Travaglio: “Il Tav lo vuole il Sistema. Il M5S? È il voto utile contro Salvini”
Giacomo Russo Spena
Un libro collettaneo – di cui è coautore – spiega le ragioni del No alla Torino-Lione: “È un’opera inutile, dannosa per il territorio e vantaggiosa solo per chi la costruisce”. Poi attacca il partito trasversale del cemento e le convergenze parallele, sulle grandi opere, tra Lega e Pd: “Quando il Pd – che ogni giorno grida al fascismo – si riduce ad implorare Salvini di regalargli il Tav, significa che è ad un punto di non ritorno”. E sulla crisi del M5S, ricorda che sono l’unica opposizione alla Lega: “Se cade questo governo si va a votare e il prossimo sarà di centrodestra. Meglio un Salvimaio oggi, con Conte a Palazzo Chigi, che un Salvisconi domani”.
Da sempre contrario all’alta velocità nel tratto Torino-Lione, già nel ’90 manifestava con la valle ribelle insieme a volti come Dario Fo e Franca Rame. Oggi si ritrova in un libro collettaneo “Perché No Tav” insieme ad altre autorevoli personalità schierate contro quest’opera: Erri De Luca, Marco Revelli, Tomaso Montanari, Luca Mercalli, Angelo Tartaglia, Livio Pepino, Alessandra Algostino, Claudio Giorno, Chiara Sasso e Luca Giunti. Un volume che smonta, punto per punto, le narrazioni tossiche dei media mainstream.
Seguo la questione da anni. Ero presente persino alla prima conferenza stampa del 1991: l’opera veniva annunciata in pompa magna sulla scorta di previsioni che, nel tempo, si sono rivelate sballate. Era pronosticato un aumento vertiginoso ed esponenziale del traffico passeggeri e merci, peccato che nel 2011 ci fu la famosa puntata di Report che mostrò la linea con i treni vuoti al 90%. Era già tutto chiaro: stavano mentendo spudoratamente e volevano l’alta velocità per i loro profitti. Il Frejus ha un traffico merci ridicolo, quasi irrisorio, rispetto alle altre arterie perché non esiste domanda sufficiente.
La maggioranza delle merci che passa per Ventimiglia è destinata in Spagna. Chi farebbe un tragitto verso nord per poi scendere a sud? Inizialmente l’opera era prevista per i treni passeggeri, poi scoprirono che il fabbisogno scendeva e bastava e avanzava il Tgv. Allora, dall’Alta Velocità, ripiegarono sull’Alta Capacità per le merci, solo per non rinunciare a un’opera che già sapevano inutile. Ora che il traffico merci e passeggeri si è ulteriormente ridotto, riparlano di passeggeri e merci. Sono quasi trent’anni che raccontano balle su balle, pur di non rinunciare all’affare.
I numeri sono gli stessi, non cediamo alla propaganda. All’inizio hanno chiesto a Ponti un’analisi costi-benefici sulla totalità dell’opera, mentre – in un secondo momento – Salvini (evidentemente allergico alle sottrazioni matematiche) ha voluto sapere l’ammontare specifico per l’Italia. Ponti ha preparato un secondo dossier escludendo le spese del governo francese e dell’Unione Europea. Tutto qui. Detto questo, per un buco che parte in Italia e finisce in Francia, non ha senso domandarsi quanto l’opera farebbe perdere a ciascuno Stato perché la perdita è complessiva. Ci rimettono sia gli italiani che i francesi. Anzi, noi ci rimettiamo di più avendo governanti irresponsabili che su un tunnel di 57 km e mezzo – che insiste per l’82% sul territorio francese e per il 28% su quello italiano – decidono di pagare i due terzi dell’opera, lasciando alla Francia solo un terzo delle spese, al netto di quelle europee.
Altra sciocchezza: nelle 80 pagine della costi-benefici c’è tutto, anche i costi ambientali e le previsioni del passaggio da gomma a rotaia. Se la richiesta è di calcolare i costi e i benefici di un’opera, è inevitabile che vadano inserite tutte le voci correlate. Fermo restando che, anche eliminando i mancati introiti per pedaggi e accise, il Tav rimarrebbe un’opera pesantemente in perdita per le casse dello Stato.
Certo. Ma non è vero che la presenza dell’alta velocità tra Torino e Lione trasferirebbe miracolosamente i container dai tir ai treni, perché notoriamente è molto più pratico ed economico trasportare una merce su gomma dato che il tir si reca nell’azienda di partenza e consegna direttamente nell’azienda di destinazione. Con il treno l’iter è più complesso e sconveniente: bisogna prevedere un passaggio col tir dall’azienda alla stazione, caricare i container sul treno, poi mandare un altro tir alla stazione di arrivo e rilevare il carico per effettuare poi l’ultimo tratto su gomma. Del resto, già oggi esiste un treno merci, il Torino-Modane, che viaggia ampiamente inutilizzato perché le aziende continuano a preferire i tir. In ogni caso, 15-20 anni di cantiere per scavare il buco più lungo del mondo in una montagna ricca di amianto e materiali radioattivi inquinerebbe irrimediabilmente la valle, col surplus di smog e CO2 che produrrebbero il cantiere e i camion carichi di detriti.
Sulle grandi opere siamo alle convergenze parallele tra Lega, Pd e quel che resta di FI. È una realtà tangibile: li abbiamo visti sfilare tutti insieme appassionatamente in piazza a Torino, prima nascosti dietro le madamine poi, più esplicitamente, con due marce bipartisan coi vari Chiamparino, Fassino, Toti, Gelmini, Martina, Molinari in prima fila. Maria Elena Boschi ha persino implorato la Lega di “passare dalle parole ai fatti”: come se fosse una sua alleata. Cos’altro aggiungere?
