Una nuova legge per il il cinema. Lettera aperta a Francesco Rutelli di Paolo Benvenuti
Al Ministro per i Beni e le Attività Culturali
On. Francesco Rutelli
Onorevole Signor Ministro,
mi rivolgo a Lei per sottoporle lo stato di profondo disagio in cui si trovano oggi coloro che, come me, operano nel campo della ricerca cinematografica.
Lei saprà certamente che la normativa introdotta dal precedente governo nella applicazione della Legge sul Cinema, per finanziare i film “di interesse culturale nazionale”, ha stravolto completamente lo spirito che l’animava. Lo spirito che consentiva la realizzazione di film i cui obiettivi non fossero soltanto di mero intrattenimento. Oggi si prevede il finanziamento solo a film di produttori e registi che possono vantare punteggi calcolati attraverso i loro risultati commerciali. In parole povere, l’unico “interesse culturale nazionale” previsto dalla nuova normativa è quello del botteghino. Questa normativa, perfettamente coerente con lo spirito “aziendale” del governo precedente, è ancora in vigore presso il Suo dicastero.
Opero nel campo della ricerca storico-cinematografica da quasi quarant’anni, sono stato assistente volontario di Roberto Rossellini, aiuto regista di Jean Marie Straub e Danièle Huillet; i miei film sono stati selezionati e premiati ai festival di Berlino, Locarno, Venezia, Montreal, San Paolo, New York; sul mio lavoro sono state prodotte tesi di laurea nelle Università di Torino, Bologna, Firenze, Roma, Catania, Pisa; di me hanno scritto riviste di cinema come Bianco e Nero, Cinema Nuovo, Filmcritica, Cinema 60, Cineforum, Duel; si sono occupati del mio lavoro storici e saggisti come Nicola Tranfaglia, Franco Cardini, Goffredo Fofi, Adriano Aprà, Virgilio Fantuzzi. I miei film: Medea (1972), Frammento di conaca volgare (1975), Il Cantamaggio (1978), Il bacio di Giuda (1988), Confortorio (1990), Tiburzi (1996), Gostanza da Libbiano (2000), Segreti di Stato (2003), proiettati in numerosi istituti superiori e in molte università italiane ed europee, sono stati realizzati in totale autonomia espressiva grazie alla vecchia Legge sul Cinema. Questi film, pur citati nei manuali e nelle enciclopedie di cinema italiano contemporaneo, non hanno mai avuto quel successo commerciale che la Legge attuale prevede. Solo l’ultimo, Segreti di Stato, alla sua uscita nel 2003, è stato per due settimane tra i dieci film più visti in Italia. Poi è scomparso.
Oggi vorrei fare un nuovo film. Un progetto di lungometraggio su Giacomo Puccini, in vista delle celebrazioni internazionali per il 150° anniversario della sua nascita (Lucca 1858). Un film costruito su rigorose basi storico-filologiche ed ambientato nella sua Torre del Lago. Pensando che il progetto potesse avere i requisiti di opera “di interesse culturale nazionale”, ho presentato regolare domanda al Ministero per i Beni Culturali. Dopo un imbarazzante colloquio con i membri della commissione ministeriale attualmente in carica, ho compreso che il film sarebbe stato eliminato “per mancanza di requisiti idonei”.
Nel mio film su Puccini non vi sono dialoghi. E’ una scelta di “cinema puro” che esprime concetti ed emozioni attraverso il solo fluire delle immagini. – «Ma come si può far circolare nelle sale cinematografiche un film senza parole?» – ha dichiarato commentando il mio progetto il Direttore Generale per la Cinematografia del Ministero dei Beni Culturali (dimenticando, per esempio, il successo internazionale de Il grande silenzio di Philip Groning, un film di tre ore in cui non viene pronunciata alcuna parola). E del resto, alcuni anni or sono un importante dirigente Rai, dopo la visione del mio Gostanza da Libbiano, (premio speciale della giuria al festival di Locarno, premio nazionale del pubblico d’essai) ebbe a dire scandalizzato: – «Ma come si può mostrare in televisione un film in bianco e nero?» – negando al film ogni possibile programmazione televisiva.
