Un oceano, altro che un mare. E ora, sardine, coraggio!

Paolo Flores d’Arcais

Entusiasmante, impressionante, appassionante, commovente. Allegra, entusiasta, raggiante, gioiosa. Gigantesca oltre ogni irragionevole aspettativa. Questa è stata la piazza san Giovanni delle sardine a Roma, Anno domini 2019, addì sabato 14 dicembre, festa di san Giovanni della Croce e san Pompeo.
Una data che potrebbe segnare uno spartiacque nella storia politica della repubblica.

I numeri, innanzitutto, incredibilmente sottostimati.
Il Corriere della Sera, in un servizio on line di Luca Zanini del 21 marzo 2010, a seguito delle polemiche fra Berlusconi (che pretendeva di aver portato in piazza un milione di persone) e la questura (che ne accreditava 150 mila, in una pazza san Giovanni piena per quasi due terzi ma senza folla “pressata”) studiò la capienza delle piazze romane sedi di manifestazione. 140 mila metri quadri il Circo Massimo, 42,700 san Giovanni, 17.100 piazza del Popolo, 12,970 piazza Navona, 4.250 piazza Ss.Apostoli.

Per san Giovanni prendiamo la cifra tonda di 40 mila metri quadrati (la piazza è molto asimmetrica e a seconda di come se ne considerino i confini altri calcoli danno cifre un poco inferiori). L’articolo del Corriere già citato ricordava che per metro quadro si valutano normalmente tra 2,5 e 4 persone, con punte di 6 quando la folla è molto pigiata. In una ricognizione con Nanni Moretti, Olivia Sleiter e mia moglie Anna alla vigilia della manifestazione dei girotondi avevamo identificato proprio queste misure.

Ieri sono arrivato a piazza san Giovanni alle 13,45. C’erano solo alcuni capannelli di persone, e un piccolo affollarsi di giornalisti e telecamere attorno al pianale del Tir che avrebbe fatto da palco. Alle tre meno un quarto la piazza si presentava a chiazze di presenze, piena per meno della metà. Tra le tre meno e un quarto e le tre e un quarto si è riempita, compressa, ha debordato, con una rapidità impressionante, davvero a vista d’occhio.

Ero vicino, ma non vicinissimo, al palco durante l’intervento della presidente dell’Anpi e del medico di Lampedusa. In vita mia non ho mai sofferto di claustrofobia e ho partecipato a decine e decine di manifestazioni con folle molto “affollate”. Ieri, tuttavia, a un certo momento la compattezza e la compressione era tale che ho avvertito un crescente disagio fisico. Ho iniziato a spostarmi contando che più lontano dal palco l’affollamento si diradasse un poco, in realtà accadeva solo in una piccola porzione del viale che corre dalla scalinata della basilica verso la statua di san Francesco, dividendo il grande prato.

Poco dopo le 16,30, raggiunta mia nipote e i suoi due bambini (10 anni il ragazzino, 8 la bambina, affettuosamente Peste1 e Peste2) con grandissima lentezza siamo riusciti ad abbandonare la piazza, seguendo un flusso in uscita cui faceva pendant un identico flusso in entrata. Mio fratello, arrivato più tardi e andato via verso le 17,30 mi ha raccontato che la situazione era identica: folla compatta, flusso in uscita e flusso in entrata. Dalle cronache leggo che la manifestazione si è sciolta verso le 19.

A questo punto il calcolo non è difficile. Direi che nel momento di massimo “affollamento” ci fossero (almeno) cinque persone per metro quadro. A piazza piena 200 mila. Ma la piazza debordava per decine di metri su via Carlo Felice in direzione Santa Croce in Gerusalemme. L’ho constatato di persone facendomi issare da due gentili manifestanti su una panchina per una panoramica di foto. Non sono in grado di dire se analogo fenomeno vi fosse anche verso via Merulana. E per almeno due ore vi è stato un continuo ricambio di presenze, un vero e proprio flusso di folla che usciva e altra folla che entrava.

Credo perciò che ipotizzare 350400 mila presenze sia più che ragionevole, perfino prudenziale.

