Una Chiesa in fermento
di Raffaele Garofalo, prete
Nel mese scorso si sono succeduti, in Abruzzo, avvenimenti che hanno smosso le acque già scosse dal terremoto. Innanzitutto una discussione piuttosto vivace veniva intrapresa dai vescovi della regione durante la riunione della CEI. Il Giornale (11/11) riferiva che mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti, aveva criticato la prolusione del card. Bagnasco, lamentando “la scarsa collegialità nell’individuazione dei contenuti e delle priorità”. Secondo l’Unità (11/11) i pastori abruzzesi avrebbero inoltre stigmatizzato le irresponsabili rassicurazioni mediatiche del governo sulla ricostruzione data come problema risolto: “Si dica la verità, non si prometta l’impossibile creando aspettative e illudendo la gente”, avrebbero protestato. I vescovi sono consapevoli che, dopo sette mesi, chiese, palazzi, affreschi e mosaici pregevoli, organi musicali antichi di inestimabile valore sono ancora esposti alle intemperie o maneggiati senza dovuta perizia (e senza loro colpa) da volontari inesperti. La gestione “militare” e, a riguardo, dilettantistica di Bertolaso, diffidava di esperti e specialisti offertisi volontariamente, per ossequiare millantata autosufficienza e delirio di onnipotenza.
In seguito l’improvvisa e inaspettata nomina di don Giovanni D’Ercole a vescovo ausiliare di mons.Molinari doveva suscitare reazioni e commenti disparati. Su l’Unità (20/11) don Filippo Di Giacomo giungeva a definire il nuovo ausiliario un “prodotto del sottobosco curiale e televisivo spedito in Abruzzo più come una minaccia che come un incoraggiamento”. Il sacerdote giornalista si spingeva oltre nel sostenere che la nomina di D’Ercole proverrebbe, in perfetto stile “franchista”, da Palazzo Chigi piuttosto che dai dicasteri vaticani e all’insaputa della Conferenza Episcopale Abruzzese. Un cocktail di accuse al vetriolo che può trovare spiegazione in accese rivalità all’interno di carriere ecclesiastiche e/o giornalistiche, più che in un fraterno contributo di critica. La tesi invece sostenuta da Il Messaggero locale (23/11) è che il nuovo vescovo ausiliare darebbe “fiato a chi non ama molto Molinari” e, secondo radio-clero, risulterebbe “una specie di siluramento dell’arcivescovo e di commissariamento” della diocesi. Il monsignore, da parte sua, si affrettava a dichiarare che il coadiutore sarebbe stato da lui esplicitamente richiesto.
Una macedonia di gossip e speculazioni giornalistico-clericali.
Comunque la si veda, la verità è che il Popolo di Dio, di cui fa parte “anche” la Conferenza Episcopale Abruzzese-Molisana, continua ad essere escluso dalle decisioni ecclesiali che lo riguardano direttamente, in barba a quella sovranità che il Concilio attribuisce alla comunità dei credenti. Negli Atti degli Apostoli si legge che, dovendo sostituire Giuda, l’assemblea si riunì in preghiera e, dopo aver invocato lo Spirito, “gettando le sorti”, elesse uno tra i due aspiranti proposti dalla comunità stessa.
Le dimissioni di mons. Valentinetti dalla presidenza del movimento Pax Christi offrivano infine il fianco ad un ulteriore chiacchiericcio giornalistico. Un avvicendamento anticipato, per sopravvenuti “maggiorati” impegni pastorali, veniva interpretato dalla stampa locale (Il Messaggero 23/11) come un ben servito al vescovo politicamente “scomodo”. Dal suo insediamento il prelato aveva preso subito le distanze dal malcostume consolidato di una politica che, per raccogliere consensi, usa appoggiarsi alla gerarchia ecclesiastica. Tutti ricordano il gesto, forse unico nel Paese, del vescovo abruzzese quando, in tempo di elezioni, Sandro Bondi inviava al clero un opuscolo che celebrava i “meriti” del governo Berlusconi nei confronti della Chiesa. Nel respingere al mittente il libretto “galeotto” mons. Valentinetti scriveva: “Vorremmo mantenerci attenti e appassionati alla vita reale e quotidiana, un quotidiano che ci lega ai poveri, alla vita delle nostre famiglie, alla vita dei giovani, alla storia degli stranieri…, all’impegno della società civile…, alla dignità di ogni cittadino”.
Si può essere più che certi che se fosse stato Walter Veltroni a far recapitare al vescovo, per conto di Prodi, l’opuscolo propagandistico, Valentinetti si sarebbe comportato in ugual maniera. Non condividerà una tale supposizione il senatore Pastore il quale, con la abituale acutezza e l’obiettività che lo contraddistinguono quando esprime giudizi sugli avversari, definiva anche il vescovo di Pescara un “black bloc”. La Costituzione Conciliare “Gaudium et Spes”, che il cattolico senatore abruzzese avrà letto, vede i cristiani legittimamente impegnati in politica nei vari schieramenti dell’arco costituzionale e li invita al rispetto reciproco delle personali scelte per cui: “…a nessuno è lecito rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l’autorità della Chiesa” (Cap IV, n 43). Parole chiare che permettono ad un religioso di avere in tasca una tessera di partito, senza per questo tesserare la Chiesa. Con la promulgazione di quel documento la Chiesa è chiamata a farsi “coscienza critica” di qualsiasi sistema politico consapevole tuttavia che, stando a quanto celebra Maria nel suo Magnificat, il “programma politico” di Dio prevede di “disperdere i superbi con i disegni da loro concepiti, rovesciare i potenti dai loro troni e innalzare gli umili…, riempire di beni gli affamati e rimandare i ricchi a mani vuote. (Lc.1, 51-53) Parola di Dio!
(3 dicembre 2009)
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