Ma torniamo al mio film su Puccini. Il vero problema di questo progetto è che pretende di essere sperimentale. E in Italia non si possono più investire soldi pubblici sulla ricerca e sulla sperimentazione. Il prodotto cinematografico deve offrire subito garanzie di ritorno economico.
Inoltre, come Lei ben sa, Signor Ministro, in questo nostro Paese, oberato da tanti problemi, si assiste da anni anche all’inarrestabile decadenza del suo Cinema. In pochi decenni, il cinema italiano è passato da modello della cinematografia mondiale a mediocre caricatura di se stesso. E, a mio avviso, la causa di questa crisi sta proprio nell’assenza di sperimentazione.
Qualcuno ha stabilito che la libertà di sperimentare di uomini come De Sica, Rossellini, Fellini, Visconti, Antonioni, Pasolini (negli Steven Spielberg Studios di Hollywood campeggiano le gigantografie di Umberto D e Ladri di Biciclette), deve essere preclusa alle nuove generazioni. E questo perchè i modelli del racconto cinematografico istituzionalmente riconosciuti devono essere quelli espressi dalla volgare banalità dello standard realistico-televisivo-pubblicitario.
Nessuno (tantomeno i critici paludati), riflette sul fatto che l’unico modo per rivelare il talento di un autore è quello di offrigli la possibilità di mettere alla prova le proprie metodologie di comunicazione, cioè di sperimentare il proprio linguaggio. I santoni del campo/controcampo e della mediocrità espressiva hanno costruito poco a poco un meccanismo di controllo sul cinema italiano sempre più efficace, a partire dalla formazione stessa dei nuovi registi. Un esempio fra tutti: oggi, al Centro Sperimentale di Cinematografia, si insegna agli aspiranti registi a esprimersi soltanto attraverso il luogo comune dei “generi” cinematografici. Qualunque tentativo di sperimentazione è bandito d’autorità. Per cogliere tutta la miseria di questa fallimentare esperienza pedagogico-istituzionale, basta recarsi agli Incontri Internazionali delle Scuole di Cinema che si tengono a Bologna: il confronto tra i lavori degli allievi italiani con quelli delle scuole delle altre nazioni è assolutamente imbarazzante.
Signor Ministro, io credo che Lei voglia lasciare un segno tangibile della sua presenza al Ministero dei Beni Culturali. Se questo è veramente nelle Sue intenzioni dovrà cancellare, a mio modesto avviso, prima possibile, le aberrazioni introdotte nella Legge sul Cinema, per consentire anche in Italia la ricerca e la sperimentazione cinematografica come avviene in tutta Europa.
Nell’augurarLe buon lavoro, La saluto cordialmente
Paolo Benvenuti
Pisa, agosto 2006
Interventi
Cristina Comencini
Caro Benvenuti, sono Crstina Comencini. Conosco e apprezzo il suo lavoro, che trovo interessante.
Sostengo la creazione di un sistema cinematografico che, accanto alla produzione piu’ orientata al pubblico, dia spazio alla ricerca e alla sperimentazione, indispensabile per la crescita di una cinematografia vitale.
Mi permetto pero’ di dirle due cose.
Il suo cinema non e’ dello stesso tipo di quelli di Fellini, Antonioni etc.
Fellini metteva nei suoi cast Sordi, Mastroianni, la Ekberg e tutto lo star system possibile: il che lei non fa (come peraltro e’ sua legittima scelta). Antonioni giro’ Blow up non a Roma, come inizialmente progettava, ma a Londra in inglese e con attori internazionali. Erano artisti che cercavano un pubblico e che veicolavano la loro arte nei sentieri del sistema commerciale.
Un atteggiamento diverso dal suo.
Inoltre non capisco perche’ per sostenere le sue giuste ragioni, che io difendo, deve insultare i suoi colleghi che fanno film di tipo diverso. Oggi in Italia c’e’ un cinema c
he funziona, e che e’ apprezzato anche all’estero (come ho avuto modo di constatare): questa e’ una buona ragione e una opportunita’ da usare per dare spazio alla sperimentazione.
