziale al testo, che rappresenta l’ultimo elemento di novità (ma in ordine di importanza forse il primo) di questo volume. E in essa il curatore divenuto autore, fa comprendere bene il valore assoluto, insostituibile, delle epistole gramsciane: una “fonte imprescindibile” sia per ricostruire la biografia del Sardo, sia “per approfondire la conoscenza del pensiero”. Ma, aggiunge molto opportunamente Giasi, le lettere di Antonio Gramsci “non sono affatto un libro destinato agli studiosi”. Sono, piuttosto, “un libro da leggere pagina dopo pagina, come un’opera letteraria. Un’opera capace di raccontare una storia drammatica – con l’esito più tragico – come solo i capolavori della letteratura sanno fare”.
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