Un ambiente, due attori, il 3D: il futuro di Bernardo Bertolucci

Giona A. Nazzaro

a cura , da Cannes

Una palma d’onore per Bernardo Bertolucci, il “maestro” come lo definisce Thierry Fremeaux introducendo la conferenza stampa. Atteso dai giornalisti, Bertolucci impartisce una lezione di cinema e di gusto spaziando nell’albo dei suoi ricordi e scusandosi di non avere niente di “fresco” da offrire.

“Sono molto affezionato a Cannes. Prima della rivoluzione è stato presentato alla Settimana della critica dove ha ottenuto un successo lusinghiero mentre in Italia è stato massacrato ferocemente. In forme non sempre corrette. In Francia invece il film è stato adottato e sono stato quasi considerato un “cineasta francese”. Tanto è vero che quando ho portato a Cannes Novecento c’è stata un’intera giornata dedicata al film anche se era fuori concorso. Non mi pareva giusto, nei confronti di film più piccoli, di competere con un “film monstre” di oltre cinque ore con attori hollywoodiani. Costa-Gavras, presidente della giuria all’epoca, mi disse: “Ma perchè? Il film avrebbe vinto senz’altro la Palma d’oro!”.

Inevitabilmente i trionfi del passato sono stati chiamati in causa più di una volta. Soprattutto Ultimo tango a Parigi. Alla prima domanda di una giornalista russa che ricorda come all’epoca nell’Unione Sovietica si rischiava la galera per vedere il film, Bertolucci reagisce con un moto di fastidio quasi impercettibile. Poi incalzato da un giornalista statunitense si lascia andare.

“Credo che Tango sia un film che invecchia molto bene. Nonostante abbia tentato di restare con i piedi per terra, il successo del film è stato tale che inevitabilmente ne sono stato coinvolto in maniera molto forte. Conosco colleghi molto famosi che hanno vissuto il medesimo tipo di follia e che a un certo punto, senza fare nomi, si sono comportati come James Cagney in White Heat di Raoul Walsh: Guarda mamma sono sulla cima del mondo! Il film è riuscito cosi bene anche grazie a Marlon Brando che mi ha dato molto più di quanto lui immaginava, tanto è vero che dopo che abbiamo finito il film non mi ha voluto parlare per moltissimo tempo. All’epoca mentre giravamo il film leggevo Georges Bataille che mi aveva molto colpito. C’è un regista giapponese, Nagisa Oshima, con il quale ho scoperto che abbiamo in comune una scena che entrambi non abbiamo girato. Sia in Tango che nell’Impero dei sensi ci doveva essere una scena con i due amanti che si rifiutano di aprire la finestra per restare avvolti nell’odore dei loro corpi. Ma evidentemente è difficile portare gli odori al cinema”.

Un giornalista brasiliano chiede a Bernardo Bertolucci dei suoi rapporti con il cinema novo.
“Ero molto amico di Glauber Rocha, una personalità vulcanica incredibile. Parlavamo dei nostri film come dei tori da combattimento impenetrabili. Dicevamo che i nostri film erano cosi densi e stretti che nel culo dei nostri tori non sarebbe entrato nemmeno un moscerino. E infatti i nostri film non li andava a vedere nessuno”.

Un collega cinese, di Hong Kong, chiede a Bertolucci di rievocare le sue esperienze con la Cina all’epoca de L’ultimo imperatore.
“All’epoca delle riprese de L’ultimo imperatore, chiesi di conoscere la nouvelle vague cinese dell’epoca, quando registi come Chen Kaige e Zhang Yimou stavano muovendo i primi passi. Si trattava di energia nuova, molto interessante. L’allora segretario del partito aveva impresso una forte energia di rinnovamento e la cosa si sentiva nell’aria. Chen Kaige è addirittura finito nel mio film, alto e bello com’era. Lui è il capitano delle guardie”.

Sollecitato sui suoi progetti futuri conferma il suo interesse per il 3D.
“Ho visto Avatar che mi è molto piaciuto. Lo trovo un lavoro estremamente appassionante. Allo stesso tempo mi sono chiesto perché il 3D debba essere confinato solo a generi come la fantascienza o l’horror. Provate a immaginare 8 1/2 in 3D. Non sarebbe ancora più affascinante? Oppure Persona di Ingmar Bergman, con tutti quei primi piani cosi straordinari.
Per motivi di salute avevo pensato di avere chiuso con il cinema ma poco alla volta ho iniziato a fare dei test per verificare la possibilità di un’altra modalità d’uso del 3D. Il romanzo di Ammaniti, Io e te, mi ha offerto questa voglia di sperimentare. Un ambiente, due interpreti, il 3D. Ho visto Pina di Wim Wenders e anche se non ho visto l’ultimo film di Werner Herzog, Cave of Forgotten Dreams, mi ha colpito il fatto che ci siamo ritrovati quasi allo stesso tempo a sperimentare e a interrogarci sulle possibilità del 3D. Anche se non siamo coetanei, apparteniamo comunque alla medesima scuola di pensiero o quasi.”

(11 maggio 2011)

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