Desiderare di distruggere gli altri non ha mai aiutato nessuno ad affermarsi, nel cinema come nella vita.
Le confermo dunque tutto il mio sostegno che, per quel che posso, manifestero’, ma spero che lei impegni le sue energie a fare altri bei film e non a parlar male di quelli degli altri.
Con molta cordialita’, Cristina Comencini.
Scritto da: Cristina Comencini | 30/08/06 a 17:24
Silvano Agosti
A proposito dell’intervento di Paolo Benvenuti.
E’ stato sollecitato il mio parere sulla lettera inviata da Paolo Benvenuti all’attuale Ministro dei Beni Culturali. Credo, caro Paolo, che tu abbia tristemente ragione a risentirti per il trattamento che hai subito presentando al Ministero un tuo progetto. Io, che ritengo il tuo film “Gostanza da Libbiano” un capolavoro, non solo non mi stupisco, ma trovo proprio nel valore del tuo cinema la giustificazione a ciò che ti è accaduto. Come puoi pensare che un burocrate, che occupa quel posto quasi sempre per aver dato prove inconfutabili di insensibilità, di ottusità e di “fragilità etica”, possa entrare nel merito di un tuo progetto? Comunque il problema del cinema d’Autore non si risolve né con una lettera né con poche riflessioni vaganti come queste mie, ma forse si potrebbe affrontare con una serie di incontri di Autori vecchi e nuovi, magari nel territorio neutro del Cinema Azzurro Scipioni di Roma, per organizzare una sorta di “costituente” del cinema d’Autore. Fino ad avere una bozza convincente delle nostre necessità. Se non altro, almeno, ci conosceremmo meglio. Io credo che la Storia insegni che grandi film, almeno in Italia, sono quasi sempre nati nella clandestinità, da Roma città aperta, a Ladri di biciclette, da Accattone a I pugni in tasca etc.Tutti i film di Bergman che gli hanno procurato fama mondiale, hanno avuto budgets molto bassi. Credo anche che mentre durante il ventennio fascista si doveva sottoporre la sceneggiatura al vaglio di una ferrea censura, oggi in questa zoppicante democrazia, si deve sottoporre la sceneggiatura al vaglio di una commissione che ha il potere di decidere che questo film va fatto e quello no. Come vedi il risultato è lo stesso, in virtù della proprietà invariantiva di ogni potere, applicato a una realtà assolutamente libera qual è e deve essere l’arte, anche e soprattutto l’arte cinematografica. La storia della pittura insegna. Per secoli il solo committente è stato la Chiesa e quindi la pittura, da Giotto a Michelangelo, da Leonardo a Caravaggio ha avuto, se ha voluto esistere, come soggetti solo santi e scene a sfondo religioso. Spesso infatti i meccanismi di “aiuto” economico sono solo una camuffata macchina censoria e repressiva. Pensa che, con attenzione lessicale rara, si è riusciti a togliere la parola Arte alla descrizione dei film d’Autore ai tempi della “nouvelle vogue”: cinema D’Art et d’Essai, che andrebbe tradotto Cinema d’Arte e di Ricerca. Invece sui giornali, da Repubblica al Corriere della sera, si enunciano le poche sale che proiettano film d’Autore con la sola parola “d’Essai”. Quindi chi apra il giornale per andarsi a vedere un buon film, di fronte al termine criptico d’Essai, con lo sguardo fugge altrove, senza neppure leggere i titoli, pensando che si tratti di qualche astrusa diavoleria. Se quindi il mio parere può davvero interessare (visto che tra l’altro da 23 anni gestisco una sala d’Essai disadorna di qualsiasi contributo e che è la sola sala italiana ad ospitare quotidianamente i capolavori del cinema non solo nazionale ma di ogni Paese del mondo) e se forse addirittura posso contribuire alla nascita di una nuova Legge (che comunque non sarà mai né perfetta, né rispettata come la legge Corona che citerò nell’appendice), ebbene questo è il mio contributo: Il cinema d’Autore non è invalido, quindi, per nascere ed esistere, non ha bisogno di essere “aiutato”. Ha invece bisogno di un territorio distributivo il più ampio possibile. Quindi, se qualcuno lo vuole davvero “aiutare” proponga che gli Autori realizzino i loro film con la passione con cui lavoravano Rossellini, De Sica, il primo Bertolucci e il primo Pasolini, una volta accertato che si tratta di opere valide (e qualsiasi tua opera, caro Paolo, certamente lo è) i soldi che prima venivano stanziati per la produzione del film vengano impiegati per affittare cinquecento sale (la spesa iniziale per l’affitto delle 500 sale si aggirerebbe intorno ai 250.000 €). Io sono assolutamente certo che come minimo rientrerebbero tutti gli investimenti e le sale, che stanno per entrare in una crisi mai vissuta prima, troverebbero un po’ di sollievo.
