Un assurdo processo “politically correct” a Parigi

Boualem Sansal

Georges Bensoussan, storico molto noto, direttore editoriale del “Mémorial de la Shoah” di Parigi e alla direzione della “Revue d’histoire de la Shoah”, è sotto processo per aver citato in una trasmissione radiofonica il sociologo algerino Smaïn Laacher, secondo cui “nelle famiglie arabe in Francia l’antisemitismo viene trasmesso con il latte”. Incredibilmente, la “Lega dei diritti dell’uomo”, la Licra, il Mrap, Sos Racisme e il "Collettivo contro l’islamofobia", lo hanno denunciato per “incitamento all’odio razziale”. La responsabile del dipartimento legale del “Collettivo contro l’islamofobia”, Lila Charef, si è presentata in tribunale contro Bensoussan indossando il velo islamico.
Pubblichiamo qui la lettera/testimonianza che in favore di Bensoussan è stata inviata al tribunale che lo sta giudicando da Boualem Sansal. Sansal è algerino e vive in Algeria, ed è uno dei più grandi scrittori viventi di lingua francese. Il suo ultimo libro “2084, la fine del mondo” (pubblicato in italiano da Neri Pozza”) avrebbe dovuto vincere il premio Goncourt, ma le pressioni dei settori “politically correct” dell’establishment letterario francese lo hanno impedito. Sansal è noto per la sua critica alle religioni in generale, oltre che per le puntuali critiche rivolte in particolare alla religione islamica.
Di Sansal MicroMega ha pubblicato “L’Apocalisse islamista e l’autunno dell’Europa” nel numero 8/2015.
(pfd’a)


A Fabienne Siredey-Garnier,
Presidente della XVII Camera penale del Tribunal de grande instance de Paris

Signora Presidente,
Desidero intervenire in qualità di testimone nel processo contro Georges Benssoussan.
Trovandomi tuttavia nell’impossibilità di presentarmi di persona all’udienza del 25 gennaio 2017, ho l’onore di inviarvi con la presente la mia testimonianza, sperando che il mio modesto contributo aiuterà a far riconoscere l’innocenza di Georges Bensoussan, essendo convinto che le accuse rivoltegli sono ingiuste e nocive.

Ingiuste, perché Georges Bensoussan è una persona infinitamente stimabile che tiene in grandissima considerazione il rispetto dell’altro. Come mostrerò a partire dalla mia esperienza, le dichiarazioni che gli si rimproverano non costituiscono in alcun modo un atto di islamofobia.

Nocive, perché possono essere percepite come parte di una politica generale che fa dell’accusa di islamofobia un mezzo per impedire qualsiasi critica dell’islam. Sono nocive tanto più perché Georges Bensoussan non ha in alcun modo affermato che l’antisemitismo sia imputabile all’islam, ma ha denunciato una palese carenza nell’educazione dei bambini nelle famiglie arabe in Francia e dicendo ciò non ha fatto che riprendere quanto affermato da un sociologo algerino in un documentario televisivo diffuso da France 3.

Io stesso ho denunciato in diverse occasioni questa cultura dell’odio che le famiglie arabe, scientemente o per semplice automatismo, inculcano ai loro figli; odio diretto contro l’ebreo, il cristiano, il cattivo musulmano, la donna emancipata, l’omosessuale eccetera.

La giustizia francese non può che respingere tali accuse.

Di più, vorrà sottolineare che Georges Bensoussan fa un lavoro utile spiegando al pubblico quali sono le vie e i mezzi attraverso i quali l’antisemitismo si produce e si diffonde. Anziché impedire la libera espressione e il dibattito, è contro questo che bisogna lavorare: attaccare l’antisemitismo all’origine con campagne di informazione e di sensibilizzazione, inserendosi, peraltro, nel quadro della protezione dell’infanzia.

È difficile per uno straniero testimoniare in un processo che si svolge in un altro paese. Io sono algerino, vivo in Algeria, e in verità sono poco avvezzo alle regole e agli usi che vigono in Francia, soprattutto in materia giudiziaria.
Spero di non commettere nessuna gaffe fornendo la mia testimonianza in questo modo.

Nel mio paese, la legge sanziona severamente ogni attacco all’islam, al suo libro sacro, il Corano, e al suo profeta, Maometto. Se la Giustizia non lo facesse, i credenti più radicalizzati non mancherebbero di porvi rimedio e in nome della sharia sanzionerebbero prontamente il o i colpevoli.

Ma anche se musulmana, di rito sunnita malikita riconosciuto come severo e rigoroso, l’Algeria non considera, né per quanto riguarda la legge, né per quanto riguarda l’interpretazione della sharia, l’islamofobia un delitto o un crimine. La paura o l’odio verso l’islam è un sentimento e resta tale finché non si traduce in atti pubblici (gesti e parole) offensivi.

In Algeria, non c’è e non c’è mai stato, e spero che non ci sarà mai, un affaire Bensoussan.
Come non c’è mai stato un affaire Sansal. In Francia, per aver denunciato l’islamismo e attirato l’attenzione del pubblico sulla sua incredibile capacità di attrazione sui giovani privi di riferimenti, e per aver dichiarato che l’islam non è compatibile con la democrazia, sono stato considerato da alcuni un islamofobo. In Algeria niente di tutto questo, esprimo le stesse opinioni, i miei libri vendono e sono letti, i miei interventi in Francia sono ripresi quasi ogni giorno dai media algerini, e spesso duramente commentati, ma mai sono stato accusato di islamofobia. Le parole che si rimproverano a Georges Bensoussan in Francia fanno parte dei discorsi che tengo quasi quotidianamente in pubblico in Algeria.

Dire che l’islam è incompatibile con la democrazia, è semplicemente ripetere ciò che lo stesso dogma islamico dice e ciò che insegnano le autorità religiose. Per un musulmano, la democrazia è una bida’a, un’innovazione empia, fortemente condannata. Non c’è altro potere che quello di Allah.

Dire che l’antisemitismo fa parte della cultura islamica, è semplicemente ripetere ciò che dice il Corano, ciò che viene insegnato nella moschea (che è prima di tutto una scuola) e senza dubbio in molte famiglie tradizionaliste. L’antisemitismo è un riflesso acquisito molto presto. Poi la vita farà sì che si praticherà o si respingerà ciò che si è appreso.

Il conflitto israelo-palestinese evocato quasi quotidianamente dai media pubblici e molto spesso durante la grande preghiera del venerdì, accresce ovviamente l’odio per Israele, gli israeliani e coloro che li sostengono.
Generalmente l’odio per l’ebreo si esprime in termini canonici, come esso è espresso nel Corano e negli hadith. La maledizione dell’ebreo e del cristiano ha il suo linguaggio e le sue formule, che bisogna rispettare alla lettera. Gli insulti che si sentono per strada non sono ammissibili.

Nel peggiore dei casi, in Algeria, le mie dichiarazioni mi procurano insulti da parte di islamisti e di coloro che io chiamo i guardiani autoproclamati del tempio. Io stesso non ho mai portato all’attenzione della Giustizia questi attacchi, anche se qualche volta avrebbero potuto essere considerati come minacce di morte o appelli al crimine. 

Ringraziandola dell’attenzione che presterà alla presente, la prego, Signora Presidente, di accettare l’espressione della mia più alta considerazione.

Algeri, 17 gennaio 2017
Boualem Sansal, scrittore< br />
(traduzione di Ingrid Colanicchia)

(2 febbraio 2017)



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