Un penny per gli arabi senza dio
Cecilia M. Calamani
Al via una campagna di crowdfunding per finanziare l’edizione italiana del libro "Arabs Without God" del giornalista britannico Brian Whitaker. L’opera è un’indagine sull’ateismo e la libertà di pensiero nei Paesi arabi che incrocia testimonianze raccolte sul campo e l’esperienza diretta dell’autore. Un testo importante e di stretta attualità.
WHITAKER Introduzione a "Arabi senza dio"
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«I musulmani spesso mi chiedono perché ho lasciato l’Islam. Ciò che mi colpisce è che i musulmani non sembra riescano a capire che rinunciare all’Islam è una scelta offerta a tutti e che chiunque ha il diritto di farlo. Credono che chi abbandona l’Islam sia un agente o una spia di uno Stato occidentale». La storia di Waleed al-Husseini, venticinquenne palestinese processato per aver aperto su Facebook la pagina Ana Allah (“Io sono Dio”), apre il libro “Arabs Without God” del giornalista britannico Brian Whitaker. L’opera offre una visione completa e documentata sulla libertà di pensiero nei Paesi arabi attraverso l’incrocio tra testimonianze raccolte sul campo e l’esperienza diretta dell’autore, firma senior del Guardian di cui è stato caporedattore per il Medio Oriente e blogger.
Uscito in ebook a metà del 2014, il testo di Whitaker è oggi in via di traduzione dalla casa editrice Corpo60, che ne ha acquistato i diritti nello scorso novembre prima che gli attentati di Parigi e Copenaghen riportassero drammaticamente alla luce in Europa il tema del fondamentalismo religioso di matrice islamica. Per sostenere i costi di traduzione, pubblicazione e diffusione della versione italiana “Arabi senza dio”, la casa editrice ha lanciato una campagna di finanziamento collettivo (crowdfunding) rivolta a chiunque sia interessato a promuovere il progetto.
L’importanza di questo lavoro, alla luce della cruda attualità, è evidente. Il mondo arabo, almeno qui da noi, è sempre più assimilato al fondamentalismo stragista. Il silenzio dell’Islam moderato contro le ultime barbarie perpetuate in Occidente, in un sillogismo popolar demagogico sempre più in voga su media e social, ha un solo significato: i musulmani sono tutti fondamentalisti, laddove con “musulmani” si etichettano intere popolazioni per un totale di più di un miliardo di persone nel mondo.
Probabilmente abbiamo dimenticato la nostra storia. E non solo la più lontana dei roghi di eretici, streghe e apostati ma anche quella recente che ha acceso la miccia del secondo conflitto mondiale. Perché laddove c’è totalitarismo c’è silenzio. Come scrive lo stesso Whitaker nell’introduzione del libro, «Nei Paesi in cui la religione permea la maggior parte degli aspetti della vita quotidiana, sfidare pubblicamente la fede vuol dire sconvolgere famiglie, società e Stati. Molti sono stati incarcerati soltanto per aver espresso i loro pensieri, altri sono stati costretti all’esilio e altri ancora minacciati con la pena di morte. Ma i più si tengono quello che pensano per se stessi, per paura della reazione di familiari, amici e datori di lavoro».
Le storie narrate in “Arabi senza dio” ci riportano agli interrogativi che hanno sempre accompagnato l’umanità quando è stata vittima della repressione legalizzata del pensiero e della libertà nel nome della fede. C’è Nabila, del Bahrain, figlia inconsapevole di atei clandestini. Educata al Corano dalla nonna, sviluppa la sua incredulità su un dio che pur sapendo e prevedendo tutto punisce chi sbaglia. «Come si può dire che Egli è clemente e misericordioso e tutto, quando in realtà è uno spietato castigatore?». C’è Noha, egiziana con il niqab, che dopo essere stata picchiata dal marito secondo quanto prescritto dal Corano, inizia a chiedersi perché dio dovrebbe dare a un uomo il diritto di picchiare la moglie: «Come può essere se nello stesso tempo l’Islam proibisce di colpire gli animali? Le donne sono inferiori agli animali? Come si può permettere che vengono umiliate così?» E c’è Tareq Rajab Sayed de Montfort, un giovane artista gay nato in Kuwait. Pur definendosi devoto, afferma: «La forma più pura dell’Islam come la penso io è che l’omosessualità non sia un peccato e non sia punibile. […] Se il profeta Maometto è il musulmano ideale che noi tutti dovremmo seguire, non esiste nessun hadith [aneddoto della vita del Profeta, ndt] che riferisca che egli abbia condannato gli omosessuali».
Che sia ateismo, dubbio o ridiscussione di dogmi scolpiti nella legge dello Stato, “Arabi senza dio” ci racconta come il fermento nei Paesi arabi riguardo alla fede sia tutt’altro che silente e lentamente emerga incoraggiato dalla Primavera araba e dalla diffusione dei social network. «Crediamo molto in questo libro perché non è una delle tante analisi a distanza ma è un libro ricco di voci raccolte direttamente tra le persone, resiste alle semplificazioni e offre tutte le tinte delle società arabe e dei modi diversi di intendere la religione. Mostra quello che normalmente non viene fuori, cioè che anche in quei Paesi ci sono dibattiti e conflitti su cosa sia l’identità araba e sul rapporto tra religione e Stato», mi dice Giordano Vintaloro, traduttore e copywriter freelance che sta approntando la versione italiana del libro. E in effetti la speranza è che questo testo possa essere diffuso il più possibile e si ponga come punto di partenza per ridimensionare la pericolosa mentalità del “noi” (buoni) e “loro” (cattivi), preludio di quella stessa “guerra di civiltà” inneggiata, sul versante opposto, dai sanguinari guerriglieri dell’Isis.
Ma c’è un altro spunto di riflessione offerto dal libro e riguarda il dibattito sulla laicità dello Stato ancora aperto, seppur in altre forme, nel nostro Paese. All’indomani della strage di Charlie Hebdo, tanti tra i nostri politici cattolici si sono fregiati il petto di difesa della libertà contro la barbarie islamica. Tuttavia, dopo aver realizzato che difendere chi insulta Maometto significa ammettere ogni forma di blasfemia, hanno ridimensionato la portata della loro presunta battaglia. Va bene la libertà espressione, hanno tuonato, ma non si può insultare la religione altrimenti “te la vai a cercare”, concetto prontamente ribadito dallo stesso papa che si è limitato a sostituire il kalashnikov con un pugno. Ebbene, questi sono gli stessi parlamentari che ancora oggi definiscono “temi etici” i diritti civili quali l’autodeterminazione affettiva, riproduttiva e di fine vita e tentano di negare la libertà dell’individuo applicando l’equazione peccato uguale reato. Mutatis mutandis, la medesima degli Stati teocratici mediorientali.
Pur essendo un bel passo avanti rispetto a chi punisce con il carcere o la morte la libertà di
pensiero, ancora non meritiamo quella patente di civiltà che sventoliamo con protervia di fronte al mondo musulmano, assumendo con grossolanità di giudizio che i regimi islamici siano un tutt’uno con le loro prime vittime, i cittadini.
Brian Whitaker
Arabi senza dio – Ateismo e libertà di culto in Medio Oriente
Traduzione di Giordano Vintaloro
Edizioni Corpo60
Info
* cronachelaiche.it
(23 febbraio 2015)
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