Tra lacrime e sorrisi Moretti racconta il dolore più intimo

Natalia Aspesi

, da Repubblica

Nanni Moretti si è innamorato di una nuova parola per raccontarsi: inadeguatezza. E in questo modo riesce a far sentire i suoi cineappassionati più inadeguati di lui, inadeguati cioè a cogliere tutta la meraviglia del suo nuovo film, dal titolo già pericolosamente intimo, Mia madre ; affidando il suo alter ego alla nostra attrice più brava a esprimere inadeguatezza, Margherita Buy, forse perché lei così si sente davvero, malgrado, a 52 anni, sia al suo 48° film e sia ormai molto brava.

Dal 2011, dal memorabile Habemus Papam, si aspettava con docile ansia un nuovo Moretti, marchio sicuro del raro buon cinema italiano, e finalmente ce lo ha concesso: non un’autobiografia, non un caro diario, non una confessione, ma certamente una storia autoreferenziale, negli eventi e nei sentimenti. Non ha mai pensato di essere lui se stesso, perché da subito voleva essere rappresentato da una donna, che certamente poteva essere un regista meno musone e complicato di lui, e lui poteva dirigerla contando sulla sua devozione verso il Maestro dimostrata in due altri film fatti con lui.

Dunque la regista Margherita sta girando un film ancora senza titolo, su una fabbrica occupata in cui arriva il nuovo padrone italoamericano, una storia impegnata del genere che anche se non ti viene benissimo magari sarà invitata a Cannes perché là ti adorano; anche se il film della Buy nel film di Moretti, lui non lo dirigerebbe mai. La vita di Margherita, come tante di oggi, è spezzettata, confusa, difficile, senza momenti di sosta e di felicità: la figlia adolescente (la graziosissima tredicenne Beatrice Mancini) vive col padre, Margherita lascia per stanchezza il nuovo compagno attore nel suo film (Enrico Ianniello), la mamma (Giulia Lazzarini) è in ospedale molto malata e si avvia verso la confusione e la morte, Giovanni (Nanni Moretti), il fratello ingegnere cui Margherita è molto legata, si licenzia per poter assistere la madre. Una vita così piena e senza sosta come quella della regista (o di Nanni) crea quel tipo di solitudine e inquietudine contemporanea che non consente mai di essere davvero soli, oppressi in un vuoto troppo abitato che il film sa raccontare con magia.

Moretti nella vita, ha un figlio quasi ventenne, Pietro. Per fascino e non si sa se per inadeguatezza, ha avuto più di una compagna, tutti i suoi film sono un evento internazionale. Nel 2010, in fase di montaggio di Habemus Papam , cioè in pieno lavoro, ha perso la sua amata mamma, Agata Apicella, insegnante di lettere al liceo, e anni prima il padre Luigi, docente universitario di epigrafia greca, il fratello Franco è docente di letteratura comparata. Quindi Nanni è cresciuto in una casa piena di libri, e l’idea era di girare il film in quelle stanze, però la scenografa non era contenta: l’appartamento è stato ricostruito in studio, ma Nanni ha voluto che fossero i veri volumi di famiglia a riempire gli scaffali di scena, affinché la regista Margherita, cioè il regista Moretti, potesse accarezzarli con amore e rimpianto.

Momenti come questi, d’inevitabile commozione, sono tanti, difficilmente ormai si provano al cinema. Ma Moretti è di quei registi e di quegli uomini che non vogliono costringere la gente alle furtive lacrime con facili mezzi ricattatori. E quindi il legame dolente tra la donna ammalata e i due figli, prima in ospedale poi a casa, si accende della bravura degli attori: la madre Ada (Lazzarini, grande attrice di teatro), sa contenere la sofferenza e la paura, per aiutare i figli ad accettare la sua fine; il figlio Giovanni, cui Nanni Moretti dà una fragilità molto maschile che gli rende insopportabile il peso contemporaneo del dolore e della professione.

È lei, la figlia Margherita, dai gesti soccorrevoli e impacciati sul corpo affranto della donna ammalata, ad avere la forza per vivere tutto, schiacciata dal pensiero del film da girare quando è al capezzale della madre, e dalla preoccupazione per la madre quando si ritrova in mezzo alla confusione, alla ripetitività, alla piccola folla con cui all’interno di una vera fabbrica deve finire il suo film. Sono i momenti in cui come in tutti i suoi film, Moretti riesce a far ridere: il padrone italoamericano è John Turturro, che si esprime in pessimo italiano e in inglese quando si arrabbia: dice di aver lavorato con Kubrick ma poi dimentica le battute, obbliga a decine di ciak, è insomma un disastro che potrebbe rovinare il serissimo film. Bravo a fare il cialtrone, dice Moretti, che già ha voluto come papa il grande francese Michel Piccoli.

Era questo il momento di fare un film come Mia madre così personale e intimo? Oppure come goffamente cerca di spiegare la regista alla conferenza stampa in fabbrica, senza crederci, è il suo film a essere «in linea con quello che sente il Paese?». O il Paese non sente più niente e vuole stordirsi in tv con le meraviglie fantasy tipo Il trono di spade? Intanto un evento adatto a un film di Nanni Moretti è il Festival di Cannes, dove con ogni probabilità potrebbero essere invitati anche due altri ospiti italiani là molto amati: Sorrentino con La giovinezza e Garrone con Il racconto dei racconti.

(15 aprile 2015)



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