Un’agenda laica su eutanasia e diritti negati. La prefazione di Emma Bonino a “Liberi di morire” di Carlo Troilo (Rubettino)
Emma Bonino
E’ da alcuni giorni in libreria “Liberi di morire. Una fine dignitosa nel paese dei diritti negati” di Carlo Troilo (Rubbettino). Un pamphlet, si legge nella presentazione, “su eutanasia e diritti negati”. Un libro che traccia un quadro di quanto avviene nel mondo sul tema del testamento biologico e dell’eutanasia, dei dibattiti provocati nei maggiori paesi europei da vicende simili a quelle di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro. La diffusione dell’eutanasia clandestina e i numerosi suicidi dei malati terminali renderebbero auspicabile anche in Italia l’attuazione di una legislazione seria. La nostra arretratezza nel campo dei diritti civili rispetto ai paesi europei comparabili, deriva probabilmente anche dal rapporto anomalo che esiste tra Chiesa cattolica e Stato. Questo pamphlet vuole essere una sorta di “agenda laica” sui diritti negati.
Di seguito pubblichiamo la prefazione che Emma Bonino ha scritto per il libro.
Ho accettato volentieri la richiesta di Carlo Troilo di scrivere una prefazione al suo libro per due ragioni. La prima è la solidarietà con la sua battaglia in favore della eutanasia: una battaglia che egli combatte nell’ambito della Associazione Coscioni, cui ha portato il contributo della sua lunga esperienza professionale nella comunicazione aziendale e politica. Sono belle e commoventi le pagine in cui Troilo racconta la vicenda del suicidio di suo fratello Michele, un malato terminale di leucemia che non aveva trovato un medico disposto a consentirgli una «morte dignitosa». E trovo giusta l’enfasi che egli dà – accanto alle sofferenze fisiche – a un altro aspetto, la sofferenza connessa alla perdita di autonomia provocata dalla malattia che si traduce in una condizione per tanti insopportabile di perdita di dignità. Su questo Indro Montanelli ha scritto sul finire della sua vita pagine bellissime.
Ho poi accettato di scrivere questa prefazione per una ragione più immediatamente legata alla innegabile attualità politica dei temi trattati dal libro. Gran parte di esso riguarda infatti le scelte di fine vita e, non a caso, il primo capitolo è dedicato alla questione del testamento biologico che ha contrassegnato la precedente e l’attuale legislatura in un confronto che ha coinvolto l’opinione pubblica intorno ai casi di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro e ha visto accendersi un drammatico conflitto ideale e politico tra le forze politiche, la Chiesa e l’opinione laica del Paese che, minoritaria in Parlamento, si è sempre confermata maggioritaria in tutti i sondaggi e, infine, tra le stesse istituzioni dello Stato (tra governo e magistratura e tra governo e Presidenza della Repubblica).
L’autore ripercorre la storia e i precedenti del testamento biologico in America e in Europa ricostruendo anche l’evoluzione politica del dibattito e del confronto civile fino alla approvazione di leggi semplici e rigorose, ovunque rispettose del diritto di autodeterminazione senza ipocrisie, tentativi di svuotamento, limitazioni che, come è avvenuto in Italia nel testo della maggioranza di centrodestra approvato alla Camera, hanno trasformato una legge che doveva introdurre il diritto al testamento biologico in una legge contro il testamento biologico. In particolare Troilo si è applicato alle leggi di Germania, Francia e Inghilterra, occupandosi anche del diverso atteggiamento delle gerarchie ecclesiastiche di questi Paesi rispetto a quello delle gerarchie italiane.
Esemplare da questo punto di vista il documento elaborato per i «cittadini cristiani» dalla Conferenza episcopale tedesca e dalla Chiesa luterana, così lontano dalla rigidità e dalla intolleranza della cei in una Chiesa italiana in cui pure non sono mancate autorevolissime voci dissonanti (dal cardinale Martini al cardinale Tettamanzi, da Vito Mancuso a Vittorio Possenti). Il disegno di legge non ha ancora ultimato il suo iter parlamentare ma la sua approvazione sarebbe un grave ulteriore arretramento dello stato delle libertà individuali nella nostra Repubblica per responsabilità indiscutibili di una maggioranza che, più per convenienza che per convinzione, ha scelto di piegarsi alle posizioni delle gerarchie, ma anche per le forti ambiguità che hanno contraddistinto il Partito Democratico.
