Tortura di Stato

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A cura di Alessio Marri da www.ilbenecomune.net

Ancora oggi, a distanza di quasi sette anni da quei tragici giorni, ancora in molti, probabilmente in troppi, continuano a ricordare del G8 di Genova solo le vetrine ridotte in frantumi, le auto incendiate e i bancomat distrutti. E’ avvenuto anche questo, impossibile negarlo. Ma non solo. Infatti le decine di cortei pacifici, di dibattiti e di incontri culturali sono presto caduti nel dimenticatoio. E mentre le immagini dei telegiornali stringevano le inquadrature sulle devastazioni e i saccheggi operati da una piccola minoranza, centinaia di video amatoriali e testimonianze dirette hanno inchiodato al banco degli imputati semplici celerini come responsabili di comando più in alto in grado per gravissime violazioni dei fondamentali diritti civili di un paese che si definisce democratico. «La più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale» commentò a pochi giorni dalla chiusura dei lavori Amnesty International.
Ripercorrendo insieme a tre testimoni d’eccezione, analizzeremo le tappe fondamentali di uno dei disastri più grandi mai realizzatisi in Italia nella gestione della sicurezza durante una manifestazione di massa. Ne parleremo con l’On.Giulietto Chiesa, europarlamentare e giornalista, autore del libro “G8/Genova” nel quale racconta quanto visto in prima persona nel luglio 2001; con il Dott.Vittorio Agnoletto, europarlamentare, leader e portavoce del Genoa Social Forum; e con Giuliano Giuliani, padre di Carlo, il giovane ucciso durante il corteo anti-G8 da due colpi di pistola.

Innanzitutto, come si evince dalle carte processuali e dallo straordinario documentario “Ordine pubblico” realizzato dal Genoa Legal Forum, la prima violazione gravissima avvenuta durante la tre giorni di Genova è stata proprio la negazione dell’elementare diritto a manifestare in un luogo pubblico. L’attacco più eclatante è avvenuto a Via Tolemaide, dove il corteo autorizzato delle “Tute Bianche” è stato senza alcuna ragione caricato più volte. Inoltre il ritardo sistematico nell’intervento delle forze dell’ordine ha permesso a un gruppo ristretto di facinorosi, soprattutto appartenenti al Black block, di muoversi indisturbati per la città sapendo anticipatamente che le cariche sarebbero sopraggiunte su altri manifestanti.
V.Agnoletto: “In primis il percorso in Via Tolemaide era assolutamente autorizzato. Nel settembre 2001 durante l’audizione della commissione d’indagine parlamentare, di fronte a coloro che volevano far passare diversamente l’evoluzione dei fatti, ho mostrato io stesso la documentazione cartacea concernente le autorizzazioni alla manifestazione. L’attacco al corteo è stato quindi totalmente illegale dal momento che è stata un’iniziativa dei carabinieri che ordinarono le cariche in totale disaccordo con la centrale operativa della polizia come mostra in modo inequivocabile il documentario “Ordine Pubblico”.
Inoltre non vi è dubbio che la violenza con la quale sono stati condotti questi attacchi era finalizzata all’evidente ricerca del morto. Le cariche effettuate con i blindati lanciati a grande velocità sulla folla ne sono una chiara testimonianza. In quei momenti tornava alla mente Milano nel 1975, quando un gippone dei carabinieri travolse e uccise il ventisettenne Giovanni Zibecchi.
G.Giuliani: “Ricordiamo che da Via Tolemaide scaturiranno i disordini che porteranno a Piazza Alimonda. Ma la vergogna più grande si è verificata a Piazza Manin dove un reparto mobile della polizia, all’interno del quale vestono la divisa veri e propri farabutti e delinquenti, ha massacrato a freddo il gruppo più pacifico di tutta Genova, i giovani della rete cattolica Lilliput. Il tutto giustificato dal passaggio di alcuni black block nella zona. Probabilmente persino qualche infiltrato. Con un protocollo che si ripete costantemente come provato da centinaia di segnalazioni telefoniche di cittadini e funzionari registrate: si denunciano atti di devastazione e si interviene solo dopo ore e ore, quando ormai il danno è stato compiuto.
Le cariche effettuate poi, come evidenziato dalle indagini, sono state portate avanti in un modo totalmente illegittimo: è stato infatti dimostrato l’impiego di vere proprie sbarre di ferro tra le forze dell’ordine. Così si spiegano le fratture, un normale manganello in dotazione infatti crea al massimo ematomi e lividi, non certo fratture.
G.Chiesa: “Io mi trovavo proprio all’incrocio tra Corso Torino e Via Tolemaide. I carabinieri hanno giustificato l’aggressione al corte delle Tute Bianche dichiarando di essere stati prima attaccati, e poi di voler disarmare i facinorosi. Nulla di tutto questo si è verificato. E nonostante i media abbiano enfatizzato la pericolosità delle strutture difensive delle tute bianche, si trattava solo di pure e semplici “testuggini formali” fatte di plexiglass e plastica. E se in quell’occasione hanno portato avanti qualche giustificazione mal costruita, il giorno dopo presso la Foce (lungomare nei pressi della Fiera di Genova, ndr) non hanno avuto neanche bisogno di scusanti. Hanno assalito il corteo spezzandolo in più parti con attacchi laterali. Dimostrando così definitivamente l’intenzione precostituita di attaccare i manifestanti.
La realtà è che a Genova si è voluto cambiare pagina. Una drastica inversione di marcia nella gestione dell’ordine pubblico. Si è inteso inviare un duro monito alle nuove generazioni, quelle segnate dall’11 settembre, sicuramente non più abituate agli scontri di piazza. Lo Stato, per la prima volta da anni, ha voluto imporre la propria supremazia tramite la violenza e la prevaricazione”.