APPENDICE
Le lettere aperte a Ministri o uomini di potere, sono simili ai messaggi lanciati nel mare, in una bottiglia. E’ raro che arrivino a destinazione. Ma quello di Paolo Benvenuti arriverà certamente al Ministro perché a modo suo legittima la politica di uno Stato che non ha mai amato il cinema d’Autore, anzi lo ha represso nei modi e nelle forme più pervicaci e subdole, bloccandolo soprattutto a livello distributivo. Mi sarebbe piaciuto iniziare il discorso in modo fiabesco e gentile: “C’era una volta la Legge Corona…Dovete sapere che questa legge, promulgata nel 1960 prevedeva tra l’altro che: Ogni sala cinematografica operante sul territorio italiano doveva (appunto per legge) riservare ai film di “programmazione obbligatoria” (ovvero i film d’Autore) ben 100 giorni l’anno e, non facendolo, la sala cinematografica incorreva prima in una multa imponente e poi, persistendo nel non rispetto della legge, subiva addirittura la chiusura. Visto che i film di un Autore italiano non riuscivano mai ad entrare in una sala, il suddetto Autore, dopo innumerevoli tentativi, si è rivolto ai carabinieri, i quali hanno studiato la faccenda e dopo circa tre mesi, gli hanno solennemente comunicato che il problema riguardava l’allora Ministero dello Spettacolo. L’autore in questione dopo essersi inutilmente rivolto al Ministero ha deciso di scrivere un ampio articolo pubblicato da Paese Sera (un giornale allora coraggioso) e in seguito all’articolo la legge è stata modificata in termini ineludibili. Ma erano trascorsi quasi trent’anni di inosservanza. “Le sale cinematografiche che proietteranno i film cosiddetti di “programmazione obbligatoria” avranno come premio uno sgravio fiscale applicato a tali film.” Per quanto riguarda la programmazione televisiva dei film d’Autore, come tu sai, caro Paolo Benvenuti, avviene generalmente dopo le due di notte, come se si trattasse di una vergogna nazionale, dimenticando tra l’altro, che negli anni settanta ogni puntata di “Scene da un matrimonio” di Ingmar Bergman superava di gran lunga i dieci milioni di spettatori. Ma lasciamo perdere.
