Una chiesa affarista, concubina e opportunista

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Ci sono stati momenti, nella storia, nei quali la chiesa, nella assenza soporifera della società, ha svolto funzioni di supplenza nel campo della cultura e della salute e dell’arte e della comunicazione sì da tener desta l’attenzione verso le fasce deboli.
Di converso, la storia ha visto altri momenti in cui la società stessa ha aperto varchi inediti e altrimenti impensabili verso conquiste sociali ed umanistiche di fronte ad una chiesa dormiente e riluttante se non recalcitrante.
Per una sorta di legge di compensazione, è sempre accaduto che quando la società dormiva era la chiesa a stare sveglia o, quando questa dormiva la società stessa lottava vigilante.
Nel secolo scorso, poi, nel pieno degli anni sessanta, abbiamo avuto la fortuna di vivere il felice connubio tra una società aperta ed una chiesa profetica che si fecondavano a vicenda, in un rapporto di reciproco stimolo. Erano gli anni del dialogo tra Marxismo e Cristianesimo, tra John Fitzgerald Kennedy, Nikita Sergeevic Kruscev e papa Giovanni XXIII.
Il mondo intero gemeva le doglie del parto, tentandosi di liberare definitivamente dalla notte del nazifascismo, dalla violenza dello stalinismo e dalla dittatura del clericalismo. In quella fucina di sogni e di ideali ho maturato la mia vocazione di prete, socialista ed antifascista.
Oggi, 16 giugno 2008, quel mondo aurorale sembra distante anni luce.
Oggi viviamo una eccezione unica nella storia con una chiesa affarista, concubina con uno stato opportunista e con una chiesa opportunista che fornica impudentemente con uno stato affarista. Il tutto nella più completa indifferenza della società sia ecclesiale che politica e sotto i sorrisi beffardi e gli abbracci osceni delle autorità sia politiche che ecclesiali.
I fattori principali di questo sprofondamento in basso sono il Berlusconismo e il Ruinismo.

Berlusconismo
Qui inteso non come semplice forma politica, ma come antropologia. Come "linguaggio", direbbe Revelli. "Come modo di dare volto e voce ai peggiori vizi privati degli italiani (la volgarità, l’egoismo, il farsi i fatti propri senza guardare in faccia nessuno, il frodare il fisco e corrompere i giudici), sdoganandoli". (Marco Revelli su Carta 17.3.07 in una lettera a Fausto Bertinotti).
Gli effetti sono sotto la vista di tutti: "La decadenza di un intero popolo e della sua creatività, l’omologazione in basso dei costumi e delle credenze, gli ostacoli messi sistematicamente tre la gambe di chi ha meno di 30 anni, lo scempio della moralità e delle regole, lo svilimento della costituzione, l’assassinio del bello, il servilismo appagato e appagante, lo "squadrismo culturale", l’imbecillità del nuovo ceto politico…", come denunciava già Filippo Ceccarelli su La Repubblica del 22 marzo di due anni or sono.

Ruinismo
Per spiegare il Ruinismo è necessario far riferimento alle gestione più che ventannale di papa Wojtila che il Ruini lo ha coltivato, innaffiato e benedetto.
Il gesuita francese Albert Longchamp ha paragonato la Chiesa di Wojtyla a quella di Innocenzo III, sette secoli prima: la Chiesa crollante del famoso sogno di Francesco di Assisi: "laici imbavagliati, teologi senza tutela, Vescovi in libertà vigilata, iniziative locali bloccate, centralismo forsennato. L’atmosfera è pesante, carica di tensioni, colma di risentimento. Il grande slancio spirituale si è spento, frenato dagli interdetti, paralizzato dai giuramenti, polarizzato dal Catechismo".
E la domanda che Bonhoeffer si poneva negli anni bui della guerra, oggi, dopo la breve primavera conciliare, si ripropone in maniera drammatica: "E’ mai possibile che il Cristianesimo, iniziato in modo così rivoluzionario, ora sia per sempre conservatore? Che ogni nuovo movimento debba aprirsi la strada senza la Chiesa, che la Chiesa intuisca sempre con un minimo di venti anni di ritardo ciò che è effettivamente accaduto?" (Predica su Col.3,1-4)

Datemi una mano onde poter recitare un requiem!

(17 giugno 2008)



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