Quando il Pd – che ogni giorno grida al fascismo del governo e in particolare della Lega – si riduce ad implorare Salvini di regalargli il Tav, significa che quel partito è a un punto di non ritorno. D’altronde, l’ex segretario Martina aveva annunciato una mozione di sfiducia individuale contro Salvini poi – dopo la manifestazione congiunta a Torino – ha preferito farla contro il ministro Toninelli comunicandoci plasticamente chi è il nemico principale del Pd: il M5S.
Il Pd attuale è certo meglio o meno peggio di quello renziano, e non ci voleva molto. Ma, al momento, deve fare i conti con gruppi parlamentari con maggioranza renziana. Inoltre, la prima uscita pubblica di Zingaretti è stata una genuflessione ai cantieri della Torino-Lione insieme a Chiamparino. E la seconda una dichiarazione di rimpianto per la vittoria del No al referendum costituzionale. Se questo è il “nuovo Pd” zingarettiano… non vedo alcun rinnovamento contenutistico né politiche nuove rispetto al ciclo renziano.
È sicuramente cambiato perché, non essendo autosufficiente, ha stretto una coalizione con un partito diverso, se non opposto, e ha dovuto inevitabilmente accettare compromessi. Sul Tav si è ritrovato, tra l’altro, un alleato sleale che dopo aver firmato un contratto di governo in cui si sanciva di ridiscutere integralmente l’opera secondo il metodo dell’analisi costi-benefici, ha cambiato posizione e sta insistendo, adesso, per la realizzazione dell’opera. Un atteggiamento scorretto da parte di Salvini.
Su molti punti programmatici, la Lega ha dovuto accettare le condizioni poste dal M5S. Penso al reddito di cittadinanza – che ha assorbito la gran parte dei fondi a disposizione proveniente dall’extradeficit – o al taglio dei vitalizi o, ancora, alla legge anticorruzione o allo stesso rinvio semestrale degli appalti del Tav. Sono tutti provvedimenti innaturali per la Lega che è stata costretta a votare ob torto collo.
Sì, ma quanti sono i bocconi amari ingoiati dal M5S tra decreto sicurezza, legittima difesa, Terzo Valico, Tap, condoni etc?
Salvini è un animale mediatico ed è molto abile nella propaganda. La Lega è la forza più vecchia presente in Parlamento ed ha un radicamento nel sistema di potere e un’esperienza politica che il M5S si sogna. Salvini fa politica da quando Di Maio aveva 5 anni, è ovvio che tra i due non ci sia partita quanto a esperienza e abilità manovriera e comunicativa.
Dobbiamo intenderci su un punto nodale: dopo il voto del 4 marzo, l’apparato mediatico si è trovato spiazzato perché i due punti di riferimento classici di tutta la Seconda Repubblica – Forza Italia e Pd – sono stati entrambi sconfitti. Per spirito di sopravvivenza, dovendo puntare una forza di governo per non perdere tutti gli interlocutori, il Sistema ha optato per la Lega di Salvini che garantisce maggiormente il vecchio establishment facendone parte da 25 anni. Così i giornaloni hanno scelto, a tavolino, di enfatizzare il ruolo di Salvini e di minimizzare quello di Di Maio sperando che la paura per il mostro Salvini possa far tornare all’ovile gli elettori fuggiti dal Pd e far rinascere il vecchio centrosinistra.
È una visione miope: Zingaretti è stato accolto come una novità e pompato da alcuni media, ma gli ultimi sondaggi hanno già invertito il trend: il M5S è in lieve risalita e il Pd vicino al 18% del 4 marzo 2018. D’altronde, le prime idee del nuovo Pd non sono state brillanti, mi riferisco alla proposta Zanda di ripristinare il finanziamento pubblico dei partiti e di aumentare gli stipendi dei parlamentari o il no del Pd alla patrimoniale proposta da Landini. Chi veramente ha paura di Salvini preferisce che a controllarlo siano i Cinquestelle dal governo che un inutile Pd senza strategia e condannato all’opposizione. Almeno finché non emergerà all’orizzonte un’alternativa seria a questo governo.
Se cade questo governo si va a votare e il prossimo governo sarà di centrodestra. Un esecutivo con Salvini, non al Viminale ma a Palazzo Chigi, e magari con Berlusconi al ministero della Giustizia. Lo dico sempre a chi si indigna per questo governo: conservate un po’ di indignazione per il prossimo, che sarà certamente peggio. Meglio un esecutivo Di Maio-Salvini con i 5Stelle partito di maggioranza relativa in Parlamento o un bel governo Salvini-Berlusconi-Meloni che fa il bello e il cattivo tempo con 5Stelle e Pd all’opposizione?
Finché il salvinismo sarà così forte meglio che ci sia il M5S a tenerlo a bada, già da un anno è così: la disputa maggioranza/opposizione è tutta interna all’esecutivo. Mentre il Pd parla di un governo che sta portando il Paese al fallimento e al razzismo di Stato, M5S e Lega continuano a godere (insieme) di quasi il 60% del consenso popolare. Oggi, nel momento di massima dialettica e di massimo scontro tra i due alleati, Salvini non perde un voto e Di Maio ha interrotto la discesa e ricominciato una timida risalita. A questo schema non esiste un’alternativa credibile.
Un anno fa, subito dopo il voto, auspicai un contratto di governo su pochi punti, magari per pochi anni, fra il M5S e un centrosinistra rinnovato nei contenuti oltreché nelle facce. Ma quest’ultimo auspicio si rivelò una chimera. Quella formula continua a dipendere dal reale rinnovamento del centrosinistra, non tanto dai Cinquestelle, che sono quello che sono.
(10 aprile 2019)
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