Un conclave senza chiave: intra omnes
Le dimissioni di Benedetto XVI hanno indubbiamente creato i presupposti per una forte presa di coscienza critica sulla situazione ecclesiale in tutti i suoi aspetti. Da una parte però è scattata come una molla la pedissequa e bigotta ammirazione, dall’altra la retroscenistica, malevola e gossipara ricostruzione dei fatti, fino ad arrivare al totoconclave imbastito sulle fazioni cardinalizie in campo. Il tutto rischia di rientrare nella solita impenetrabile liturgia gerarco-clericale. Occorre perciò sforzarsi di trasformare questo passaggio vitale per la Chiesa in un momento di consapevole crescita di tutto il Popolo di Dio.
Il metodo. Innanzitutto auspichiamo che sia finita la visione unilaterale e verticistica del “papacentrismo”: la Chiesa Cattolica è una comunità ed al suo interno esistono carismi (servizi) fra i quali c’è anche quello del Vescovo di Roma. A tutti i livelli, la Chiesa deve esprimere, all’interno e all’esterno, la piena e totale adesione allo stile evangelico, liberato dalle incrostazioni della tradizione e dai lacci dell’esercizio del potere. Quindi la procedura della scelta e l’impostazione dell’alta funzione papale devono essere rivisti sostanzialmente e formalmente in un bagno di partecipazione e condivisione coinvolgente: bisognerebbe partire dall’assoluto primato della dimensione pastorale rispetto a quella istituzionale; al centro dello stile ecclesiale si dovrebbe porre la collegialità episcopale; la vita dell’istituzione e la stessa pastorale andrebbero sclericalizzate, liberate dall’affarismo, ridotte all’essenziale in senso economico ed organizzativo e subordinate alle esigenze evangeliche; occorrerebbe puntare al forte coinvolgimento del laicato ed alla imprescindibile valorizzazione della presenza femminile.
La debolezza diventa forza. Al di là dell’ovvia debolezza fisica di un papa ultraottantenne, bisogna prendere coscienza della fragilità cronica di una Chiesa incapace di leggere i segni dei tempi e di andare incontro ai problemi dell’uomo, della donna, della società, del mondo. Il fatto strano non è l’autocoscienza della fatica di un papa a camminare, a viaggiare, a parlare…, ma il vero dramma è una Chiesa che si piange addosso, che si guarda l’ombelico, che arranca rispetto alle sfide del mondo contemporaneo, che si rifugia nello sterile dogmatismo e nel penoso rigorismo, che si limita a rammaricarsi della scarsità degli operai nella vigna e della propria appassita capacità all’impegno evangelico, che vive spesso di campanilismo ecclesiale o di retrograda contrapposizione alla modernità, che non rispetta la laicità dello Stato, che si compromette col potere, che difende ipocritamente la vita con i principi irrinunciabili senza condividere i drammi delle persone.
Il colpo di reni evangelico. Occorre finalmente raccogliere le provocazioni del Concilio Vaticano II: la collegialità vissuta come partecipazione di tutti, la centralità del Popolo di Dio, l’apertura al ruolo della donna nella pastorale e nei sacramenti, una visione nuova e gioiosa della sessualità nel rispetto delle tendenze personali e intime e, soprattutto, una Chiesa povera, trasparente a livello economico, esperta in comprensione, quella di Gesù, e non in condanne e anatemi.
Il terrore del sesso parte da lontano. Non si può evitare di toccare gli aspetti più scabrosi della vita della Chiesa che, a detta di molti avrebbero influito sulla rinuncia papale: gli scandali della pedofilia riconducibili a comportamenti molto diffusi tra i sacerdoti in diverse parti del mondo e alle inchieste sull’omosessualità viziosa e mercenaria praticata nelle strutture curiali. Il discorso è ben più grosso della provocatoria partecipazione al conclave di un prelato statunitense nell’occhio del ciclone o dell’opportuno passo indietro di un prelato irlandese. È il rapporto tra magistero ecclesiale e sfera della sessualità a creare assurdi imbarazzi mantenendo storici pregiudizi: dalla colpevolizzazione della masturbazione a livello adolescenziale alla esorcizzazione dei rapporti pre-matrimoniali, dalla condanna del divorzio con la conseguente emarginazione sacramentale dei divorziati, alla demonizzazione dell’aborto sempre e comunque, dal rifiuto aprioristico del controllo delle nascite a quello paradossale dell’uso del preservativo anti-aids, dalla sottovalutazione delle unioni di fatto alla demonizzazione dell’omosessualità, dalla testarda difesa del celibato sacerdotale alla visione formalistica e statica del concetto di castità.
Parecchi Padri della Chiesa aborrivano la sessualità, ne erano inorriditi e terrorizzati. L’atto sessuale era follemente bollato nella sua esecrabile impurità, la riproduzione doveva avvenire senza provare alcun piacere, come atto razionale e scevro da ogni passionalità. Una storia simile spiega molte delle gravi devianze, anche attuali, da parte di uomini di Chiesa. Sessuofobia fa rima con sessuomania e con viziosa omosessualità, purtroppo di casa in Vaticano e ambienti collegati. La forte ed ingiustificata ostilità verso l’omosessualità dichiarata e vissuta in una tensione sentimentale copre la sporca indulgenza verso l’omosessualità dell’intrigo e del favoritismo mercenario. Occorre quindi ripartire da un concetto aperto della sessualità vissuta come dono di Dio, come espressione di amore e dono, come talento da impiegare al meglio secondo coscienza. Basta con gli assurdi e vessatori codici di comportamento!
Lo stile comunitario. La forte presa di coscienza ed il coraggio del dialogo interno ed esterno saranno il miglior viatico per un conclave che, al di là della teatrale liturgia, sappia promuovere un rinnovamento di metodo e di merito. La Chiesa ha bisogno di cambiare e la scelta del nuovo Papa deve esserne un’occasione importante. Non basta pregare e tacere. Credere e obbedire. Ogni cristiano ed ogni comunità deve portare il proprio contributo critico alla vita della Chiesa. All’attesa si devono accompagnare la riflessione, la provocazione, la protesta, la proposta, l’impegno, la testimonianza, la condivisione.
Alcuni parrocchiani della Comunità di Santa Cristina di Parma
(12 marzo 2013)
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