Dalle immagini e dai resoconti emerge un comportamento quasi generalizzato tra le forze dell’ordine assolutamente al di fuori di ogni logica democratica. Cariche effettuate con i blindati, lacrimogeni sparati ad altezza uomo, l’impiego di manganelli non in dotazione e un utilizzo indiscriminato di armi da fuoco con ben venti colpi sparati accertati. Tutto questo poi culminato con l’assassinio di Carlo Giuliani, la “macelleria messicana” alla Scuola Diaz (come ridefinita dall’allora vicequestore Michelangelo Fournier) e il Garage Olimpo della caserma di Bolzaneto.
G.Chiesa: “Quanto di drammatico successo alla Diaz e a Bolzaneto dimostra il totale via libera concesso alla repressione. Le forze dell’ordine hanno semplicemente ricevuto carta bianca. Se nelle strade le violenze si potevano considerare un errore o persino incomprensioni nella catena di comando, le vessazioni e le torture avvenute in quei luoghi dimostrano la precisa volontà politica di punire i movimenti. Non è credibile che funzionari dello Stato si siano potuti muovere in un modo a tal punto deliberato senza sapere precedentemente di godere della più totale impunità”.
V.Agnoletto: “Bisogna prima di tutto contestualizzare il momento storico: l’ascesa del movimento No Global era impressionante. Si stavano gettando le basi per una crescita di una consapevolezza di massa sui temi cruciali come pace, diritti umani, rapporto nord/sud e difesa dei beni comuni. Probabilmente i termini per una nuova egemonia culturale. Alcuni mesi prima del G8 di Genova un sondaggio su Famiglia Cristiana segnalava la schiacciante contrarietà dei movimenti cattolici nei confronti della guerra e dell’ attuale gestione economica liberista del pianeta. Il governo Berlusconi ha tentato di stroncare questo movimento attrave
rso una violentissima repressione di piazza e un contemporaneo uso spregiudicato del potere mediatico di cui dispone, con l’obiettivo di accreditare una falsa ricostruzione dei fatti. Tra i vertici delle forze dell’ordine, una volta compresa questa operazione, vi è stata la rincorsa all’accreditamento politico presso la nuova maggioranza di governo. Se a Via Tolemaide c’erano i carabinieri, alla Diaz ha agito la polizia e dalle intercettazioni pubblicate recentemente emerge la conferma che i vertici della polizia o avevano deciso essi stessi l’assalto alla scuola Diaz o comunque ne erano al corrente. Ed infatti è proprio Roberto Sgalla, già segretario del sindacato di polizia Siulp e allora portavoce dello capo della polizia De Gennaro che in una conferenza stampa organizzata quella notte fuori dalla Diaz tentò da un lato di minimizzare la drammaticità e dall’altro giustificare quell’azione assolutamente ingiustificabile.
G.Giuliani: “La scelta è stata presa da una maggioranza contenente ex fascisti se tali possiamo ridefinirli. L’obiettivo era quello di impedire ogni manifestazione. Massimo D’Alema, che neanche un bambino potrebbe scambiare per un estremista di sinistra, parlò in quei giorni di “clima cileno” e di “vendetta politica delle destre”. E non a caso.
Il comandante generale dei carabinieri Sergio Siracura ha testimoniato l’accertamento di 15 colpi d’arma da fuoco più due che colpirono Carlo. Scandaloso. Come del resto l’archiviazione del procedimento nei confronti di Mario Placanica (il carabiniere ventenne che secondo la procura di Genova è responsabile degli spari, ndr). Si è impedito di arrivare alla verità. Infatti continuo a non essere convinto che a sparare sia stato proprio Placanica: hanno coperto un ufficiale o un sottoufficiale del corpo Tuscania presente a Piazza Alimonda in quei tragici momenti. Il gruppo d’elite responsabile delle torture in Somalia, poi spedito in Kosovo e Jugoslavia e infine inviato a “ristabilire la democrazia in Iraq”. Per non parlare poi dell’orrenda storia del sasso. Hanno colpito la fronte del cadavere di Carlo per inscenare un depistaggio che fortunatamente è fallito. E per Adriano Lauro dirigente del contingente che ha ammazzato Carlo, dopo l’indegna performance teatrale in cui additava, di fronte alle telecamere, la responsabilità del fatto alla pietra lanciata da un manifestante, si sono aperte le porte della promozione. Persino a lui.

