Tra Mattarella, Salvini e i tedeschi: si può uscirne a sinistra?
Alessandro Somma
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Per la Costituzione italiana “il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri” (art. 92). Questa disposizione non attribuisce un potere illimitato al Capo dello Stato, che può rifiutare la nomina dei ministri solo in mancanza di requisiti giuridici, ovvero, in massima parte, per questioni attinenti le incompatibilità con la carica. Se così non fosse, il Presidente della Repubblica concorrerebbe a formare l’indirizzo politico generale, e questo contrasterebbe con la massima per cui egli è politicamente irresponsabile (art. 90), tanto che i suoi atti devono sempre essere controfirmati dai ministri e dal Premier. Se così non fosse il Presidente diverrebbe l’interprete autentico della volontà popolare, il che sarebbe palesemente in contrasto con il carattere parlamentare della nostra democrazia.
Detto questo sono stati numerosi i casi in cui il Presidente della Repubblica, anche fuori dall’ipotesi del governo cosiddetto tecnico, ha tentato di influenzare la composizione del governo: a partire da quanto fece Gronchi con la nascita del governo Zoli (1957), sino al rifiuto di Napolitano di nominare Gratteri Ministro della giustizia del governo Renzi (2014). Qui il Capo dello Stato non si è però limitato alla mera moral suasion, per quanto penetrante essa possa essere: qui siamo arrivati allo scontro. Mattarella che blocca la nomina di Savona a Ministro dell’economia, e che poi fa nascere subito dopo un governo tecnico che sicuramente non avrà una maggioranza in parlamento, è un atto chiaramente fuori dalle sue prerogative. Soprattutto se motivato con le parole che ha scelto il Capo della Stato, elevatosi al ruolo di Presidente degli investitori stranieri e dei risparmiatori italiani danneggiati da una “linea che potrebbe provocare l’uscita dell’Italia dall’Euro”. Il che equivale a dire che il governo Conte non va bene perché non piace ai tedeschi.
Poco prima Savona aveva precisato di essere addirittura per “la piena attuazione degli obiettivi stabiliti nel 1992 con il Trattato di Maastricht, confermati nel 2007 con il Trattato di Lisbona”, ovvero, in buona sostanza, di non rappresentare un pericolo per l’Europa neoliberale. Ma non è bastato: Mattarella ha ricordato che la nomina di Savona sarebbe stato un “messaggio immediato di allarme per gli operatori economici e finanziari”. E si è piegato alla dittatura dello spread, con ciò esorbitando rispetto alle sue prerogative costituzionali, perché ha compiuto una scelta squisitamente politica.
Squisitamente politiche saranno anche le conseguenze di questo gesto, che trasformeranno le prossime, imminenti, elezioni politiche in un plebiscito sulla permanenza nell’Eurozona, o addirittura sull’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. E le posizioni saranno necessariamente estremizzate, come si addice alle arene politiche nelle quali si respira un clima populista: gli euroentusiasti saranno percepiti come i rappresentanti delle élite finanziarie, mentre gli euroscettici i difensori del popolo e della democrazia.
Sta qui il vero errore di Mattarella, che, nel momento in cui ha deciso di operare da politico, ha assicurato all’Italia un futuro di destra: della peggiore destra xenofoba e identitaria che forse abbandonerà l’Euro, ma che farà con la Lira le stesse cose che si sono fatte con l’Euro, ovvero resterà fedele all’ortodossia neoliberale incarnata dalla flat tax. Il tutto con una maggioranza solida, quella assicuratale dalla legge elettorale voluta da un altro genio della politica: quel Matteo Renzi che in poco tempo è riuscito a demolire ciò che restava della sinistra storica italiana. E ad assicurare a Salvini il ruolo di primo piano che sta attualmente giocando.
Se la sinistra vuole tentare una via di uscita da questa impasse, deve riconoscere le caratteristiche del clima oramai imperante, accettare la sfida populista e assumere l’opposizione all’Unione europea come fondamentale terreno di scontro politico. Rispetto al quale affermare le ragioni di un ritorno alla dimensione nazionale come recupero della sovranità popolare finalizzata a riarmare gli Stati contro i mercati. Tutto il contrario di quanto vogliono i sovranismi di destra, pronti ad armare gli Stati in una incessante lotta tra loro per la conquista dei mercati, in tutto e per tutto compatibile con l’ortodossia neoliberale.
* Professore ordinario di diritto comparato, Università degli Studi di Ferrara
(29 maggio 2018)
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, Paul Krugman, Paolo Maddalena, Valerio Onida, Massimo Villone, Guido Salerno Aletta Flores d’Arcais: “Esula dai poteri del Quirinale sindacare sulle opinioni politiche dei candidati ministri”. Krugman: “Non c’è bisogno di essere populisti per essere inorriditi dal fatto che i partiti che avevano vinto un chiaro mandato elettorale sono stati esclusi perché volevano un ministro dell’economia euroscettico". Maddalena: “È riconoscimento formale del passaggio della sovranità dal Popolo Italiano al mercato globale”. Onida: “Il Colle non ha potere sull’indirizzo politico”. Villone: “L’errore di Mattarella”. Salerno Aletta: “Un vulnus profondo alla forma di Stato”.
Il presidente di Libertà e Giustizia: “Mattarella ha inflitto all’istituzione della Presidenza della Repubblica una torsione inaudita, che costituirà un precedente pericolosissimo. Si è assunto la responsabilità di decidere l’indirizzo politico del governo, non rispettando spirito e lettera della Costituzione. La sovranità dei mercati ha preso il posto della sovranità popolare. L’incarico a Cottarelli ha poi tratteggiato icasticamente l’immagine di una democrazia commissariata”.
L’Associazione Nazionale Giuristi Democratici: “La scelta del Presidente della Repubblica non è condivisibile perché il rifiuto alla nomina non può mai fondarsi su un giudizio politico sul soggetto, ma solo su una sua inidoneità giuridica a ricoprire l’incarico. Non convincono poi le ragioni addotte. Secondo il nostro ordinamento sono le scelte degli elettori che determinano la nascita del Governi, non le reazioni dei mercati finanziari”.
Sono le parole presidenziali, oltre e più che il gesto di rifiuto in sé, a costituire un drammatico vulnus alla democrazia e al funzionamento della Repubblica. Sono la conferma che ormai il Paese è a sovranità limitata: alla sudditanza agli Usa ora si è aggiunta, in modo clamoroso, la limitazione proveniente non tanto dall’Unione Europea, in generale, ma dalla sua leadership tecno-finanziaria.
Le conseguenze politiche della crisi istituzionale che si è aperta sono evidenti: alle prossime elezioni Lega e M5S faranno una campagna elettorale a colpi di sovranismo contro le ingerenze dell’UE. A ciò, non si può opporsi difendendo la dittatura dello spread e la Troika, ma costruendo un’alternativa capace di rompere questi due blocchi, entrambi sbagliati e nefasti per il Paese.