È la prima volta da quando partecipo a manifestazioni (quasi sessant’anni) che i promotori annunciano un numero di partecipanti largamente inferiore alla realtà. Mattia Santori ha gridato “siamo più di centomila”, ma ieri su quella piazza il numero dei cittadini che ha manifestato è stato gargantuescamente più grande. Nei decenni scorsi, dalla Cgil a Veltroni a Berlusconi ai concerti del 1 maggio si sono “sparate” cifre di uno o due milioni, palesemente wishful thinking. Che le sardine siano andate in assoluta controcorrente, sottostimando numericamente in modo incredibile il loro stesso exploit, rende la loro modestia ancora più simpatica e promettente (la cifra di 35 mila fornita dalla questura è invece un insulto all’intelligenza di chi l’ha formulata): non si sono montati la testa, sono più che credibili.

L’enorme partecipazione di ieri ha avuto un’altra caratteristica: c’erano molti giovani, ma c’erano anche, forse perfino di più, molti “non giovani”, potremmo dire molte “sardine d’argento”, oltre i cinquanta, i sessanta, i settanta, anche gli ottanta. Un intero mondo di potenziali militanti dell’introvabile partito “la Costituzione presa sul serio”, che non era scomparso, viveva solo la fase di immersione dei fiumi carsici, ma non vedeva l’ora che un catalizzatore, una scarica di speranza, quattro amici di Bologna con un gesto di serietà e di allegria, lo facesse riemergere da un percorso troppo lungo di rassegnazione, frustrazione, dolorosa apatia. Qualcuno, in quella stessa piazza, aveva ascoltato perfino Di Vittorio, e poi il sessantotto, e poi i Girotondi, e poi …

Ieri dal nonpalco udibile solo in una porzione assai limitata della piazza, i promotori hanno chiamato tutti i partecipanti ad essere “i partigiani del 2020”. Quella piazza, che per nove decimi non poteva udire chi parlava dal pianale del Tir, aveva già risposto in anticipi e ha continuato a farlo per tutte le trequattro tre della manifestazione, intonando senza tregua “Bella ciao” e altri canti della Resistenza.

Nel “decalogo con cui hanno chiamato a manifestare”, le sardine avevano scritto al punto 5 “Protagonista è la piazza, non gli organizzatori. Crediamo nella partecipazione”. Ora sono riuniti in 150, animatori delle manifestazioni di quasi cento città, allo “Spin Time Labs”, una grande palazzina occupata e autogestita, salita alle cronache perché fu l’elemosiniere del Papa a violare i sigilli dell’energia elettrica e riattivarla. Vedremo quali proposte faranno perché ogni cittadino che era in quella piazza possa da domani attivarsi per prendere iniziative che non lascino andare dispersa una sola oncia delle energie di passione civile risvegliate.
La fase dell’organizzazione è sempre la più difficile, fase anche di contrasti, inevitabili, dopo il momento magico del magma fusionale, del big bang. Ma fin qui le sardine hanno praticato uno stile, e sbandierato e radicato valori non equivocabili. Forse questa volta il mondo di una “Resistenza 2020”, il cui programma politico è la realizzazione della Costituzioni, riuscirà davvero a non disperdersi, a diventare, in forme inedite, il protagonista della prossima storia politica italiana. Dipende anche da ciascuno di noi.

***

Le sardine hanno concluso la loro riunione ed emesso un comunicato che Lucia Annunziata mi chiede di commentare, come si dice, “a caldo”. Ci provo.

Le sardine annunciano già tre nuove iniziative, nel Lazio, in Sicilia e in Liguria, con modalità originali. Un treno di sardine dalla Liguria fino alla Francia, “Tutti sullo stesso treno”, il cui carattere di rifiuto delle frontiere come strumento di violento respingimento dei migranti è esplicito (visti i troppi episodi “muscolari” e peggio della polizia francese perfino in territorio italiano). “Sardina amplifica sardina”, come manifestazione itinerante nel Lazio, perché in questa regione la presenza ingombrante della capitale spesso mette la sordina ai bisogni, ai problemi, alle necessità degli altri territori, ed è invece verso le località meno mediaticamente seguite che le sardine vogliono concentrare il loro impegno. Perciò, in Sicilia, “Staffetta delle sardine”, dove la volontà di “raggiungere anche le zone con situazioni critiche e complesse” esprime la consapevolezza del carattere pervasivo della mafia e della corruzione, che si radica nel silenzio di territori raramente sotto i riflettori, quando la mafia può dominare senza spargimento di sangue (proprio quando è più forte, per connivenze e paure). In realtà le iniziative annunciate sono quattro, visto che si parla, ancora senza titolo e modalità, di un impegno immediato che coinvolga la “bassa”, e le zone collinari e montane dell’Emilia Romagna.