Un altro elemento che lascia increduli è l’andamento dei processi. Una totale disparità in materia legislativa rischia di appannare le verità giudiziarie emerse in notevole quantità a carico delle forze dell’ordine incriminate. Non esistendo in Italia il reato di tortura, i manifestanti imputati per devastazione e saccheggio rischiano fino a 10 anni di carcere, mentre i funzionari di polizia e i carabinieri sotto processo molto probabilmente godranno della prescrizione. E’ un secondo e clamoroso atto di una tragedia che parla di una democrazia calpestata.
G.Giuliani: “Io parlo per mio figlio. A causa di quattro mascalzoni tra i consulenti del pubblico ministero e gente indegna di fare il pm e il giudice è stato tutto archiviato in modo penoso.
Nei confronti invece dei processi in corso, posso solo dire che un’opera sana di pulizia nelle forze dell’ordine riconsegnerebbe di certo onorabilità a tutti corpi delle forze dell’ordine e rappresenterebbe un segno di profondo rispetto per chi da anni, nutrendo un reale senso dello Stato, lavora onestamente rischiando la pelle giorno per giorno”.
G.Chiesa: “Nonostante non sia da rimarcare alcun comportamento scorretto tra la magistratura, i processi restano falsati sin dall’inizio. La “casta” ha lanciato moniti precisi: attraverso le scandalose promozioni a favore degli imputati stessi tra le forze dell’ordine, le istituzioni hanno dichiarato il loro tacito assenso all’operato anche dei più violenti. Si è influenzato e indebolito l’azione giudiziaria.
Per quanto riguarda il processo sul lager di Bolzaneto, dobbiamo chiedere conto soprattutto alle maggioranze di centro-sinistra che non hanno trovato neanche il tempo per tramutare in legge la norma della Convenzione Onu contro la tortura, ratificata tra l’atro dall’Italia nel lontano 1989. Sarà anche banale ricordarlo, ma alla fine la magistratura può applicare solo leggi vigenti”.
V.Agnoletto: “E’ importante anche sottolineare come l’Italia non abbia nemmeno recepito le raccomandazioni dell’UE relative alla presenza di codici individuali di riconoscimento sulle divise delle forze dell’ordine al fine di accertare responsabilità personali.
Bisogna anche riconoscere il coraggio dei pubblici ministeri che stanno conducendo i processi per i fatti della Diaz e di Bolzaneto; proseguono con forte professionalità il loro lavoro nonostante la grande maggioranza del parlamento attraverso le promozioni dei massimi responsabili dell’ordine pubblico a Genova abbia chiaramente espresso non solo l’assoluzione, ma anzi perfino il sostegno ai responsabili di quelle inaudite violenze.”

