Un’italiana in Egitto ai tempi del coronavirus

Sara Ahmed

I nostri concittadini in Egitto sono visti come i cinesi in Italia all’inizio della pandemia, indicati come causa della diffusione del virus. Allo tesso tempo il grande paese nordafricano non può fare a meno dei turisti europei. E fra versetti del Corano e ringraziamenti all’esercito, il governo spera di non dover ricorrere a un lockdown totale.


Arrivo in Egitto gli ultimi giorni di febbraio, l’aeroporto internazionale del Cairo è quasi vuoto. Per chi entra nel paese è prevista la misurazione della temperatura e una scheda da compilare con i propri dati. Nome, indirizzo e un numero di telefono sul quale essere reperibili.
Il virus sembra un problema legato solo alla mancanza di turisti, fonte di guadagno e lavoro per gran parte degli egiziani. Uno dei primi paesi a chiudere le frontiere all’Egitto è il Kuwait, paese all’interno del quale sono residenti molti egiziani e dal quale provengono visitatori ogni anno. Il tassista che deve riportarmi a casa, scherzando, mi dice che il Coronavirus non colpirà mai un popolo che fa colazione con cipolle e Falafel. Tra una battuta e l’altra traspare più la sua paura di patire la fame che contrarre la Covid-19.
Nel paese la vita prosegue come se niente fosse, si intravede qualcuno con la mascherina, ma il distanziamento sociale nei negozi e nei mezzi pubblici è nullo. Se per qualcuno la mancanza di turisti è un problema, per altri l’arrivo di turisti, in particolare italiani, potrebbe essere la causa principale della diffusione del virus in Egitto. Parenti e amici mi consigliano vivamente d’evitare di dire che sono italiana per non spaventare nessuno e per evitare inconvenienti. Gli italiani in Egitto sono diventati un po’ come i cinesi in Italia all’inizio della diffusione del virus in Cina.
Le agenzie di viaggio presenti nel centro della capitale sono deserte, i viaggi internazionali sono limitati dalle chiusure delle frontiere internazionali e quelli interni al paese sono ormai da escludersi a priori. Sharm el Sheikh, meta turistica nel Mar Rosso, chiude i suoi Hotel uno dopo l’altro e i suoi dipendenti entrati a contatto con casi sospetti vengono messi in quarantena per 14 giorni. 
Il giorno 25 marzo il governo egiziano stabilisce un coprifuoco in tutto il paese dalle 19:00 fino alle 6:00 del giorno successivo, con la chiusura di tutti i mezzi di trasporto pubblici e negozi, ad eccezione di quelli alimentari. La non osservanza di tali prescrizioni possono prevedere il carcere come sanzione.
Il coprifuoco prevede la chiusura di aeroporti, università, scuole, palestre, saloni di bellezza, caffetterie e ristoranti. Tutti gli altri negozi e attività procedono fino a che il coprifuoco lo permette. Chiese e moschee chiuse con alle porte l’arrivo del lungo mese del Ramadan per i musulmani e della pasqua ortodossa per la minoranza cristiana presente nel paese.
Samia, ha 24 anni, lavora per un’azienda telefonica egiziana. I suoi giorni di lavoro sono stati ridotti da sei a quattro dopo il parziale lockdown, ma gli orari sono gli stessi. Invece di cominciare alle 10:00 deve attaccare alle 8:00 del mattino. Per andare al lavoro deve prendere comunque i mezzi, entra in contatto con tantissime altre persone, soprattutto all’interno dei piccoli bus su cui deve salire. L’esercito all’entrata della metro distribuisce mascherine e guanti, ma Samia lo trova inutile se poi i vagoni sono strapieni. Deve comunque andare al lavoro. In Egitto non è prevista la cassa integrazione e Samia non ha altra scelta.
Il 26 marzo i media egiziani pubblicano la notizia della fuga di 30 egiziani provenienti dall’Italia. Il telecronista racconta che sono scappati dalla quarantena loro imposta una volta arrivati all’aeroporto del Cairo. I dettagli in merito al fatto sono pochi e fugaci.
Il coprifuoco sarà poi prorogato per altre tre volte, con cadenza di due settimane. Ogni volta diminuendo di un’ora la restrizione. Dalle 19.00 alle 6:00, poi dalle 20:00 alle 6.00 e infine dalle 21 alle 6:00, nonostante il numero di contagi continui ad aumentare giorno dopo l’altro.
Durante il giorno la vita prosegue, le strade sono in gran parte affollate, gente che entra e esce dai negozi per fare shopping o per fare provviste per il mese del Ramadan. Per alcuni egiziani la quarantena se la possono permettere solo le classi alte, per altri il coronavirus è solo un complotto, per altri ancora – specialmente per chi vive alla giornata – per quanto il virus possa far paura, il pane a casa si deve portare.
Non vale la stessa cosa per Hanan, madre di Fouad un ragazzo affetto dal morbo di Crohn. È chiusa in casa con il figlio minorenne ancora prima del lockdown deciso dal governo egiziano. Esce solo per comprare beni di prima necessità alle 8 del mattino per evitare la folla che si forma nelle ore seguenti della giornata. Vive in un piccolo paesino rurale, ma il medico che segue il figlio si trova invece nella grande capitale. Per portarlo alle visite programmate e per evitare che il figlio entri a contatto con chiunque, affitta un taxi privato nonostante le entrate modeste della sua famiglia. 
A parlare al popolo egiziano durante l’emergenza Covid-19 sono: Il presidente Al Sisi, la ministra della sanità Hala Zayed e il primo ministro egiziano Mostafa Madbouly. In primo piano il presidente Al Sisi, il quale invita alla cautela, recita versi del Corano con attorno a sé i funzionari dell’esercito, invita la popolazione a rispettare le misure previste per non ritrovarsi obbligato ad attuare regole ancora più ristrettive.
La ministra delle sanità fa altrettanto, in alcune conferenze si presenta da sola, in altre si siede in terza fila dietro ai funzionari dell’esercito egiziano, che viene ringraziato ogni volta dalla stessa ministra per il supporto dato e il lavoro congiunto.
Durante l’emergenza l’Egitto ha spedito aiuti sanitari all’Italia e agli Stati Uniti. La ministra Hala Zayed è anche andata in Cina per esprimere sostegno.
Mohamed, studente di lingue, ha chiesto il visto per andare in Italia tre volte. Ogni volta, nonostante rispettasse i criteri, richiesti gli è stato rifiutato. Dopo la notizia degli aiuti sanitari inviati dall’Egitto, spera in nuovi accordi di cooperazione tra i due paesi e criteri meno rigidi per poter finalmente partire per l’Europa.
I casi confermati nel mondo sono sempre più vicini ai tre milioni, ma il grande paese Nordafricano non sembra particolarmente colpito. Nonostante il coprifuoco solo parziale, la non attuazione della quarantena e i suoi numerosi 110 milioni di abitanti. I casi totali nel paese sono saliti a circa 4500 contro i 650 di fine marzo, 317 decessi e oltre 1000 guariti. 
Il popolo egiziano cerca di convivere con il virus per non sacrificare maggiormente la propria economia. Riapriranno infatti i centri commerciali anche se solo fino alle ore 17:00. Proseguono i lavori per la costruzione di diverse infrastrutture nelle grandi e piccole città egiziane con l’impiego di operai che si proteggono con la mascherina sul viso.
I risultati della scelta di convivere con il virus da parte dell’Egitto saranno visibili definitivamente gli ultimi giorni del mese di Ramadan, il 24 maggio. Data prevista per la proroga o la fine definitiva del coprifuoco da parte del governo.
(28 aprile 2020)



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