Un cristiano americano
di Raniero La Valle, dal quindicinale Rocca di Assisi (rocca@cittadella.org)
Sì, è vero, in America tutto può accadere, compreso il fatto che un nero divenga presidente degli Stati Uniti. Però ci sono voluti 220 anni; all’inizio i neri erano incatenati come schiavi, e i padroni li tenevano in vincoli invocando gli stessi principi per i quali oggi possono diventare presidenti degli Stati Uniti. In quel bellissimo romanzo che è “La capanna dello zio Tom”, a chi contestava il modo in cui un padrone del Sud trascinava in catene i suoi schiavi, quello rispondeva: “Questo è un Paese libero; quest’uomo è mio ed io ci posso fare quello che mi pare”. Commentava Alessandro Portelli, in un recente seminario, che ciò voleva dire intendere la libertà come proprietà. E mentre la Dichiarazione di indipendenza americana proclamava che con tutta evidenza “gli uomini sono creati uguali, e che essi sono dotati dal loro creatore di certi diritti inalienabili, e tra questi sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità”, i due Padri fondatori Washington e Jefferson erano i più grandi proprietari di schiavi d’America. E ancora pochi decenni fa, quando Martin Luther King alla marcia per i diritti civili gridava “I have a dream” (io ho un sogno), come oggi Obama dice “change I need” (abbiamo bisogno di cambiare), il sogno non poteva essere più umile, era semplicemente che i neri potessero salire sugli stessi autobus dei bianchi e che i bambini neri potessero andare a scuola con i bambini bianchi, senza essere né segregati né “spalmati”, come ora si vorrebbe fare con i bambini stranieri in Italia.
Che cosa c’è di mezzo tra quella condizione di schiavitù, di discriminazione, e la condizione di oggi? Non possiamo dire che c’è la Costituzione, perché la Costituzione c’era ieri come c’è oggi. Ma il fatto è che quando la Dichiarazione di indipendenza diceva che “tutti gli uomini sono creati uguali”, ciò veniva interpretato nel senso che non tutti sono creati uomini, ma solo i liberi ed eguali lo erano, restandone esclusi i neri, gli indigeni, gli schiavi; ed è su questa linea che ancora oggi per l’amministrazione Bush esistono due categorie di uomini, gli americani e i non-americani, a cui si applicano due pesi e due misure ed anche due diritti penali diversi, senza di che lo scandalo di Guantanamo e il rifiuto di applicare le convenzioni di Ginevra ai nemici in quanto “combattenti illegittimi”, non sarebbero possibili.
Perciò non bastano le Costituzioni, ma tra le Costituzioni che proclamano i diritti e il momento in cui essi diventano effettivi, c’è di mezzo la lotta per l’attuazione della Costituzione; c’è di mezzo la politica.
Ma la elezione di Obama non è solo un momento dell’attuazione in America di una democrazia costituzionale per tanti aspetti non ancora compiuta; è anche una grande sfida e una grande opportunità per la ripresa di una prospettiva di democrazia costituzionale sul piano mondiale. Questa prospettiva, che era stata aperta dall’istituzione dell’ONU nel 1945, era stata congelata dalla guerra fredda, era sembrata riaprirsi con la rimozione del Muro e la fine del conflitto tra i blocchi nell’89, è stata chiusa dalla Nuova destra religiosa e militarista americana che ha concepito, sul finire del Novecento, il progetto del “nuovo secolo americano”, ha cavalcato la tragedia dell’11 settembre, si è servita come braccio secolare del povero Bush e ha enunciato, con l’editto della “Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti” del 2002, il principio che l’unica sicurezza per l’America era il dominio del mondo, ridotto a un’unica disciplina, a un’unica economia, a un’unica ideologia e a un unico Impero.
Questo disegno è fallito, nella catastrofe dell’Iraq e dell’Afghanistan, nel velleitarismo dello scontro di civiltà e nella crisi economica e finanziaria globale. Le file di votanti mai viste prima in America hanno detto al mondo che questa fase si è chiusa e che ora che l’edificio è crollato, nulla davvero potrà essere più come prima.
Ma la stessa entità del disastro dice qual è l’entità del cambiamento necessario. Non c’è alcuna certezza che Obama ce la farà, anche se ha cominciato bene annunciando la cancellazione di molti “ordini esecutivi” di Bush, a cominciare da Guantanamo; ma certo egli porta al vertice della politica americana una qualità nuova, che è quella di essere un cristiano che non sta dalla parte dei ricchi ma dalla parte dei poveri e della “classe media” impoverita; un cristiano che nel linguaggio europeo si direbbe “un cristiano di sinistra”; un cristiano che non sta con l’arroganza della fede e con le truppe crociate, ma rivendica a sé una “vittoria umile”, e che in questa umiltà potrebbe ritessere equi rapporti con il resto del mondo.
(10 novembre 2008)
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