Capitolo finale: la commissione d’inchiesta parlamentare. In un paese civile che si rispetti avrebbe rappresentato un atto dovuto nei confronti dei cittadini che hanno subito vessazioni e crudeltà di ogni genere. Sottolineiamo come nella caserma di Bolzaneto siano stati comprovati l’impiego di almeno quattro delle tecniche ridefinite dalla Corte Europea come «trattamenti inumani e degradanti». Una seria commissione d’inchiesta avrebbe poi restituito credibilità alle stesse forze dell’ordine, che nel corso degli ultimi anni non hanno poi mancato di suscitare scalpore per nuovi episodi cruenti. Tra tutti l’assassinio del giovanissimo Federico Aldrovandi.
G.Giuliani: “Ci sono precise responsabilità politiche bipartisan in questa vicenda. La promozione di De Gennaro a Capo di gabinetto del Ministero degli Interni sotto Giuliano Amato la dice lunga. C’è una continuità politica evidente al Viminale Bianco-Scajola-Pisanu-Amato. Risultano chiare allora le ragioni per cui non si è voluto procedere con una legittima e sacrosanta commissione d’inchiesta. Tra l’altro l’omertà degli imputati tra le forze dell’ordine indica una chiara matrice mafiosa che andrebbe assolutamente sanata.
V.Agnoletto: “La commissione d’inchiesta avrebbe stabilito un continuum preciso tra la violenta repressione avvenuta a Napoli nel 2001 pochi mesi prima di Genova, l’ingiustificato allarme terroristico rielaborato dai media per esasperare il clima intorno ai movimenti,e infine le violenze avvenute a Genova. In realtà si è stabilita una convergenza d’interessi politici tale che neanche un governo di centro-sinistra è riuscito a intervenire in questo senso.
G.Chiesa: “La casta in questo modo ha dimostrato la propria intercambiabilità. Cambiano le maggioranze ma gli interessi rimangono gli stessi. E gli alleati del Partito Democratico, come Di Pietro e i radicali, sono i primi corresponsabili di questo stallo politico. Una cosa mi preme sottolineare in particolare: la commissione d’inchiesta avrebbe scovato i responsabili dell’educazione e della pedagogia delle nostre forze dell’ordine. Credo fortemente che sarebbero emerse personalità di dubbia fedeltà ai valori repubblicani espressi nella nostra costituzione.”