Contro questa legge Troilo ha effettuato, mentre era in atto la discussione alla Camera, tre scioperi della fame «di dialogo» per tentare di risvegliare la coscienza laica dei suoi ex compagni socialisti passati al pdl. Il capitolo successivo, il più importante e il più esauriente nella analisi e nelle proposte, è quello sulla eutanasia.
Troilo ha tracciato un quadro molto ampio di quanto avviene nel mondo. Egli ha ricostruito, con spiccato senso giornalistico, le vicende umane che nei maggiori Paesi europei (come è avvenuto in Italia per Welby ed Englaro) hanno infiammato il dibattito sulle scelte di fine vita. La speranza che nasce da questo capitolo, che pur si apre col riconoscimento che a oggi l’eutanasia resta un fortissimo tabù, è che molti Paesi d’Europa possano giungere in tempi non lunghissimi a consentirne la legalizzazione: o con leggi apposite – come quelle dell’Olanda, del Belgio, del Lussemburgo e della Andalusia – o tramite una giurisprudenza evolutiva di magistrature che sistematicamente non avviano l’azione penale oppure assolvono nei casi di suicidio assistito (come è avvenuto e avviene in Gran Bretagna e in Svizzera).
Dopo questo giro d’orizzonte sugli altri Paesi, Troilo spiega le ragioni per cui anche in Italia sarebbe doveroso giungere a legalizzare l’eutanasia. Ed elenca, in modo convincente, otto ragioni che militano in favore di questa soluzione. Particolarmente efficaci le pagine su due di queste ragioni, esposte con i «titoli» che seguono: Lo scandalo della eutanasia clandestina; Se 1.000 suicidi l’anno vi sembrano pochi. Per dimostrare che anche l’articolo del codice penale sul suicidio assistito può essere modificato così da legalizzare entro certi limiti l’eutanasia, l’autore ripercorre poi – ed è una parte del libro che mi riporta a vicende cui ho attivamente partecipato – le battaglie combattute e vinte, soprattutto negli anni Settanta, per abolire una serie di articoli vergognosi del codice Rocco come quelli relativi al concubinato, al matrimonio riparatore e al delitto d’onore.
Nella seconda parte del libro Troilo traccia una sorta di «agenda laica» sui «diritti negati», di cui le forze Politiche – soprattutto quelle di opposizione – potranno giovarsi, se lo vorranno, nella elaborazione dei loro programmi politici/elettorali, fino a oggi poverissimi e ambigui su tutte queste materie. I capitoli sul divorzio, l’aborto e la contraccezione, la fecondazione assistita, le unioni di fatto, la disabilità e l’omofobia sono preceduti da due capitoli di inquadramento dei singoli problemi.
Il primo descrive la «diversità» dell’Italia, la sua arretratezza nel campo dei diritti civili rispetto alla stragrande maggioranza dei Paesi occidentali, in particolare quelli più comparabili con il nostro: la Francia, la Gran Bretagna, la Germania e la Spagna. Il secondo, dal titolo Il Tevere più stretto, illustra da un lato gli incredibili privilegi economici che lo Stato italiano concede al Vaticano, dall’altro le continue e durissime ingerenze delle alte sfere ecclesiastiche nelle vicende politiche e legislative del nostro Paese. Benché vi sia, in tutto il l
ibro, una polemica argomentata e a volte aspra con la Chiesa, l’autore non commette l’errore di dare tutta la colpa al Vaticano, che alla fin fine «fa il suo mestiere». E rileva che i benefici che la Chiesa riceve dallo Stato italiano sono della stessa natura di quelli che la classe politica trae dallo Stato per le proprie smisurate esigenze. Dunque, una «casta» clericale a cui corrisponde una «casta» politica, e la prima è certamente più forte, perché più sperimentata, perché è nella sua storia e nella sua ambizione di società perfetta la visione subordinata dello Stato.
Ci sarebbe ancora molto da dire su questo bel libro. Ma per non superare gli spazi di una normale prefazione, mi limito a riprendere un suggerimento e un interrogativo di Troilo.
