Tutelare la medicina tibetana? L’Unesco non calpesti la scienza
Carlo Rovelli
, dal Corriere della Sera, 30 luglio 2017
La medicina tradizionale ha una storia da rispettare. Ma confonderla con la scienza porta ad esiti letali. Se un’istituzione raccomanda, garantisce, o promuove in qualunque modo l’uso dei salassi, in nome di un generico «rispetto di tutte le tradizioni» questa istituzione viene meno al suo dovere, anzi è criminale.
Cominciamo con alcuni punti fermi. Primo, numerosi rimedi usati dalla medicina moderna derivano da pratiche tradizionali: la scienza moderna ha trovato il modo di valutare in maniera indipendente, e ha riconosciuto l’efficacia, di alcune pratiche mediche tradizionali. Secondo, molte altre pratiche mediche tradizionali sono state egualmente valutate, ma sono state riconosciute come inefficaci o dannose: un esempio fra molti sono i salassi, estensivamente praticati dalla medicina tradizionale europea per secoli.
Terzo, è sacrosanto diritto di chiunque curarsi come vuole quando è malato, o anche non curarsi per nulla, se così desidera. Quarto, è però altrettanto sacrosanto dovere di chiunque, ma sopratutto delle istituzioni, se non vogliono perdere la fiducia e la loro stessa ragione di esistere, non transigere sulla affidabilità delle indicazioni mediche date ai cittadini. Se il signor X vuole curarsi con i salassi, affari suoi. Ma se un’istituzione raccomanda, garantisce o promuove in qualunque modo l’uso dei salassi, in nome di un generico «rispetto di tutte le tradizioni» questa istituzione viene meno al suo dovere, anzi è criminale.
Non si tratta di una questione accademica. Una mia cara amica, Simonetta, è morta prima dei trent’anni, lasciando due figli piccoli senza madre, perché invece di affidarsi alla medicina moderna per curare un tumore al seno, patologia oggi con un tasso di guarigione altissimo, si è invece fidata della «medicina tradizionale». Chi ha dato credito alle idee sulla efficacia della medicina tradizionale che hanno influenzato Simonetta e tanti altri ha sulla coscienza la morte di Simonetta, l’infanzia senza madre dei suoi figli, e migliaia di simili morti. Quando poi medicine alternative generano business di miliardi, lucrando sulle speranze di chi è malato, e rifiutando una valutazione indipendente della loro efficacia, io credo ci sia un problema.
Nei giorni scorsi la stampa internazionale ha riportato una polemica in corso fra Cina e India, che stanno litigandosi la paternità di pratiche di medicina tradizionale tibetana, e hanno entrambe domandato all’Unesco di iscrivere a loro nome queste pratiche nella Lista del Patrimonio mondiale immateriale dell’Umanità.
La lista dell’Unesco del Patrimonio immateriale dell’Umanità non serve per riconoscere tutto ciò che sia tradizionale; se così fosse, dovrebbe includere la schiavitù, il lavoro forzato minorile, il diritto dei mariti di picchiare le mogli e i sacrifici umani. La Lista riconosce il patrimonio che tutti noi vogliamo preservare e far crescere. Le medicine tradizionali, anche se hanno lasciato un’utile eredità, magari non ancora completamente esplorata, non fanno parte del patrimonio da preservare come tale perché sono anche piene di rimedi che a una valutazione indipendente si rivelano inefficaci o dannosi. Anche tralasciando gli aspetti dannosi che possono essere arginati, l’inefficacia stessa può essere letale: è per l’inefficacia di una cura tradizionale sudamericana per un tumore al seno che è morta Simonetta.
La lettera S in Unesco sta per «scienza» (United Nations educational, scientific and cultural organization). Un riconoscimento dell’Unesco alla medicina tradizionale attraverso l’iscrizione alla lista del Patrimonio immateriale dell’Umanità sarebbe un fiore all’occhiello o per l’India o per la Cina. Sarebbe un riconoscimento del valore di una pratica antica da parte della massima autorità internazionale per l’educazione, la scienza e la cultura. L’Unesco perderebbe ogni credibilità. Sarebbe una favolosa opportunità di business per molti. Sarebbe un atto criminale.
(30 luglio 2017)
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