Un sorriso sarcastico. Caricatura e satira al Museo di Roma

Mariasole Garacci

C’è ancora tempo fino al 2 ottobre per visitare una divertente e nutrita mostra al Museo di Roma sulla caricatura tra XVII e XIX secolo, che propone una distinzione tra il ritratto caricato di matrice carraccesca e berininiana, ironico ma indulgente, e le vignette politiche dei primi giornali satirici.

Una indimenticata mostra del 1998 sull’Accademia dei Facchini della Val di Blenio, singolare consesso riunito alla fine del XVI secolo intorno al trattatista e pittore lombardo Giovanni Paolo Lomazzo, raccontava molto bene come il gioco di disegnare teste grottesche e ridicole, apparentemente disimpegnato, nascesse da un interesse filosofico nei confronti dei temperamenti umani, direttamente influenzato dagli studi fisiognomici di Leonardo da Vinci e dalla sua riflessione sulle passioni dell’anima. Non c’è da stupirsi, dunque, se il genere della caricatura sia stato praticato da artisti di tutto rispetto, da Bernini in poi, ma occorre distinguere nettamente tra gli studi di matrice leonardesca, interpretazioni manieristiche e ghiribizzose delle forme di natura e prive di un soggetto specifico, e la “caricatura” vera e propria, cioè il “ritratto caricato” di un individuo realmente esistente, che tradizionalmente si fa iniziare alla fine del XVII secolo nell’ambito della scuola dei Carracci.

In questo genere si introduce infatti l’elemento fondamentale della verisimiglianza, il principio per il quale il soggetto della caricatura è sempre riconoscibile nell’insieme della sua fisionomia, sebbene esagerato -“caricato” appunto- nelle singole parti o tratti in cui si identifica, con una sineddoche, il carattere psicologico saliente della persona. E’ il letterato e scrittore d’arte fiorentino Filippo Baldinucci a dare questa definizione del termine “caricare” nel Vocabolario toscano dell’Arte e del Disegno del 1691: “E caricare dicesi anche da’ Pittori o Scultori, un modo tenuto da essi in far ritratti, quanto si può somiglianti al tutto della persona ritratta; ma per giuoco, e talora per ischerno, aggravando o crescendo i difetti delle parti imitate sproporzionatamente, talmente che nel tutto appariscano essere essi, e nelle parti sieno variati”. Per gioco, talora per scherno, aggravando sproporzionatamente: ecco individuato il tono necessariamente irriverente di una forma artistica che è un linguaggio autonomo a tutti gli effetti.

Accanto alla verosimiglianza e al procedimento sineddotico, è tipica della caricatura carraccesca l’economia selettiva dei tratti di uno schizzo e l’espediente della abbreviazione o condensazione, ossia la riduzione, come rilevò Gombrich, ai tratti significativi della fisionomia attraverso una necessaria sospensione delle norme artistiche e anatomiche del linguaggio “serio”. Quando lo scherno si indirizza alla figura pubblica, ossia a un soggetto la cui individualità è già nella stessa trasmissione ufficiale della sua immagine comunque ridotta ad un “simulacro” convenzionale per quanto ricco di dettagli, che si sostituisce alla complessità della persona reale (si pensi alla familiarità del pubblico di oggi con la fisionomia dei politici attraverso le immagini diffuse dai mezzi di informazione), i processi di verosimiglianza, abbreviazione e caricatura si riferiscono, va da sé, non solo e non tanto all’individuo, ma alla sintesi tra persona, ruolo sociale e politico, facies -volente o nolente caratterizzante- da questo personaggio innescata nella ricezione da parte del pubblico. E’ in questa luce, dunque, che non poteva dirsi offensiva o sessista la famosa caricatura di Maria Elena Boschi disegnata quest’estate da Riccardo Mannelli.

Si tratta di una lente deformante che Gian Lorenzo Bernini e la sua cerchia adoperarono impietosamente su notabili e cardinali del XVII secolo. Lo dimostra un gruppo di fogli originali prestati alla mostra di Palazzo Braschi dall’Istituto Nazionale per la Grafica e dalla Biblioteca Apostolica Vaticana, tra cui la caricatura del cardinal Giacomo Filippo Nini (1628-1680), noto collezionista di origine senese legato ad Alessandro VII e personalità di spicco nell’ambiente artistico romano di quel periodo, di cui sono messi esageratamente in risalto la risata che evidenzia tutti i denti. A questo genere di caricatura si attennero anche artisti ufficiali come Giovan Battista Gaulli, Ciro Ferri, Pietro de’ Rossi, Pierfrancesco Mola e Carlo Maratti.

Come sottolinea Angela Maria d’Amelio, curatrice della mostra insieme a Simonetta Prosperi Valenti Rodinò e Simonetta Tozzi, nel secolo successivo la caricatura acuta e brillante di Pier Leone Ghezzi, Carlo Marchionni e Giuseppe Barberi, massimi esponenti della caricatura a Roma nel XVIII secolo, resta sempre su un tono bonario, indulgente e politicamente innocuo ancora lontano dalla vis polemica della satira contemporanea europea, limitando il proprio umorismo a notazioni sulla mondanità e l’abbigliamento dell’alta società. Tuttavia vengono introdotte accanto agli schizzi delle note scritte che, contestualizzando dettagliatamente la caricatura, aprono già alla vignetta satirica vera e propria. Ad esempio, nella didascalia originale di una caricatura del cardinale Ignazio Boncompagni Ludovisi, Segretario di Stato, Barberi si riferisce impietosamente ai modi disinvolti di questi. In un altro disegno, Ghezzi ritrae il celebre umanista cardinale Domenico Silvio Passionei (1682-1761), vicino alle idee gianseniste e in rottura con gli ambienti gesuiti, in atto di alzarsi la tonaca e darsela a gambe per evitare incontri sgraditi.

Alla fine del XVIII secolo la caricatura romana viene gradualmente soppiantata dalla vignetta satirica: sull’esempio dei giornali satirici francesi come Le Chiarivari, in concomitanza con i moti del 1848 vengono fondati diversi giornali e periodici di questo tipo, tra cui il Don Pirlone, socialista e anticlericale. Il quotidiano, che dal primo numero, pubblicato il 1 settembre 1848, esordì raffigurando un pipistrello in abito talare con la testa dell’aquila asburgica che regge tra gli artigli la costituzione di quell’anno, fu sottoposto ben presto a censura preventiva per chiudere definitivamente con l’entrata dei francesi a Roma. Emblematicamente, il sottotitolo della pubblicazione era “giornale di caricature politiche”, quasi a sottolineare la totale autonomia di questo linguaggio, di per sé sufficiente a trasmettere un messaggio polemico e non soltanto mero corredo della parola scritta.

L’arte del sorriso. La caricatura a Roma dal Seicento al 1849.

Museo di Roma di Palazzo Braschi
Fino al 2 ottobre 2016
Orario: da martedì a domenica 10.00-19.00
Biglietti: € 11 intero, € 9 ridotto (per gratuità e riduzioni consultare il sito)

www.museodiroma.it

(26 settembre 2016)



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