Silvano Agosti
Scritto da: Silvano Agosti 4/010/06 a 10:20
Paolo Benvenuti rispode a Cristina Comencini
Cara Cristina Comencini, la ringrazio innanzitutto per l’apprezzamento nei confronti del mio lavoro che dice di ritenere interessante. La ringrazio altresì per il suo importante sostegno alla ricerca e alla sperimentazione cinematografica oggi così bistrattata. La ringrazio infine per la lezione di etica comportamentale che ha voluto darmi e di cui farò certamente tesoro. Solo vorrei farle presente che nelle mia lettera al Mi
nistro Rutelli non c’era alcuna volontà di insultare o di distruggere chicchessia. Io credo che l’equivoco sulle mie intenzioni “offensive” nasca da una generalizzata confusione tra il concetto di “Cinema” e il concetto di “Film”. Nella mia provinciale ingenuità do per scontato che il primo concetto si riferisce al “linguaggio cinematografico” mentre il secondo si riferisce al “prodotto cinematografico”. Scopro invece con dispiacere che questa distinzione fra i due concetti oggi è superata. Quando, nella sua lettera, lei mi racconta di come Fellini e Antonioni sceglievano i loro cast, si riferisce evidentemente alla scelta degli ingredienti che essi usavano per confezionare i loro prodotti. Io, invece, mi riferivo più semplicemente alla maestria della loro scrittura cinematografica. Ed è proprio quella maestria, quella straordinaria inventiva, quel loro costante bisogno di sperimentazione che sono oggi banditi dai nostri schermi. E questo è sotto gli occhi di tutti. Non ci crede? Bene, faccia un esperimento: provi a guardare un film di questi maestri togliendo l’audio. Le loro immagini continueranno a coinvolgerla e ad emozionarla. Provi poi a fare la stessa cosa con la gran parte dei film italiani contemporanei e mi sappia dire…
Con tutta la mia simpatia,
Paolo Benvenuti
Intervento di Wilma Labate e Michele Conforti
Caro Paolo,
abbiamo letto nell’articolo di Giuseppina Manin le tue dichiarazioni coraggiose ed il tuo appello accorato al ministro Rutelli, che condividiamo.
Conosciamo lo sconcerto, la rabbia e poi la tristezza, che deve aver provato, per il rifiuto della Commissione, un artista come te, uno sperimentatore di nuovi linguaggi visivi, riconosciuto tale in Italia e all’estero: un autore a tutto tondo, autonomo e libero.
Caro Paolo, come molti registi giovani e meno giovani, anche tu sei caduto nella trappola della legge Urbani, che ha legato in modo indissolubile il nobile concetto di “interesse culturale nazionale” alle leggi di mercato, attraverso il burocratico e macchinoso “reference system”: regole e regolette, “ lacci e lacciuoli” per produrre solo certi film e mortificare qualsiasi sperimentazione creativa e produttiva.
Caro Paolo, purtroppo le decisioni della Commissione sono il frutto delle regole “avvelenate” della legge.
Questa legge deve essere abolita al più presto e il programma della coalizione, che ha vinto le elezioni, lo prevede. E’ arrivato il momento per tutti noi, insieme, di mobilitarci affinchè il Parlamento approvi un complesso di norme che ridisegnino la politica pubblica per il cinema e l’audiovisivo in modo equilibrato, sostenendo l’industria ma, anche e soprattutto, la sperimentazione ed il cinema d’autore. E’ questo infatti che ha fatto importante il cinema italiano nel mondo, allargando il mercato, riducendo il potere dei monopoli televisivi che lo sovrastano e lo condizionano nella produzione, nella distribuzione e nell’esercizio.
Per questo oggi si deve agire da subito: la situazione del nostro cinema è sulla via della “desertificazione” e la nuova stagione politica ce ne offre l’occasione.
Nell’accettare l’incarico nel Consiglio d’amministrazione di Cinecitttà Holding abbiamo sottolineato positivamente il complesso di indirizzi che l’azionista, il ministro Rutelli, ha consegnato al Presidente Alessandro Battisti ed a tutto il Consiglio.
Caro Paolo ne citiamo solo una parte, anche in modo un tantino partigiano. Noi lavoreremo tenacemente per gli autori italiani affinchè tutto ciò venga al più presto realizzato, anche prima delle nuove leggi e della nascita del Centro Nazionale di Cinematografia che tutti auspichiamo: (testualmente) “…focalizzare la linea editoriale e la conseguente attività produttiva dell’Istituto Luce, che dovrà privilegiare il cinema italiano ed europeo di qualità con particolare riferimento ai giovani, (virgola) al sostegno della sperimentazione sia dei nuovi linguaggi che delle nuove tecnologie. …”
Caro Paolo noi ti stimiamo, non mollare!