Diaz-Bolzaneto: la repressione progra
mmata

di Alessio Marri

Oltre alle cariche illegali, all’inaudita violenza dei pestaggi operati e ad un comportamento inqualificabile da parte dei tutori dell’ordine nelle strade, la gravità dei fatti avvenuti a Genova supera ogni immaginazione se si prova ad approfondire due momenti precisi della tre giorni di quel luglio 2001. Infatti se in qualche modo si e’ giustificato Piazza Alimonia e la morte di Carlo Giuliani con una generica legittima difesa (poi vergognosamente portata avanti con perizie balistiche che sfiorano la commedia), quanto di efferato e tragico avviene nella Scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto non può e non deve passare inosservato. Sembra che la possibilità di agire tra mura irraggiungibili da occhi indiscreti e telecamere abbia dato il via libera a gesti ed atteggiamenti di sopraffazione che possono trovare riscontri solamente nelle peggiori dittature del secolo passato.
A questo scopo ricostruiamo insieme le due vicende:

– L’assalto punitivo alla Scuola Diaz
Durante una scottante deposizione, il prefetto Ansoino Andreassi, allora vice-capo della Polizia di Stato, ha definitivamente posto fine alle illazioni che circolavano intorno alle motivazioni che portarono alla decisione di procedere con la perquisizione alla Diaz: l’ordine venne direttamente da Roma e fu quello di arrestare il maggior numero di manifestanti. “Si fa sempre cosi – disse Andreassi di fronte ai giudici – in questi casi. E’ un modo per rifarsi dei danni e alleggerire la posizione di chi non ha tenuto in pugno la situazione. La citta’ e’ stata devastata? Allora si risponde con una montagna di arresti”. L’allora Capo della Polizia De Gennaro, per dimostrare di riprendere in mano la situazione, comando’ quindi a più pattuglioni l’operazione e mandò direttamente sul posto Roberto Sgalla, responsabile delle relazioni con i media, per controllare il rapporto con la stampa. L’ordine era chiaro: manette a tutti.
In un’atmosfera a tal punto punitiva, segnata da una rincorsa all’arresto e dominata da una controversa confusione nella cabina di comando, i celerini entrano nella scuola compiendo un massacro senza precedenti. Il tutto fomentato da due notizie risultate assolutamente contradditorie: una presunta sassaiola operata ai danni di un reparto mobile di polizia proveniente proprio dalla Diaz e il mai riscontrato accoltellamento di un poliziotto superato il cancello.
Una delle più importanti testimonianze parla molto chiaro: “Sembrava una macelleria messicana – ha confessato ai pm Michelangelo Fournier che a Genova vicequestore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma – Arrivato al primo piano dell’istituto, ho trovato in atto delle colluttazioni. Quattro poliziotti, due con cintura bianca e gli altri in borghese stavano infierendo su manifestanti inermi a terra. Sono poi rimasto terrorizzato e basito – ha spiegato – quando ho visto a terra una ragazza con la testa rotta in una pozza di sangue. Pensavo addirittura che stesse morendo. Fu a quel punto che gridai: basta basta e cacciai via i poliziotti che picchiavano”, ha raccontato ancora Fournier. Tra le altre rivelazioni fondamentali fatte dallo stesso vicequestore c’e’ anche un profondo e serio ragionamento sull’omertà’ che, per spirito di corpo, circola sui fatti avvenuti a Genova proprio da parte di quelle forze dell’ordine inquisite. Un tentativo maldestro quanto meschino di occultare quanto successo: dalla paradossale introduzione di molotov, sequestrate in realtà di giorno nelle strade, nella scuola per giustificare le perquisizioni alle manganellate, ai calci e alle botte date in maniera totalmente indiscriminata a chi dormiva nella palestra, nelle aule e nei corridoi. Una resistenza passiva ci sarebbe comunque stata, ma nulla che potrebbe giustificare i 63 feriti, di cui alcuni molto gravi, e i 93 arresti tutti invalidati per procedure illegali. “La notte dei manganelli” ha sentenziato Lorenzo Guadagnucci, giornalista de “Il Resto del Carlino” di Bologna, testimone oculare e ferito in piu’ punti nel corso del blitz della Polizia di Stato alla Diaz.

