Un grido di dolore e di rabbia
di Giovanni Franzoni
Non sono d’accordo con la demolizione della manifestazione, a piazza Navona, di martedì 8, considerata da molti, anche a sinistra, come inutile o addirittura dannosa. Certo la manifestazione ha avuto, per se stessa, dei limiti e delle contraddizioni ma non ce le hanno anche le riunioni di etichetta dei G8, i congressi dei partiti, i sinodi di noi cristiani e le “giornate” indette dalle Nazioni Unite?
Tutto ciò che si chiude in un lasso di tempo limitato, ha bisogno di una ermeneutica e deve trovare personale, modi e mezzi per darsi degli obbiettivi e dei programmi attuativi nel tempo politico che si protrae in avanti. Ernesto Balducci, il giorno dopo una marcia Perugia-Assisi – anche quella non priva di contraddizioni – scriveva in prima pagina dell’Unità: “E’ stata una kermesse per la pace, adesso dobbiamo affrontare il feriale della pace”.
Questo oggi è particolarmente difficile perché l’esplosione dei problemi, delle proteste e delle rabbie che ci sono – quali esplicite come in piazza, quali contenute e in giacca e cravatta nei convegni – hanno difficoltà nel trovare delle persone che si assumano la responsabilità di metabolizzare la rabbia e trasformarla in azione.
Così risulta più facile demolire e rimandare a ottobre, che interpretare subito.
Quando, nella mia vita personale, sono approdato alla piazza e alle manifestazioni provenendo da una sponda quanto mai composta e protocollare, ho imparato molte cose e molte altre le ho sofferte. Quando in una manifestazione antifascista i giovani scandivano “ci piace di più – Almirante a testa in giù” mi rifugiavo sotto lo striscione di Magistratura democratica retto da Pier Giovanni Palminota e da un altro magistrato che non conoscevo. Non ero un magistrato ma almeno facevo tre. Probabilmente quei ragazzi non sapevano e non avevano visto con gli occhi gli orrori della guerra e del dopoguerra.
Nelle manifestazioni contro la guerra del Vietnam e nelle innumerevoli manifestazioni per la pace si trattava sempre di non confondersi con qualche gruppo che aveva intenzione di bruciare cassonetti o di bruciare bandiere ma, finché c’è respiro nei polmoni, penso si debba seguitare a manifestare, a gridare e a interpretare.
Tornando a piazza Navona ricordo di aver sentito diverse voci, prima e non solo dopo lo show di Grillo, ringraziare Napolitano per quanto sta cercando di fare sul bilico in cui si trova e tutti sono stati seguiti da applausi scroscianti. I politici hanno parlato da politici, i giornalisti da giornalisti, le persone di spettacolo da persone di spettacolo.
Per quanto insinuato da Sabina Guzzanti sui comportamenti “privati” di Berlusconi sarebbe bene che le intercettazioni fossero conosciute; non sono d’accordo con Marco Bascetta che scrive sul Manifesto dell’11 luglio: “Chi se ne frega della Carfagna”. Se le insinuazioni sono infondate, sono infondate e bisognerà riparare, ma se sono fondate ebbene bisognerà dire che se è osceno dire certe cose è ancora più osceno farle. Se non vogliamo una riedizione italiana del film “Vizi privati, pubbliche virtù” non possiamo accettare che uomini che si sono presentati all’elettorato cattolico come paladini della moralità e fautori del Family Day, si diano al pecoreccio – come si sono espressi i difensori d’ufficio – e ciò passi in franchigia perché penalmente irrilevante. Mentire all’elettorato non è cosa da poco. Così, oltre all’insulto alle donne che suscita immenso disgusto, si trascina nel ridicolo la discussione sulla famiglia e si espone alla critica il papa. In quanto all’inferno, certo Sabina Guzzanti non è Dante Alighieri ma il sommo poeta dove l’ha messo Bonifacio VIII, papa del suo tempo, e con quali espressioni poetiche? I papi hanno le spalle per sopportare e, mi auguro, il senno per ripensare.
Fatte le debite riserve e considerati i generi letterari che le persone hanno usato, la manifestazione resta valida col suo grido – di dolore e di rabbia – “La giustizia è uguale per tutti”.
Giovanni Franzoni
(11 luglio 2008)
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