Matteo Salvini è divenuto, meritatamente, il mostro da prima pagina: è quello che del resto egli stesso anela, avendo capito che l’importante è essere appunto in prima, con qualsiasi mezzo, e in fondo, forse non del tutto coscientemente, egli è riuscito a costruire il personaggio di sé stesso, in una contiguità con il precedente Salvini di lotta e di governo, ma leader prima locale, poi regionale, infine nazionale di un movimento che stava abbandonando alle ortiche la precedente natura localistica, e si trasformava in partito monocratico, nazionale.
Il nuovo Salvini, tuttavia, che alterna mascella quadrata e sorriso beffardo, il Matteo non più lombardo, ma nazionale e internazionale, che mentre ripete ossessivamente il richiamo agli italiani (“Prima gli italiani”, “Non toglieremo soldi dalle tasche degli italiani”, “Sessanta milioni di italiani mi seguono”, “Vogliamo ascoltare gli italiani”, “Rispetto per gli italiani”, “Dobbiamo mantenere le promesse con gli italiani”…), ma lancia messaggi a Est (Ungheria di Orban) e Ovest (la Francia della Le Pen, o più lontano il Brasile di Bolsonaro).
Questo Salvini usa con grande disinvoltura non già l’antica endiadi di bastone e carota, bensì quella della provocazione dissacrante e quella della simpatia di chi pur sentendosi “naturalmente” leader, ci tiene ad essere come tutti: uno come noi. Sicché si passa da “Domenico Lucano è uno zero”, con conseguenti minacce, fino al beffardo “A Lucano io mando un bacio”: la politica del bacio inviato, annunciato, mimato, il bacio a distanza, è una delle novità sul piano della comunicazione politica nell’era “gialloverde”. E Salvini ne è il protagonista assoluto (è sufficiente un’occhiata alle sue varie pagine Facebook, che grondano di baci agli avversari). Ma in contemporanea ribadisce slogan che abbiamo già conosciuto, il più noto dei quali è il funesto “Noi tireremo diritto”.
Gli echi mussoliniani sono forti, e molti evocano esplicitamente il fascismo (anche se pacatamente da più parti – per tutti Gustavo Zagrebelsky – fa notare che di fascismo non si tratta: almeno per ora), ma come dimenticare le sortite di Berlusconi? O quelle di Renzi? Anche Renzi ebbe a scontrarsi con la Commissione della UE, anzi giocò esplicitamente quella carta per acquistare consenso tra i ceti popolari, con mosse e motti paramussoliniani. Quanto a Berlusconi basti ricordare quella penosa esibizione al Parlamento dell’Unione, a Bruxelles, quando, nell’imbarazzo del suo ministro degli Esteri, Gianfranco Fini, insultò il tedesco Martin Schulz, estendendo ai suo colleghi della “Sinistra” apprezzamenti espressi in una formula che voleva essere ingiuriosa ma risultò ridicola: “Ma guardatevi! Sembrate dei turisti della democrazia…”).
Insomma, Salvini tiene dietro ai suoi predecessori dai quali ha appreso parecchio: si tratta di tre forme di populismo, quello mediatico e barzellettiero di Berlusconi, quello smart ed efficientistico di Renzi, quello smargiasso e cafonesco di Salvini. Li unisce l’appello al popolo, non importa se un popolo televisivo, un popolo della piazza, un popolo dei “circoli”. E accanto a loro si staglia la figura, ormai patetica, di Grillo, con il suo iper-populismo, quello che abbina la Rete e la Piazza, che gioca sul doppio registro, della comicità volgare e del buon senso contadino.
Quanto a Di Maio, neppure varrebbe la pena di citarlo, pallido imitatore degli altri, senza averne i numeri, da nessun punto di vista: con la sua faccina da bravo ragazzo ripete psittacisticamente le sue formule, che vengono poi puntualmente rilanciato dal “popolo 5 Stelle”, quasi tremebondo, davanti all’ingombrante sodale-competitore Salvini, consapevole della propria fragilità e e della potenza dell’altro.
Il mostro Salvini, lanciato dalla tv, in particolare nell’era Renzi, nella convinzione che un Matteo cattivo, un Matteo bruto, avrebbe potuto aiutare a costruire il figurino del Matteo buono, dalla faccia di giovane perbene: Salvini, in certo senso, è stato lanciato da Renzi.
In tutto questo, ovviamente, il Parlamento aveva già perso da tempo, da parecchio tempo, qualsiasi significato, sostituito dagli studi dei talk show televisivi, dai post sui social media: Renzi in Parlamento non c’era neppure, ed è giunto come Salvini al Parlamento europeo prima che a quello italiano. Salvini, è noto, vive su Facebook e su Twitter, lancia un numero imprecisato di messaggi quotidiani, si fa seguire, accompagnare, precedere da fotografi e videoperatori: e studia le pose, ora imbracciando un kalashnikov, ora ancora ostentando i bicipiti e tricipiti, ora, infine, concedendosi all’obiettivo mentre divora un piatto di cozze. La performance romana mentre le ruspe distruggevano le dimore abusive della famiglia Casanova rimarrà negli annali dell’improntitudine italiana.
Instancabile, Salvini interviene su qualunque argomento, compresi, naturalmente quelli che nulla hanno a che fare con il ruolo di ministro dell’Interno, di cui sembra non aver compreso le mansioni. L’importante è la presenza, e quando non può assicurarla di persona, implacabile arriva il post, il tweet, l’intervista lampo: Salvini deve dire la sua. Deve mettere la sua faccia su qualsiasi atto che “la gente”, ossia i suoi possibili elettori, possano approvare, e quando l’atto non c’è Salvini lo inventa, mentendo sui dati, sulle cifre, sui fatti stessi.
Cianciando e cianciando, è inevitabile che la faccia fuori del vaso, come egli stesso potrebbe dire, incurante delle conseguenze, con un cinismo spaventoso, persuaso della propria inattaccabilità, sicuro di poter durare dieci o vent’anni, data la pochezza degli alleati, e la debolezza degli avversari (che sono stati peraltro alleati o succubi fino a pochi mesi or sono). L’azione Baobab, dopo quella Riace, dopo quella della nave Diciotti sono altrettanti capitoli di una carriera all’insegna di un assoluto sprezzo per la civiltà giuridica, e di un cinico utilizzo delle peggiori pulsioni umane.
Forse, il punto più basso, in una serie ormai innumerevole di infamie, Salvini lo ha toccato solo tre giorni fa, quando ha postato su Facebook la fotografia di tre ragazze, minorenni, che lo avevano contestato, innalzando un cartello: quella foto è stata esposta su una delle sue pagine, e ha raccolto migliaia di frasi ingiuriose, quasi sempre a sfondo sessista. Ovviamente il ministro dell’Interno ha considerato questi commenti come altrettante dichiarazioni di voto per lui e il suo partito, altrettante medaglie che testimoniano il suo successo personale, che corrisponde al fallimento della coscienza pubblica di questo Paese. Se c’è un’altra Italia è tempo che si ridesti e faccia sentire la sua voce.
(26 novembre 2018)
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