– Le torture alla caserma-lager di Bolzaneto
Secondo una fonte anonima interna al Reparto Mobile in servizio presso la caserma di Bolzaneto, tutto è cominciato alcune settimane prima del vertice con l’arrivo di un centinaio di agenti dei Gom, Gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria. E’ un reparto speciale istituito solo nel 1997, guidato da un ex generale del Sisde, che ha si è reso subito protagonista con un durissimo intervento di repressione nel carcere di Opera.. La trasformazione della caserma di Bolzaneto in un “lager” ha inizio con l’adattamento della caserma a carcere per i fermati e a infermeria per i feriti. La palestra diventa il centro di primo arrivo e di identificazione. Tutti i manifestanti fermati vengono portati qui, dove vengono controllati i documenti e poi prese le impronte. Una palazzina antistante è stata appositamente ristrutturata per il vertice ed è stata trasformata nel carcere vero e proprio. All’ingresso ci sono due stanzoni aperti, in cui la notte di sabato, fino a mattina inoltrata di domenica, staziona il vicecapo della Digos genovese (Alessandro Perugini, ndr) con alcuni poliziotti dell’ufficio e qualche carabiniere.
Le testimonianze sono agghiaccianti. Molti dei manifestanti che hanno subito il massacro alla Scuola Diaz, una volta arrestati, vengono portati proprio alla caserma di Bolzaneto. Si parla di circa trecento persone o più. Dalle ricostruzioni i fermati, appena scesi dalle camionette, venivano duramente percossi ancor prima di essere identificati. Una volta all’interno delle strutture cominciava l’inferno. Costretti a mantenere posizioni degradanti per ore, a ogni cedimento, ripartivano i pestaggi. Privati di cibo e sonno, tutti coloro che finiscono loro malgrado a Bolzaneto vengono umiliati, minacciati e terrorrizzati. I bagni divengono occasione per linciaggi, tanto che molti ragazzi preferiscono “farsi tutto addosso” che rischiare nuove botte. Si costringono i detenuti a cantare inni fascisti, come il tradizionale “faccetta nera” o il più folcloristico”uno due tre, viva Pinochet, quattro cinque sei, morte agli ebrei, sette otto nove, il negretto non commuove”. Ad altri viene imposto di insultare Che Guevara o di inneggiare al Duce, a Hitler e persino a Francisco Franco. I celerini più giovani sputano e scalciano e incitano i fermati a sfilare con il braccio destro teso alzato in un sadico saluto romano. “Con Berlusconi possiamo fare quello che vogliamo” ripetevano. Non semplici scatti di rabbia individuale ma una “sistematica violazione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” hanno sentenziato i pubblici ministeri che seguono il processo. “Vi è stata una volontà diretta – hanno aggiunto – a vessare le persone ristrette nel sito a lederle nei loro diritti fondamentali proprio per quello che rappresentavano: tutti appartenenti all’area no global e partecipanti alle manifestazioni ed ai cortei contro il vertice G8″.
Marco Poggi, infermiere penitenziario, è stato ridefinito dai colleghi “l’infame di Bolzaneto” perchè ha parlato. E chiaramente: “Per anni ho lavorato al carcere della Dozza a Bologna. Un posto mica da ridere. Tossici, ladri di galline, mafiosi, trans, stupratori. La violenza la respiravi come aria, ma quel che ho visto a Bolzaneto in quei giorni non l´avrei mai ritenuto possibile”. Con la scusante delle perquisizioni, costringevano la gente a flessioni insostenibili, e ogni volta che qualcuno si fermava veniva picchiato. Piercing strappati anche dalle parti intime. Pure ag
enti donne infieriscono. “Gli agenti sono come sotto effetto di droghe” ha raccontato un giovane testimone. Circola una voce falsa che indicherebbe un carabiniere morto. Parte un poliziotto prende la mano di un ragazzo la divarica dai due lati fino e gli spacca la mano aprendola fino all’osso. La ferita gli sarà ricucita senza anestesia.
C’è chi sviene o chi vomita sangue ma nulla ferma i carcerieri. “Delle violenze nelle strade di Genova c’erano le immagini, le foto, i filmati – commenta l’infermiere Poggi – tutto è avvenuto alla luce del sole. A Bolzaneto, no. Le violenze, le torture si sono consumate dietro le mura di una caserma, in uno spazio chiuso e protetto, in un ambiente che prometteva impunità”.

