Un’alleanza ricostituente tra movimenti, partiti e cittadinanza attiva
Il momento politico italiano è segnato da tre grandi questioni: un governo cosiddetto tecnico che si regge su un’anomala maggioranza parlamentare e che, al netto di qualche contentino, propone idee ed azioni in continuità con quella strategia internazionale liberal-liberista che tante responsabilità ha avuto nel creare la crisi.
Una sfiducia radicale e diffusa nei confronti dei partiti e delle capacità della politica che si traduce in un ampio consenso verso Monti ed il suo esecutivo nonostante una serie di provvedimenti oggettivamente impopolari, elemento che dovrebbe interrogarci a fondo prima di emettere sentenze fondate soltanto sulla nostra presunzione. Un flusso di scosse in tutti gli schieramenti, condizionati dalle prossime Amministrative, dal nodo della legge elettorale da modificare e dalle ripercussioni che certe scelte piuttosto che altre potrebbero causare sugli equilibri generali, in vista delle elezioni del 2013.
Nell’arcipelago della sinistra, in particolare, nelle ultime settimane si sono susseguite l’Assemblea generale di SEL e il Forum degli amministratori e delle reti sociali per i beni comuni, convocato dal sindaco di Napoli, Luigi De Magistris; due appuntamenti che, oltre a coinvolgere migliaia di persone, hanno dialogato esplicitamente e visto convergere platee e protagonisti simili, alla presenza di autorevoli esponenti e di tanti militanti del Partito democratico. Dal 10 al 12 febbraio, presso il Teatro Valle Occupato di Roma, si terrà un Forum europeo su “Reddito, beni comuni e democrazia”, che vedrà la partecipazione di oltre quaranta organizzazioni, reti e movimenti sociali provenienti da otto Paesi europei (per l’Italia, tra le altre, Tilt, il manifesto, Rete della Conoscenza, Basic Income Network, Altramente, Arci, Centro Studi per l’Alternativa Comune) per costruire un fronte comune per l’affermazione di un’altra idea di Europa, anche rispetto alla discussione sulla riforma dei trattati.
Ed è dall’interno del Pd che, sempre nei prossimi giorni, sorgeranno un paio di iniziative degne di nota: quella di Goffredo Bettini, per un campo unitario del cambiamento che sappia ragionare di democrazia integrale e quella di Folena e Ghezzi per chiamare a raccolta le sensibilità ecologiste e progressiste in nome di un riferimento esplicito al socialismo europeo.
Approccio giusto quello di guardare alla dimensione continentale – aspetto unificante degli eventi richiamati – per reagire e proporre un’uscita dal vicolo cieco delle tecnocrazie che sia capace di arginare lo strapotere della finanza, il cancro delle precarietà, l’ideologia delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni, e, conseguentemente, di aggredire la concentrazione di ricchezze e risorse in poche mani sotto il controllo di opachi poteri.
Bisogna provare a rimuovere le cause strutturali di una diseguaglianza sociale insostenibile mediante politiche attive per il lavoro e una seria lotta per la giustizia fiscale. Il punto, d’altro canto, non è la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, che butterebbe a mare quel che resta del modello sociale europeo, ma la promozione di politiche pubbliche che vincolino il sistema delle imprese al rispetto di minime clausole socio-ambientali e di rinnovate forme di welfare che, anche in Italia, puntino sull’accesso al reddito, alla cultura, ai servizi e sul diritto allo studio e alla conoscenza.
All’ondata populista e anti-politica, ai dettami dell’austerità e alla schiavitù del debito, occorre rispondere con la politica dei diritti di cittadinanza e civili, dei beni comuni, della dignità del lavoro, della riconversione ecologica e della cooperazione euro-mediterranea; attraverso un modo di fare politica che sia utile, capace di ascoltare, immaginare, includere ed agire, che recuperi un rapporto con la vita delle persone.
La primavera dei sindaci e lo straordinario esercizio democratico dei referendum, che sembravano avere impresso una svolta all’Italia, l’hanno dimostrato: bisogna aprire porte e finestre, perché esiste una grande politicità nella società che si organizza nelle realtà locali, nelle associazioni e nelle relazioni quotidiane; e, per i partiti, riconoscere la propria non autosufficienza è la prima condizione per coinvolgere, incuriosire, ritrovare il piacere di stare assieme e costruire buone azioni.
Le primarie per l’individuazione dei candidati, ad esempio, sono il simbolo di una irruzione delle intelligenze e delle domande che crescono nella società per trasformare la politica insieme ai partiti e non contro; esse anzi dovrebbero articolarsi in pratiche quotidiane che prima e oltre il momento elettorale reinventino forme di partecipazione e contestino l’ineluttabilità dell’esistente.
E’ ora di dirlo chiaro: se il Partito democratico non sceglie in fretta con chi stare in prospettiva 2013, e non coglie i segnali e i fermenti che da sinistra si intrecciano impetuosi, ho l’impressione che perderemo l’occasione storica di un’alleanza ricostituente tra movimenti, partiti e cittadinanza attiva, che parli con linguaggio semplice e proposte alternative al popolo degli sfiduciati e degli astensionisti, oltre che al Paese.
Giuseppe Morrone
(3 febbraio 2012)
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