Wilma Labate e Michele Conforti
Adriano Aprà
È di questi giorni la notizia dello "scandalo" suscitato alla Mostra di Venezia sia dal film di Danièle Huillet e Jean-Marie Straub Quei loro incontri, sia dal Leone speciale che è stato loro attribuito dalla Giuria internazionale. Ma chi dei nostri quotidianisti titolari ha recensito questo film, che era in concorso? Ci si è limitati quasi sempre a riportare la lettera che i registi hanno mandato alla Mostra, non potendo intervenire di persona per ragioni serie di salute. È l’ennesima riprova che l’establishment della critica cinematografica italiana si comporta, è il meno che si possa dire, con vigliaccheria: non osa dire ciò che pensa, quando sa di rischiare una figuraccia. Per non parlare dei media, che a loro volta hanno ignorato che ci fossero tre film italiani in concorso, e si son riempiti la bocca di quelli di Amelio e Crialese, ignorando il terzo, quello di Huillet-Straub, appunto. C’è da domandarsi perché succede questo. La risposta, purtroppo, è ovvia, e c’è da vergoignarsi di far parte, sia pure ai margini, dello stesso ambiente. Non mi sono ancora abituato a questo peggio, ma certo se si va avanti così, facendo finta di ignorare due dei più grandi cineasti, noti e stimati in tutto il mondo, che vivono dal 1969 a Roma e che fanno molti dei loro film in lingua italiana o girati in Italia (quest’ultimo è tratto dagli ultimi cinque Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese), non dobbiamo poi lamentarci se si dice che il cinema italiano non è più quello di una volta.
Il caso di Paolo Benvenuti è del tutto simile. Conosco e stimo Benvenuti da anni. Lo ritengo una delle voci più originali del nostro cinema. Il suo ultimo film, Segreti di stato, era stato selezionato in concorso a Venezia (questo è un argomento per gli "altri", non certo per me). Di che altro c’è bisogno perché lo stato sostenga il suo cinema?
Io penso che non siano neppure argomenti "politici", nel caso suo come in quello degli Straub, a giustificare i dinieghi; per intenderci: il rifiuto dell’ufficialità a sostenere autori contenutisticamente dissidenti. Magari – lo dico con amara ironia – si tornasse ai tempi in cui si condannavano i "panni sporchi" del neorealismo. Almeno le cose venivano discusse apertamente, e i fronti si schieravano. No. Adesso la censura è più sottile. Riguarda la "forma": troppo elitaria, troppo sperimentale, troppo "terroristica" per il nostro povero pubblico drogato di fiction televisiva e di blockbuster statunitensi (così lo considerano le autorità, critica "ufficiale" compresa). Lo stato, per loro, dovrebbe sostenere un cinema gradevole – innocuo – per un pubblico "infantile" (e si veda anche come alcuni hanno storto il naso al Leone d’oro dato a uno "sconosciuto" cinese: così non si fanno gli interessi della nostra industria!)
A questo aggiungiamo, è solo un esempio, lo stato lamentevole della nostra maggiore (ormai solo sulla carta) istituzione culturale cinematografica, il Centro Sperimentale (termine quanto mai poco appropriato) di Cinematografia, che conosce solo l’arte del "non fare", e che continuerà così, ahimé col placet del nuovo governo, ancora per due anni, pare, nelle mani di gente che non sa cosa sia il cinema. Oppure la relegazione in una delle quattro sale di un cinema romano (la quarta: una cinquantina di posti)
del film (Evento speciale fuori concorso a Venezia) Lettere dal Sahara di Vittorio De Seta da parte della (ex) distribuzione di stato.
Continuiamo, come si dice, a farci del male.
All’estero, guardano a noi aspettandosi non certo i successi di imitazione, i "film esperanto", ma le personalità, gli autori, chi ha qualcosa da dire di originale, piaccia o non piaccia al pubblico. I film di Rossellini, Visconti, De Sica sono stati quasi sempre dei flop. Chi gestiva fino a ieri il nostro cinema e (lo dico con amarezza) chi lo gestisce oggi, avrebbe bocciato i progetti anticommerciali di quegli autori: come adesso fa con autori come Benvenuti, e come gli Straub.
Adriano Aprà
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