Una scomunica revocata nel momento peggiore
di Vania Lucia Gaito, da viaggionelsilenzio.ilcannocchiale.it
Quando si studiano le basi della comunicazione, una delle prime cose che si imparano è la "scelta del momento giusto": un certo atto, un atteggiamento, una comunicazione, possono suscitare un’ eco positiva in un determinato momento e del tutto negativa in un altro momento. Bisogna, dunque, saper scegliere il momento, e saper valutare quale sarà l’impatto, in quel determinato momento, di quell’atto, di quell’atteggiamento, di quella comunicazione. E se non è il "momento giusto", saper rimandare.
Non è il caso del Vaticano, che in quanto a strategia di comunicazione sembra essere piuttosto carente.
Dopo la presa di posizione nei confronti della moratoria proposta dalla Francia per la depenalizzazione dell’omosessualità, con il conseguente calo dei consensi anche tra i cattolici, arriva la revoca della scomunica ai vescovi scismatici lefevbriani. E arriva in un momento quanto mai inopportuno, proprio dopo le affermazioni negazioniste di uno dei vescovi, Richard Williamson, che in una intervista ad una televisione svedese aveva affermato che non vi erano state camere a gas e che solo 200-300 mila ebrei erano morti nei lager nazisti e non 6 milioni.
I giornali che hanno riportato la notizia hanno però dimenticato di fare un po’ d’ordine sulla vicenda, limitandosi a riportare il fatto in sè ma non altri fatti che ne costituiscono la premessa. Facciamo ordine, partendo dalla figura di un arcivescovo: monsignor Marcel Lefevbre.
Lefevbre veniva da una famiglia di matrice fortemente cattolica, e vantava nel proprio albero genealogico almeno una cinquantina tra sacerdoti e religiosi, più qualche vescovo e perfino un cardinale. La sua carriera nella Chiesa, a partire dall’ordinazione sacerdotale che ricevette nel 1929, fu di tutto rispetto: prima vescovo, poi Vicario Apostolico, poi arcivescovo di Dakar, poi Superiore Generale della Congregazione dello Spirito Santo (nella quale era entrato già dal 1932) e infine fondatore della Fraternità Sacerdotale San Pio X.
Laureato alla Pontificia Università Gregoriana in Filosofia e Teologia, partì per l’Africa nel 1932 e fu nominato Professore di Dogma e di Sacra Scrittura al Gran Seminario di Libreville. Due anni dopo assunse la direzione del Seminario.
I problemi cominciarono al suo ritorno in Francia, dopo trent’anni d’Africa, e soprattutto col Concilio Vaticano II, cui partecipò come Superiore Generale della Congregazione dello Spirito Santo. Fermo oppositore di qualsiasi progetto di rinnovamento liturgico, era convinto che le idee conciliari avrebbero favorito il “lassismo” da parte della Chiesa nei confronti delle “false religioni” che avrebbero avuto piena libertà di espressione.
Fondò così la Fraternità Sacerdotale San Pio X, dedicandola al Papa il cui pontificato maggiormente si contraddistinse per l’accanita lotta al Modernismo. La Fraternità aveva anche un proprio seminario, e già due anni dopo la sua fondazione i vescovi francesi lo etichettarono come “seminario selvaggio”, proprio per la mentalità chiusa e ostile ai dettami conciliari, e cercarono di ottenerne la chiusura. Così, tre anni più tardi, l’arcivescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo ritirò il riconoscimento canonico alla Fraternità e ordinò la chiusura del seminario. Decisione che monsignor Lefevbre non accettò mai, così come non accettò mai la sospensione a divinis che gli fu comminata da Paolo VI nel 1976.
Pur essendogli vietata la celebrazione dei sacramenti, nell’agosto del 1976 celebrò la famosa “Messa Proibita” alla presenza di 10.000 persone e 400 giornalisti, che riportarono la notizia con ampia risonanza. Tuttavia, il Vaticano non prese mai posizioni chiare e nette nei confronti di Lefevbre, e con Giovanni Paolo II sembrò aprirsi una possibilità di dialogo per un tentativo di riconciliazione.
Nel 1988, Giovanni Paolo II, in una lettera all’allora cardinale Ratzinger, Prefetto per la Congregazione della Dottrina della Fede, tracciava le linee di una proposta che permettesse alla Fraternità di ottenere nuovamente una collocazione regolare nella Chiesa, in piena comunione con la Sede apostolica.
L’accordo fu raggiunto in tempi brevi, Lefevbre e Ratzinger firmarono un protocollo d’intesa l’otto maggio 1988, con il quale, tra le altre cose, Lefevbre prometteva, a nome suo e della Fraternità, obbedienza al Papa e alla Chiesa e dichiarava di accettare i principi del Concilio Vaticano II.
Il giorno seguente ritrattò, affermando di essere stato ingannato, e pur essendogli vietata la consacrazione dei vescovi senza l’autorizzazione del Papa, e nonostante la formale ammonizione del Pontefice, il 30 giugno 1988 Lefevbre consacrò quattro vescovi: Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson e Alfonso de Galarreta. Lo stesso giorno fu formalizzata la scomunica sia a Lefebvre, sia ai vescovi da lui consacrati.
Tuttavia restava un problema legato alla successione apostolica, secondo la quale gli apostoli avrebbero trasmesso la loro autorità a dei successori, i vescovi, attraverso l’imposizione delle mani, costituendo quello che sarebbe divenuto l’ordine sacro. L’accettazione di questa dottrina è alla base della struttura episcopale delle maggiori chiese orientali e occidentali. Quando c’è la successione apostolica, quindi, le ordinazioni – anche compiute da vescovi scomunicati – sono pienamente valide anche se non legittime.
La Fraternità, tra l’altro, vanta un numero considerevole di sostenitori, una Casa Generalizia, sette seminari, 159 priorati, due università, 86 scuole, sei case di formazione, una trentina di comunità amiche, circa 500 sacerdoti, centinaia fra seminaristi, suore, religiosi, oltre che un milione di fedeli e un altro milione di “simpatizzanti”. Numeri rilevanti, che il Vaticano tiene in considerazione. E non di poco peso, presumibilmente, nella decisione di Benedetto XVI di ritirare la scomunica ai vescovi lefevbriani.
E poco importa se questo accade proprio nel momento in cui vengono rese pubbliche le dichiarazioni negazioniste dell’Olocausto, rilasciate da uno dei quattro vescovi in questione, Richard Williamson, ad una televisione svedese. E poco importano anche le conseguenze, prima fra tutte la chiusura del dialogo con il rabbinato d’Israele, che ha rotto indefinitamente i rapporti ufficiali con il Vaticano e ha anche cancellato un incontro fissato a Roma il 2-4 marzo con la Commissione della Santa Sede per i rapporti con gli ebrei. E anche se i consensi continuano a calare in picchiata, la revoca della scomunica resta.
E mentre in Germania Williamson è indagato per aver negato la Shoah, la Chiesa Cattolica lo accoglie nuovamente fra le sue possenti braccia.
(29 gennaio 2009)
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