Il suggerimento è quello di non usare più la parola «eutanasia» perché essa ha ormai assunto, almeno in Italia, una connotazione negativa e inquietante. Fra le molte espressioni possibili, Troilo sceglie quella che dà il titolo alle leggi delle Comunità autonome della Andalusia e della Navarra: la muerte digna, la «morte dignitosa». Una formula che mi piace perché evidenzia – prima ancora delle importanti ragioni giuridiche,morali o politiche che si possono portare in favore della eutanasia – l’aspetto della dignità di ogni singola persona, quella dignità cui pensavano i nostri costituenti quando scrissero, nell’articolo 32, che «la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
L’interrogativo è quello relativo alla crescita dell’Alzheimer e delle malattie comparabili in Italia e nel mondo, su cui l’autore fornisce dati impressionanti. Le argomentazioni in proposito sono ispirate anche dalla vicenda di una persona a lui vicina ridotta da questa malattia in uno stato miserevole. La domanda che egli pone a se stesso e ai lettori è se non sia giusto prevedere che anche in questo caso ciascuno di noi possa dire, in un testamento biologico «vero»: «No, in quelle condizioni io non voglio finire, e perciò dico fin d’ora, essendo nel pieno delle mie facoltà mentali, che se dovessi essere colpito da quella malattia vorrei essere aiutato a morire con dignità». Naturalmente nessuno può ignorare la delicatezza e anche la difficoltà del tema perché qui si supererebbero i confini delle problematiche che si sono dovute affrontare con il caso Welby e anche quelli del suicidio assistito per sconfinare nell’eutanasia attiva. In piena coscienza e nell’esercizio della propria libertà un malato, reso consapevole di esserne vittima, dovrebbe nel suo testamento biologico autorizzare un terzo a porre fine alla propria vita nel momento in cui la malattia fosse progredita al punto da annullare completamente non solo la propria memoria, ma anche totalmente la propria capacità di intendere e di volere, di riconoscere, di rapportarsi con gli altri.
È del tutto evidente che ci troviamo al di fuori delle tipologie trattate sia per il testamento biologico (direttiva anticipata di interruzione dei trattamenti sanitari, comprensivi dell’alimentazione, dell’idratazione e della respirazione artificiale, nell’eventualità di futuro coma irreversibile), sia per il caso Welby (interruzione dell’accanimento terapeutico nei confronti di una persona cosciente determinato dall’azione di una macchina, in quel caso necessaria per la respirazione), sia della stessa eutanasia che in tutti i Paesi dove è stata legalizzata presuppone: 1) la libertà di autodeterminazione di un malato perfettamente consapevole della sua scelta; 2) l’accertamento medico dello stadio terminale e irreversibile della malattia.
Quella di Troilo è dunque una utile provocazione finalizzata alla riflessione di fronte a un fenomeno in espansione e destinato a diffondersi ulteriormente con l’allungarsi della durata della vita umana: un dramma e un costo umano che già oggi colpiscono centinaia di migliaia di famiglie. Una provocazione che dal punto di vista politico e legislativo non può tuttavia costituire una fuga in avanti, soprattutto in Italia dove stiamo combattendo una difficile battaglia per la difesa della libertà di autodeterminazione delle persone e dobbiamo continuamente scontrarci con l’accusa demagogica di voler invece imporre la morte: è un vergognoso rovesciamento della realtà perché nella nostra battaglia di libertà è compresa e rivendicata anche la libertà (e il diritto alla dignità) di coloro che compiono la scelta opposta, quella di vivere anche in stato di coma, quella di affrontare fino alla morte il percorso anche doloroso, anche senza speranza, della propria malattia.
E quando avessimo vinto la nostra battaglia sul testamento biologico e quella per il diritto a una morte dignitosa, non ci considereremmo certo esentati dal dovere di batterci perché lo Stato, la collettività assicurino l’assistenza ai malati che compiano questa diversa scelta.
Ed è quello, che come Troilo sa perché è impegnato personalmente nell’Associazione fondata da Luca Coscioni, facciamo già oggi battendoci perché tutti i malati affetti da malattie degenerative – tutti i malati – abbiano diritto il più possibile a una vita autonoma. In conclusione, il libro di Troilo ci dà molte notizie, prende posizione su tutti i problemi che affronta, ma non dimentica «La lode del dubbio», che dall’Amleto di Shakespeare fino alla famosa poesia di Brecht ha tenuto viva nella mente dell’uomo la ricerca della verità.
(13 marzo 2012)
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