Un decalogo per una politica al servizio del bene comune

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di don Raffaele Garofalo

I tempi cambiano e anche gli uomini e le istituzioni. A volte senza rimpianti per il passato. I vescovi abruzzesi e molisani hanno emanato un Documento in cui richiamano all’attenzione dei politici i valori fondamentali di cui deve farsi testimone chi è al servizio della comunità civile. “Al servizio del bene comune” infatti si intitola il loro intervento. “Niente favoritismi, trasparenza riguardo ai patrimoni personali, rifiuto della rissa politica, dimissioni in caso di mutamento di schieramento, rispetto delle regole…”. “Non si tratta di prendere posizione a favore o contro l’uno o l’altro schieramento partitico o politico, quanto piuttosto di richiamare quei valori fondamentali e quelle norme di comportamento che ogni elettore si aspetta da colui in cui ha posto la fiducia”. I pastori dell’Abruzzo e del Molise si richiamano alla Dottrina Sociale della Chiesa che ha rappresentato un salto di qualità nel rapporto tra Chiesa e mondo del lavoro. Dalla concezione dell’“assistenza” e della “carità” si passava al riconoscimento dei diritti delle persone. A tale maturazione la Chiesa perveniva stimolata dai movimenti operai sorti a metà Ottocento. Da secoli il messaggio evangelico della giustizia (“la giusta mercede all’operaio”) era stato trascurato e, con la Rerum Novarum, cominciò a farsi strada una nuova coscienza nella Chiesa. Le istanze del mondo del lavoro, dalle piazze e dalle sedi delle loro associazioni, facevano capolino nelle parrocchie, pur nel permanere di riserve e diffidenze nei confronti delle rivendicazioni del mondo laico e socialista. Con i pontificati di Giovanni XXIII e di Paolo VI si giungeva ad un maggiore equilibrio nella visione dei conflitti sociali: veniva abolita ogni preclusione per le altre concezioni politiche e ideologiche nel comune impegno di una efficace attuazione della solidarietà e della giustizia verso le categorie sociali più deboli. Ora i vescovi abruzzesi e molisani offrono garanzia che sono finiti i tempi in cui qualche vescovo, nottetempo, si recava nella sede del partito “unico” di riferimento per caldeggiare la candidatura del proprio pupillo. I più maturi ricorderanno il caustico intervento su “Il Tempo” di un giovane giornalista aquilano ai primordi della carriera. Il brano iniziava con una parafrasi del testo di Giovanni: “E venne un uomo…” Lo scrivente non intendeva certo condannare un cattivo costume, l’“indebita ingerenza” di un vescovo nelle decisioni di una sezione di partito, quanto piuttosto l’intrusione, patrocinata da un prelato, di un candidato non gradito alla corrente politica di appartenenza. Da un Bruno Vespa, seppur in erba, non ci si poteva aspettare di più…ma il suo intervento fu una pietra nello stagno. L’intento dei vescovi abruzzesi-molisani è chiaro e non si presta a strumentalizzazioni; è rispondente al linguaggio evangelico del “sì sì, no no”, esclude l’ambiguità e il tornaconto di certe prese di posizioni cui ci hanno abituati i documenti e i pronunciamenti della Cei di Ruini, durante gli ultimi pontificati. Dall’Abruzzo e dal Molise parte un vero Manifesto del comportamento morale e civile del politico che ha come riferimento il codice evangelico e le norme del vivere democratico. Ne consegue che la Chiesa dovrà guardarsi dal considerare i politici cattolici suoi diretti emissari. Chiamati a difendere i valori cristiani, costoro non imporranno ad altri, per legge, i principi della fede, consapevoli di essere rappresentanti di uno Stato laico che deve garantire le libertà a “tutti”. Cristo considerava un disvalore le prescrizioni imposte dalla legge mosaica: ogni scelta valida deriva dal convincimento personale e dall’amore. Gli episodi scandalosi avvenuti nella nostra Regione, veri o presunti, hanno offerto una provvidenziale occasione di riflessione che dovrebbe coinvolgere tutta la società civile e religiosa. Merita giusto risalto e adeguata esposizione un Documento che sembra voler segnare anche la fine reale di una casta politica collaterale alla Chiesa, nella piena attuazione delle indicazioni del Concilio. Nelle parrocchie e nelle diocesi i chierichetti non saranno più avviati alla politica nell’intento di costituire un partito che si ritenga testimone esclusivo del messaggio cristiano, la militanza politica sarà un impegno a difesa dei diritti di “ogni” uomo. Crescere all’ombra dei campanili potrà restare una garanzia, ma non assoluta. Una corretta destinazione della finanza pubblica dovrà bandire ogni “favoritismo”, come raccomandano i vescovi; non si guarderà in faccia a nessuno, a cominciare dai privilegi di cui gode la Chiesa stessa. La Nota della Conferenza Episcopale Abruzzese-Molisana è una dichiarazione di intenti, un codice di comportamento per i politici, e non solo, da esportare su scala nazionale, nelle due Camere, e all’estero, in Vaticano.

(3 marzo 2009)



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