Transavanguardar dipingendo

Mariasole Garacci

La Galleria nazionale d’Arte moderna di Roma celebra Sandro Chia, che alla fine degli anni Settanta fu insieme a Enzo Cucchi, Francesco Clemente, Nicola De Maria e Mimmo Paladino attore protagonista della Transavanguardia. Regia di Achille Bonito Oliva.

L’estate scorsa, su Flash Art, Sandro Chia dichiarava: “Bisogna guardare in faccia la realtà, sono passati trent’anni ed è tempo di gettare la maschera, è tempo, per esempio, di rispondere alla domanda circa il proprio lavoro e la sua pregnanza oggi, nel mondo presente. Io stesso ho letteralmente assassinato così tanta arte ritenendola non più espressiva, ridondante, decorativa”. Trent’anni da quel 1979, quando Achille Bonito Oliva “inventava” e sanciva la nascita della Transavanguardia italiana.

Alla fine degli anni Settanta, in polemica con la connotazione moralistica dell’arte concettuale e dell’arte povera, con un idealismo che il critico definiva darwinismo linguistico, e che condannava l’arte ad una morte hegeliana, questi giovani artisti “senza talento” rivendicavano il ritorno al piacere, al godimento, ad una opulenza solare e a-problematica intesa come movimento affermativo ed edonistico nella pratica pittorica. Un’arte che non si preoccupava più del rapporto -conflittuale, mimetico, modificato- con il reale avendo come principio che “l’arte -così scriveva Oliva- serve a spingere l’esistenza verso condizioni di impossibilità”, e che semmai si concentrava sull’individuo, il soggetto a monte dell’opera, insomma l’artista: “tornare ad essere possidenti”, dopo una lunga stagione artistica percepita come spersonalizzante e anti-artistica. E ancora, un’arte, quella della transavanguardia, fondata su uno spirito di nomadismo, come attraversamento, transitabilità appunto, dell’avanguardia alla ricerca di una nuova dimensione sperimentale e manuale, di una eclettica frantumazione stilistica, laddove le poetiche precedenti sembravano cristallizzate in un reticolo di punti di riferimento ideologici.

Sono passati, dunque, trent’anni: alcune dichiarazioni da “manifesto” che Oliva faceva all’epoca vanno lette, appunto, sotto la luce della temperie politico-sociale di quegli anni: siamo alla soglia degli anni Ottanta, un decennio, per definizione, culturalmente edonista e individualista, e forse – forse –, in sede teorica aveva senso opporre un nuovo piacere sensuoso e una nuova umiltà del fare, del mettere le mani in pasta, sulla tela, da parte di artisti come Chia – figurativi, aneddotici, spiritosi- all’ “estetismo della politica”, al moralismo di “una mentalità gregaria dell’arte verso la politica”, alla “superbia dell’opera assente dell’artista concettuale”, inquinata dal senso di colpa di mostrarsi, nolente, legato alla realtà materiale.

Un’opposizione tutta del suo tempo, superata, ma che illustra bene la poetica comune di artisti pure diversi tra loro, come Chia, Clemente, Cucchi, De Maria, Paladino, e il cui ricordo può essere un utile viatico alla mostra che si tiene in queste settimane alla GNAM di Roma. Nei dipinti di Sandro Chia, la figura umana giganteggia ingenuamente in un vento veemente e coloratissimo, abita una dimensione ironica – proprio nel senso, si potrebbe dire, di dissimulazione – e simbolica, eppure semplice ed evidente. I pittori della transavanguardia, e Chia in particolare, ricercavano così un eclettico recupero della tradizione del figurativo, ed è chiaramente leggibile nei loro lavori l’ispirazione a Chagall, Picasso, Cèzanne, De Chirico, Carrà. Ma nonostante l’evidenza palese e naïf di certe opere di questo movimento, e nonostante l’intento programmatico, paradossalmente un Chia cade in un’altra forma di concettualismo: la considerazione dello ‘stile’ sembra secondaria se non inutile, perché il suo linguaggio si basa sull’elemento fondamentale dell’interpretazione. Le opere dell’artista si riferiscono a un sistema simbolico molto personale e arbitrario, il suo, per decifrare il quale i motti di spirito e le didascalie dell’autore sono essenziali, parte integrante del pezzo. E così è di nuovo un’idea, stavolta però individuale, che ispira e spiega i suoi dipinti.

In attesa dell’apertura completa del Maxxi e del Macro, la GNAM rimane per Roma luogo di speciale importanza, vorrei dire didattica, per la storia dell’arte contemporanea, e lo dimostra una volta di più questa mostra, inserita nel tessuto delle collezioni permanenti del museo. Per questo era il caso di corredare l’esposizione con un apparato esplicativo che contestualizzasse sotto un profilo storico e critico l’opera del pittore e il fenomeno della transavanguardia, compito per il quale non sono sufficienti una nota biografica su Chia, un pannello il cui breve testo è in parte un copia-incolla delle parole di Achille Bonito Oliva del ’79, e le didascalie filosofico-sentimentali dei quadri scritte dal pittore stesso. Ma forse anche questo è nello spirito di questa pittura, non distanziare lo spettatore in una “fredda” prospettiva esterna, ma coinvolgerlo nel gioco di una nobile e popolare arte.

Sandro Chia. Della pittura, popolare e nobilissima arte
16 dicembre 2009 – 28 febbraio 2010
Roma, Galleria nazionale d’arte moderna – Viale delle Belle Arti 131
Orario: da martedì a domenica, 8.30 – 19.30, chiuso il lunedì.
www.gnam.beniculturali.it

(7 febbraio 2010)



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