Un altro mondo è (ancora) possibile

Angelo d’Orsi


Nel febbraio 1989 a Pechino si inaugura una mostra d’arte intitolata No U-Turn, nessun passo indietro, come recitava la scritta su un grande lenzuolo nero: a conclusione di un decennio di modernizzazione accelerata, seguita alla morte di Mao, la Cina si apre alla più estrema arte contemporanea. Il pubblico che entra nelle sale del Museo Nazionale di Belle Arti appare esitante, davanti allo spettacolo della modernità, una modernità inedita, e rimane assolutamente sconcertato quando uno tra i più famosi tra gli espositori, l’artista Xian Lu, estrae un revolver e spara contro la sua stessa opera. La polizia si precipita nel Museo, e l’esposizione viene chiusa immantinente.

Pochi mesi dopo, le armi da fuoco risoneranno in Piazza Tien an Man, con gli effetti ben noti. Ha inizio di là un nuovo processo di modernizzazione estrema, che Den Xiao Ping sintetizzerà nel celebre motto “Arricchirsi è glorioso”. La Cina entra trionfalmente, pesantemente, nel processo della globalizzazione, che dalla modernizzazione conduce in realtà all’epoca successiva, il postmoderno. Mentre sul piano sociale ed economico il neoliberismo si insignorisce di una fetta via via più estesa del Pianeta, e in parallelo gli Stati nazionali vanno perdendo le loro prerogative.

Questo significa, altresì, che l’Europa ha portato a compimento il suo lungo tramonto, iniziato, a dir poco con la Grande guerra: detto altrimenti, si tratta degli atti conclusivi della crisi di sovranità delle grandi potenze europee. Eppure il modello che si impone, culturale ed economico, è europeo per concezione e per nascita. Ma l’economia, come ha dimostrato Karl Marx, corre più veloce della politica, del diritto, della cultura, che o si adeguano ai nuovi ritmi e ai nuovi dettami, o perdono voce in capitolo; ma adeguandosi finiscono, e ciò vale specialmente per la cultura, per rinunciare a una parte essenziale della propria ragione sociale. Sono queste alcune delle riflessioni che suscita il libro di Lorenzo Marsili (La tua patria è il mondo intero, Laterza, pp. 181, € 16,00): un libro non facile, innanzi tutto per l’abbondanza (e ci consenta l’autore, la sovrabbondanza) di riferimenti culturali, dalla filosofia all’economia, dalla letteratura alle arti figurative, dalla scienza politica alla storiografia e così via. Libro non facile, in secondo luogo, perché si toccano temi apparentemente diversi, ma che vengono a confluire nel grande, decisamente orribile grembo della nostra contemporaneità. Marsili passa con disinvoltura, usando strumenti propri di discipline diverse della storiografia e della geografia, ora della filosofia, ora invece della scienza politica, ora ancora della teoria economica, e così via: entrare nei meccanismi dello stato presente delle cose, richiede, d’altronde, davvero una pluralità di strumenti teorici e approcci disciplinari, perché se il mondo appariva un secolo fa ad Antonio Gramsci “grande e terribile e terribilmente complicato”, che dovremmo dire noi, oggi?

In questo nostro mondo il libro ci conduce attraverso tappe che hanno segnato un percorso verso la dilatazione mostruosa delle disuguaglianze, la creazione di sacche, sempre più estese, di esclusione e povertà anche all’interno delle zone ricche e “sviluppate”, verso lo svilimento delle funzioni della democrazia liberale, fino alla sua riduzione a patetico simulacro, il dominio incontrastato dei mercati, e la scomparsa della centralità del potere. Oggi, nel gigantesco e spaventoso mercato globale, quello che comanda l’economia e la politica, quello che decide i grandi movimenti di capitali, di merci e di persone, quello che condiziona fino al loro annullamento sostanziale le decisioni degli Stati, e anche dei super-Stati, come la UE, oggi, la strabiliante scoperta è che nessuno è al comando. “Non esiste più una autorità cui appellarsi o un responsabile da additare come colpevole della nostra condizione” (p. 68).

Ciò rende tutto più oscuro, più difficile da comprendere e da controllare, e ovviamente, anche più ostico da combattere. Marsili ci mostra un mondo che si sta ridisegnando, e autocolonizzando, dividendosi in zone nelle quali esclusione e inclusione, ricchezza estrema e indigenza altrettanto estrema convivono a pochi metri di distanza. Gli esempi? La Germania, locomotiva d’Europa, ha il numero più elevato di lavoratori poveri; gli Usa, che vantano la piena occupazione, la quale si basa tuttavia su bassi salari specialmente per certe fasce etnicamente definite, che vivono condizioni pari a quelle di Paesi sottosviluppati; o la Cina, dove crescono i multimiliardari, ma il resto della popolazione vive con salari, a dir tanto, basici; o, ancora, l’India dove lo spettacolo della ricchezza fa a pugni con quello, nelle medesime megalopoli, di una povertà raccapricciante; o infine, la nostra Italia che, al di là delle maggioranze politiche che si alternano al potere, ha una enorme ricchezza privata (tra le più alte d’Europa), ma non è in grado di assicurare un futuro decente ai suoi giovani, che stanno letteralmente fuggendo altrove, in misura impressionante.

E intanto nascono addirittura i club dei “sopravvivalisti”, gli ultraricchi che costruiscono, perlopiù in Nuova Zelanda, rifugi iperprotetti, a prova di tutto (per resistere al cambio climatico, a una guerra, o una superbomba, o attacchi terroristici…), mentre si diffondono le psicosi dello straniero, dell’“altro”, da fermare e/o combattere con muri e fili spinati, con la diffusione delle armi ai privati: psicosi, in realtà, pilotate dall’alto, ossia da politici cinici che si credono sagaci, ma rivelano soltanto una mediocre furbizia destinata a infrangersi contro le dure repliche della storia.

Non rimane quindi che appellarci ai tempi lunghi della storia? Il libro, pur nello sconfortante quadro che dipinge, non privilegia il pessimismo dell’intelligenza, ma il suo contraltare, l’ottimismo della volontà. Innanzi tutto ci invita a porci la domanda di fondo: come opporsi al mostro neoliberista che sta occupando sistematicamente il Pianeta? L’autore ci avverte che il ritorno al capitalismo “normale” del passato è impensabile. Ma anche una risposta fondata sulla difesa (fuori tempo massimo) degli Stati nazionali – disfatti appunto dal “dispiegamento planetario del neoliberismo” (p. 64) – e sovrani (il “sovranismo”, oggi così di moda) è debole e in verità risibile. Occorre pensare e lavorare per il “superamento della globalizzazione neoliberale e una nuova organizzazione del mondo” (ibidem). L’autore conclude: “La sfida che si para dinnanzi è quella di creare comunità politiche capaci di travalicare e attraversare il sistema internazionale. E, attraverso tale superamento, trasformarlo” (pp. 113-14). I segnali non mancano: sono ormai vent’anni dal grande, imprevisto successo dal raduno di Seattle in avanti, che diede vita al movimento No Global, denominazione in fondo errata per quello che in realtà era ed è un movimento per la giustizia globale. Poi venne Porto Alegre, e il suo Forum Sociale Mondiale. E oggi si aggiunge, sebbene con grave ritardo, la questione climatica, grazie anche al messaggio di Greta Thunberg. Marsili ci invita a non lasciar cadere il senso del motto lanciato a Porto Alegre, “Un altro mondo è possibile”.

(15 luglio 2019)

 



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