Le sardine sanno però perfettamente che non potranno evitare a lungo lo scoglio cruciale: “dare anche un’identità politica a questo fenomeno”, cioè alla “straordinaria energia” scatenata in un solo mese di esistenza. Chiedono pazienza, perché vogliono arrivarci “attraverso un percorso condiviso” che per essere tale non potrà essere brevissimo, dovrà essere di progressiva “maturazione”. È una pazienza che chiedono “al mondo dei media”, ma che credo dovrebbero chiedere innanzitutto alle centinaia di migliaia di cittadini che erano in piazza san Giovanni, visto che nel loro decalogo avevano scritto “Protagonista è la piazza, non gli organizzatori”, e che quella piazza è straripata perché dai sedicenni agli ultraottantenni si è ritrovata nella bandiera della Costituzione presa sul serio, Costituzione da realizzare, perché fin qui dai partiti che si sono succeduti al governo (anche di “sinistra”) realizzata non è stata.

La pazienza va benissimo. In un bellissimo film di Alain Resnais del 1966, “La guerra è finita”, il protagonista, uno straordinario Yves Montand che interpreta il dirigente del partito comunista spagnolo in clandestinità contro il regime fascista di Franco, ad un certo punto dice ad una giovane compagna impaziente: “La pazienza e l’ironia sono le doti del rivoluzionario”. Sul web circola anche in qualche sito che la frase sia una citazione di Lenin: mi sorprenderebbe, l’ironia non era virtù di cui Lenin abbondasse.

Dunque benissimo la pazienza, visto che si devono coinvolgere possibilmente tutti i partecipanti delle piazze nella “maturazione di una identità politica”, ma questa volontà apre due questioni immediate e ineludibili.

Primo: attraverso quali canali, quali forme, quali incontri, quali dibattiti, tra persone reali e non sul web, quelle centinaia di migliaia di sardine di ogni età potranno diventare protagonisti, dire la loro? Altrimenti il principio che “protagonista è la piazza, non gli organizzatori” rischia di virare a retorica.

E, secondo, i tempi della politica non sempre si possono scegliere. Il comunicato delle sardine, benché molto breve, sottolinea più volte l’importanza delle prossime elezioni regionali in Emilia Romagna e in Calabria. Due situazioni in bilico, nelle quali una scelta o un’omissione potrebbero significare la sconfitta o la vittoria di quelle forze dell’odio e dell’esclusione contro cui le sardine sono nate.

Una lista civica promossa dalle sardine potrebbe cioè fare la differenza. E se per una manciata di voti dovessero prevalere proprio quelle forze che mai canteranno “Bella ciao” e che detestano la Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza antifascista (altro che realizzarla), la necessità della pazienza potrebbe davvero lenire anche un poco il rimorso di non aver trovato il coraggio di correre il rischio, certamente grandissimo, di un impegno elettorale?

Perché il rischio è grandissimo, le polemiche sarebbero valanghe, qualche conflitto interno non mancherebbe, e si tratterebbe infine di dar vita a liste civiche in cui le sardine individuino sul territorio le competenze migliori tra quanti condividono i loro principi e valori essenziali, evitando di diventare professionisti della politica. Ma i risultati in queste due regioni saranno decisivi anche e proprio per il futuro del movimento che è appena nato. La regione rossa per antonomasia in mano alla Lega, e la Calabria che non riesce a liberarsi radicalmente dalla politica collusa alla ‘ndrangheta, trasformerebbero il mare in cui le sardine si muovono e si riproducono, che a san Giovanni è stato piuttosto un Oceano, in uno stagno sempre meno ossigenato.
Ci sono momenti in cui la pazienza e l’ironia non bastano, e il kairós impone di agire. Sardine, coraggio!

(15 dicembre 2019)





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