I processi e le promozioni
di Alessio Marri

Se ai venticinque imputati tra i manifestati accusati di devastazione e saccheggio si parla di una pena variabile tra i sei anni e i sedici, i quarantanove agenti dell’ordine sotto inchiesta per reati che vanno dall’abuso d’ufficio a lesioni volontarie si prospetta una comoda quanto paradossale prescrizione. Infatti non esistendo in Italia il reato di  tortura ma solo la ratifica di norme europee non vincolanti il codice penale del Bel Paese, i processi per “il girone infernale” di Bolzaneto e gli altri procedimenti serviranno probabilmente solo a stabilire una memoria storica di quanto veramente avvenuto in quei tragici giorni a Genova.

Grazie invece ai brogliacci delle intercettazioni telefoniche effettuate sulle chiamate intercorse tra Francesco Colucci, ex questore di Genova, Spartaco Mortola, ex capo della Digos di Genova, e l’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro, si è arrivati all’incriminazione dei tre per falsa testimonianza. False testimonianze rilasciate per coprire la sciagurata irruzione alla Diaz e la tragicomica vicenda delle molotov sequestrate di giorno e portate nella scuola a giustificante della brutalità dell’intervento.

Ma se i magistrati tentano di svolgere le loro funzioni nel rispetto dei valori democratici e costituzionali, le reti di solidarietà riscontrate e la serie desolante di promozioni tra i personaggi delle forze dell’ordine imputate per gravissimi reati, sembrano aver contribuito ad indebolire l’azione giudiziaria.
 
Le scandalose promozioni:

1) Gianni De Gennaro, capo della polizia dal 2000, indagato al processo Diaz per induzione alla falsa testimonianza, nel 2007 diventa capo di gabinetto del ministro dell’Interno Giuliano Amato e all’inizio del 2008 è nominato commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania.
2) Francesco Gratteri, imputato al processo Diaz, capo dello Sco, nel 2007 è divenuto capo del Dipartimento nazionale anticrimine. Il suo vice all’epoca del G8, Gilberto Caldarozzi , imputato Diaz, gli è succeduto come direttore dello Sco.
3) Giovanni Luperi, imputato Diaz, nel 2001 vice capo dell’Ucigos, è dal 2007 capo del dipartimento analisi dell’ex Sisde.
4) Spartaco Mortola, imputato Diaz, già capo della Digos di Genova, è vice questore vicario di Torino.
5) Filippo Ferri, imputato Diaz, già capo della squadra mobile della Spezia, ora ricopre lo stesso incarico a Firenze.
6) Vincenzo Canterini, imputato Diaz, già capo del VII reparto mobile di Roma, è divenuto vice questore ed è impegnato in Romania in una struttura investigativa internazionale.
7) Fabio Ciccimarra, imputato Diaz e anche al processo a Napoli per gli abusi nella caserma Raniero (durante le manifestazioni del marzo 2001), già commissario capo a Napoli, è ora capo della squadra mobile di Cosenza.
8) Alessandro Perugini, imputato per Bolzaneto e per il calcio in faccia a un minorenne già arrestato e picchiato, da vice capo della Digos è divenuto vice questore.
9) Oronzo Doria, imputato per Bolzaneto, già colonnello di polizia penitenziaria, è divenuto generale.



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