Un Papa “americano” non serve al mondo e alla Chiesa
Il viaggio di Benedetto XVI negli USA ha avuto caratteri di eccezionalità. Per quanto concerne lo scandalo dei preti pedofili, gli interventi del papa mi sono sembrati efficaci; del resto Benedetto XVI non poteva non essere esplicito su una materia di tale gravità. Per noi, dall’Europa, è però difficile capire bene quanto la severità proclamata sia poi veramente praticata e se ci sia, o ci sia stata, una vera e generalizzata “purga” nei confronti dei preti colpevoli e soprattutto dei vescovi che li hanno coperti o tollerati. Aspettiamo di conoscere le opinioni delle organizzazioni di base sorte in seno alla Chiesa in seguito allo scandalo.
Importante è stato il riconoscimento delle “ingiustizie sofferte dalle native popolazioni americane e da quanti dall’Africa furono portati qui come schiavi”. Sono parole molto diverse dal discorso di Aparecida in Brasile dello scorso maggio sui modi della evangelizzazione in America nel ‘500, sul quale Benedetto XVI dovette poi fare marcia indietro. Anche l’attenzione ai gravi problemi dell’immigrazione ispanica in USA è stato affrontato. Ugualmente importante è stato l’auspicio di un necessario consenso multilaterale per interventi sui problemi del mondo che è “in crisi a causa della sua subordinazione alle decisioni di pochi” (con indiretto riferimento al funzionamento del Consiglio di sicurezza condizionato dal diritto di veto delle superpotenze).
Benedetto XVI ha poi insistito ripetutamente, nei tanti discorsi pronunciati, sui temi preferiti del suo insegnamento, la messa in guardia nei confronti del relativismo, il problema della famiglia, il rispetto della vita dal concepimento alla morte naturale. Nonostante la “religiosità diffusa” di cui tanto si parla a proposito degli USA, nella Chiesa cattolica la secolarizzazione e la distanza tra i cattolici e le indicazioni della gerarchia, soprattutto su tematiche relative al sesso e alla famiglia, si presentano in modo analogo a quanto avviene in Europa. Queste questioni sono da tempo sollevate da numerosi e vivaci movimenti di contestazione interni alla Chiesa che si lamentano dello scarso ascolto da parte della gerarchia. Per esempio, Voice of the Faithfull ha pubblicato l’8 aprile una pagina intera, a pagamento, sul New York Times chiedendo chiarezza sulla questione dei preti pedofili e maggiore democrazia nella Chiesa.
Premessi gli aspetti interessanti del viaggio e dopo aver preso atto del suo successo mediatico e di partecipazione popolare, non posso evitare di pronunciarmi sui due momenti più importanti che hanno confermato – a mio giudizio – la linea di Benedetto XVI sulle grandi questioni del mondo all’inizio del terzo millennio. Mi riferisco all’incontro con Bush ed al discorso all’assemblea generale delle nazioni Unite. Il compleanno festeggiato sui prati della Casa Bianca, con canti e fanfare all’americana, l’assenza di qualsiasi serio riferimento realmente critico alla guerra in Iraq o ad altri comportamenti imperiali degli USA hanno esibito una evidente consonanza con un Presidente fondamentalista, promotore di un grande riarmo e demolitore della legalità internazionale. Si tratta – mi chiedo – di una definitiva svolta nella linea del Vaticano? Un Papa che appare amico ed alleato del maggior leader dell’Occidente come può non creare un appiattimento dell’immagine della Chiesa cattolica su una dimensione unilaterale e non universale, diversa da quella che Giovanni Paolo II forse riuscì a comunicare? Un Papa “americano” mi sembra sia un fatto grave per l’evangelizzazione nel mondo, che è il compito principale della Chiesa. Ma perché nessuno parla o scrive di queste cose, sia sulla stampa cattolica che su quella laica?
Il discorso all’ONU è poi consistito in una autorevole lezione sui diritti umani e sulla libertà religiosa, tematica molto importante ma assai scontata, sulla quale il consenso è universale, almeno formalmente (infatti la Dichiarazione universale sui diritti dell’uomo del ’48 è sottoscritta da tutti gli Stati). Il grande problema della fame e del rapporto Nord/Sud del mondo è stato solo sfiorato con parole generiche mentre è stato del tutto ignorato – non una parola! – quello delle guerre e del riarmo/disarmo. Ma di cosa dovrebbe parlare il Papa all’ONU se non di queste cose? Il mio sconcerto ed il mio smarrimento sono aumentati dopo aver riletto i precedenti interventi all’assemblea generale dell’ONU di Paolo VI nel 1965 e di Giovanni Paolo II nel 1995. In entrambi questi interventi le analisi e le denuncie su questi problemi furono esplicite e appassionate.
L’assordante silenzio di Benedetto XVI all’ONU su queste grandi questioni del mondo conferma l’orientamento di questo pontificato che appare filoccidentale e ben poco impegnato ad essere voce dal basso sui grandi problemi dell’umanità, voce dei popoli e degli uomini senza voce.
(21 aprile 2008)
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